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mercoledì 5 settembre 2012
Aiuti economici per l'Egitto
Il nuovo Presidente egiziano vuole ampliare le relazioni diplomatiche del suo paese, che Mubarak limitava, principalmente all'alleanza americana. La recessione economica, oltre ad una scarsa ampiezza delle relazioni diplomatiche, ereditata dal precedente regime, obbligano l'Egitto a muoversi in più direzioni, cambiando lo stato precedente. Dopo avere partecipato alla riunione dei paesi non allineati, con un intervento di una certa personalità, il Presidente egiziano intende percorrere la via orientale, allacciando rapporti con Pechino. La Cina ha già assicurato un prestito di 200 milioni di dollari e contratti nei settori chiave dell'agricoltura e delle telecomunicazioni. Per gli Stati Uniti, tradizionali alleati del paese, lo sviluppo delle relazioni con la Cina desta profonda inquietudine, prechè viene temuta la penetrazione di Pechino in un paese considerato strategico, per il mantenimento della pace nel medio oriente. Il primo effetto è la cancellazione di un miliardo di dollari dal debito che l'Egitto ha con gli USA, che ammontava ad un totale di tre miliardi; inoltre, Washington, ha sostenuto la concessione del prestito di 4, 8 miliardi di dollari concessi da parte del Fondo monetario internazionale. Gli americani cercano così di recuperare il tempo perduto nella transizione trascorsa dalla caduta di Mubarak, che si è conclusa con la vittoria elettorale dei partiti islamici. La Casa Bianca avrebbe preferito una vittoria del candidato dei militari, con il conseguente mantenimento del potere delle forze armate, percepite come più affini allo stato americano e sopratutto scevre da influenze religiose. Durante la rivolta contro Mubarak gli USA hanno mantenuto un basso profilo, ma non hanno impedito la fine politica del regime di Mubarak, nonostante questi fosse un alleato fedele, per favorire una transizione democratica, che, nelle previsioni del dipartimento di stato, doveva concludersi con l'affermazione delle forze laiche. Lo smarrimento dell'amministrazione americana seguito alla vittoria dei partiti islamici, ha determinato una interruzione del rapporto con i nuovi governanti egiziani, che ha creato l'opportunità per altri stati di stringere accordi con Il Cairo. Passato però, il momento di smarrimento, Washington ha realizzato che occorreva rimanere gli interlocutori privilegiati del paese egiziano per ovvi motivi geopolitici. D'altra parte i motivi scatenanti della rivolta in Egitto, più che la richiesta dei diritti civili e politici, che pure hanno avuto una parte rilevante, erano di ordine economico: una situazione ormai insostenibile, con una alta disoccupazione ha fatto da detonatore alla rivolta. Il nuovo presidente egiziano ha compreso, che passata l'euforia per la conquista della democrazia, era necessario, per il mantenimento della pace sociale, cercare investimenti capaci di creare lavoro ed anche gli Stati Uniti hanno capito che soltanto un livello di benessere diffuso può impedire alla popolazione, specialmente ai giovani, di entrare nelle fila dell'estremismo islamico. Cambieranno così destinazione i sostanziosi finanziamenti che Washington inviava per l'acquisto di armi per l'esercito egiziano e saranno impiegati come investimenti per sviluppare infrastrutture ed industrie del paese nord africano. Ma l'Egitto si muove anche verso Arabia Saudita e Qatar, che hanno annunciato investimenti per tre miliardi di dollari. Tutta questa massa di denaro, che serve a riorganizzare il paese e sollevarlo da una situazione di povertà, prova che l'Egitto ricopre, grazie alla sua posizione, una importanza che fa da catalizzatore degli aiuti e può trasformarlo in un soggetto protagonista del medio oriente, capace di influenzare autonomamente gli equilibri regionali, una volta raggiunto l'assestamento sia economico che sociale.
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