Il prossimo vertice sul programma nucleare iraniano, che si terrà ad Istanbul tra l'Iran ed i cinque membri permanenti di sicurezza delle Nazioni Unite, Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania, parte sotto i peggiori auspici, non tanto per la difficoltà sempre maggiore delle trattative di arrivare ad un punto soddisfacente, quanto per le esercitazioni militari iraniane, che hanno avuto lo scopo di testare l'efficacia dei missili balistici di Teheran. La tempistica di questo sfoggio di forza militare non è casuale, il messaggio che racchiude infatti è diretto a quelle nazioni, prima fra tutte Israele, ma anche gli Stati Uniti, che potrebbero pensare ad una azione bellica contro il paese iraniano, per azzerare i suoi progressi verso la bomba atomica.
I missili Shahab 1, 2 e 3, Qiam, Fatah e Tondar sono stati lanciati in diverse zone del paese con un tasso di successo vicino al 100%. In particolare il mezzo balistico più pericoloso è lo Shabab 3, capace di una gittata di 2.000 chilometri, che consentirebbe di colpire, oltre ad Israele, tutti quei paesi del medio oriente dove sono ospitate le basi militari americane. La stessa Turchia, in quanto membro NATO, potrebbe entrare nel raggio di eventuali ritorsioni o addirittura, attacchi preventivi alle forze USA, presenti sul suo territorio. Gli altri tipi di missile, pur avendo una gittata inferiore, tra i 200 ed i 750 chilometri, restano pur sempre un'arma letale in mano alla teocrazia islamica. Nonostante si stimi che nell'arsenale iraniano siano presenti soltanto alcune decine dei missili a gittata maggiore, la capacità di colpire obiettivi occidentali non deve essere sottovalutata, specie se si considerano i progressi di Teheran nella ricerca atomica. L'ordigno nucleare giunto ad un vettore capace di coprire una distanza intorno ai duemila chilometri, giustifica i peggiori timori di Israele. Se Washington ha tenuto a bada finora Tel Aviv, la dimostrazione evidente dell'esercitazione militare delle forze armate iraniane, contribuirà ad aumentare le difficoltà di contenere la volontà israeliana di prevenire una tale possibilità. Il pericolo è che diventi la maggioranza chi considera una guerra preventiva il male minore, prima, cioè, che Teheran possa disporre pienamente dell'arsenale atomico. Un tale sviluppo della situazione potrebbe portare alla decisione di un attacco autonomo da parte dell'esercito israeliano al quale gli americani non potrebbero sottrarsi. Lo scenario diventa quindi ogni giorno più preoccupante, anche per le posizioni russa e cinese, che continuano una politica della trattativa ad oltranza, senza sottoscrivere le sanzioni occidentali contro l'Iran, che non riesce a produrre risultati apprezzabili. Peraltro risulta difficile comprendere la strategia iraniana, che pare sempre più provocatoria, sopratutto nei confronti di Israele, sopratutto in un momento di estrema difficoltà regionale per la questione siriana. Una tale instabilità espone il mondo intero ad un rischio di conflitto, che da regionale può espandersi, anche in forme non tradizionali, su di una scala più vasta, andando a coinvolgere attori differenti ed esponendo a sviluppi imprevisti anche nazioni più lontane dall'epicentro. Uno dei pericoli maggiori è la strumentalizzazione del confronto sia in chiave religiosa, occorre ricordare il crescente attivismo violento degli estremisti islamici in Africa ed in Asia, sia in chiave nord sud del mondo, in quest'ottica va ricordato, invece, l'attivismo diplomatico iraniano nei paesi centro e sud americani. La radicalizzazione e l'incanalamento di un conflitto, alla cui base vi è la paura della disponibilità della bomba atomica in mano ad un regime pericoloso, può creare nuove alleanze e spostarne di vecchie, alterando pericolosamente equilibri ormai assodati, ben aldilà del solo medio oriente.
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