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martedì 30 ottobre 2012

La Clinton nei Balcani, con l'incognita serba.

La visita diplomatica di Hillary Clinton, che si sta svolgendo nei paesi dell'ex Jugoslavia, sta affrontando alcune questioni interne che hanno una ripercussione sui rapporti internazionali, in special modo sulle questioni inerenti all'ingresso in organizzazioni internazionali come la UE e la NATO. La dissoluzione jugoslava ha dato corso ad una guerra sanguinosa nel cuore dell'Europa, che ha lasciato pesanti strascichi, tuttora il conflitto etnico risulta essere un ostacolo sia allo sviluppo, che alle relazioni tra i vari popoli della regione, che spesso ricorrono ancora alla violenza per regolare i conflitti. L'interesse della NATO e della UE, seppure per ragioni ed angolature differenti, è che la regione balcanica trovi un assetto stabile ed un equilibrio tale che ne consenta il pieno ingresso nelle loro organizzazioni. Tuttavia la reciproca diffidenza ed i sempre vivi sentimenti nazionalisti non sono un buon viatico per favorire i processi di integrazione, che a parole, gli governi dei paesi della ex Jugoslavia richiedono. I maggiori problemi risiedono in Bosnia, a Belgrado e nel Kossovo. La questione bosniaca continua ad essere segnata da conflitti serrati tra le comunità serbe, croate e musulmane; gli accordi di Dayton, seguiti alla guerra che ha martoriato il paese dal 1992 al 1995, prevedevano un assetto composto da un'entità serba ed una croata musulmana, che, mediante un complicato meccanismo fatto di regole tese a garantire entrambe le comunità, dovevano poi condividere un governo centrale. Ma la parte serba rifiuta ripetutamente questa soluzione ed ha minacciato più volte la proclamazione dell'indipendenza. Questo stato di agitazione permanente è contrario alle intenzioni della diplomazia internazionale che non vuole deragliare dagli accordi di Dayton, faticosamente raggiunti, che rappresentano un punto fermo oltre il quale, si teme, una recrudescenza degli eventi violenti e destabilizzanti. L'unica condizione che può richiamare all'ordine i leader bosniaci, sopratutto quelli serbi, è che proprio il mancato rispetto degli accordi di Dayton impedirebbe l'ingresso nella NATO e nella UE, occasioni viste dai bosniaci per risollevare un'economia stagnante. Nella questione del Kosovo, a Belgrado verrà richiesto, nella visita di giovedì prossimo dei diplomatici USA, di riprendere i contatti con Pristina; la Serbia rifiuta di riconoscere l'indipendenza proclamata in maniera unilaterale dal paese kosovaro a maggioranza albanese, e la vittoria elettorale dello scorso maggio dei nazionalisti serbi ha aggravato le reciproche posizioni. Ufficialmente l'atteggiamento del governo di Belgrado è quella di trovare un'intesa basata su concessioni reciproche da concordare tra Serbia e Kosovo. Ma ciò contrasta con i sentimenti di una opinione pubblica sempre più condizionata da un nazionalismo esasperato ed appare, quindi, meno reale ma strumentale per convincere la UE e la NATO ad accoglierle entro i loro aderenti. Nonostante tutti i tentativi fatti la Serbia appare ancora inaffidabile per l'ingresso in organizzazioni sovranazionali che richiedono standard elevati ai loro associati, l'estremismo nazionalista, spesso accompagnato da razzismo risulta ancora troppo diffuso per concedere la libera circolazione dei cittadini serbi in Europa e così i sentimenti di anti americanismo, dovuti alla posizione della NATO durante le guerre seguite al crollo della Jugoslavia, ostacolano ancora il processo di inclusione nell'Alleanza Atlantica. Senz'altro più agevole sarà il proseguimento del tour diplomatico della Clinton in Croazia ed Albania, paese in cui si chiuderà la trasferta del Segretario di stato americano.

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