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martedì 23 ottobre 2012

Le sfide del nuovo esecutivo cinese

L'esecutivo che uscirà dal congresso del Partito Comunista Cinese non riserverà sorprese: da marzo, come previsto la carica di segretario del partito e di Presidente del paese sarà ricoperta dall'attuale vice presidente Xi Jinping. Ben diverse, invece, saranno le problematiche che il nuovo esecutivo sarà chiamato a risolvere, in special modo sul lungo periodo. Se la diseguaglianza sociale, il pesante tasso di corruzione, la richiesta pressante di riforme politiche e le crescenti proteste tra la popolazione, rappresentano già sfide complicate, la possibilità della fine del modello cinese di sviluppo, incentrato sulle esportazioni e gli investimenti statali, rappresenterà il nodo cruciale dell'azione di governo per Pechino. Si tratta in realtà di argomenti legati l'un l'altro a filo doppio, tuttavia senza una strategia globale azzeccata che investa tutti i settori, principalmente quello economico e sociale, il rischio di implosione del paese è molto concreto. Tralasciando gli ovvii effetti e ricadute sul computo dell'economia globale del pianeta, per la Cina diventa fondamentale risolvere alcune questioni cruciali che stanno al proprio interno e che le soluzioni intraprese possono indirizzare il paese verso il fallimento, una sopravvivenza sotto gli attuali standard o un successo contraddistinto, però, da nuove condizioni interne. Resta difficile infatti, preconizzare un mantenimento degli attuali standard di crescita senza il supporto della soluzione delle contraddizioni del paese, fino ad ora mascherate da una crescita molto elevata. Il punto nodale della questione è proprio questo, la crisi mondiale ha compresso i valori a doppia cifra di crescita economica della Cina, necessari per mantenere ed incrementare lo sviluppo di un tessuto sociale enorme per quantità, a questa diminuzione Pechino si è opposto con interventi sempre più massicci dello stato, che è il vero motore economico, tuttavia, tali interventi sono diventati eccessivi ed hanno acuito gli effetti negativi di tali politiche. La diffusione sempre maggiore della corruzione, attraverso una organizzazione vetusta del partito, che nelle periferie dello stato ha ancora connotati feudali, ha generato la dispersione delle risorse, creando forti tensioni sociali a causa della grande disparità, sia tra centro e periferia, sia tra le stesse classi sociali di medesime zone. Tali fenomeni hanno mostrato tutti i limiti delle politiche sociali del partito, incentrate sulla negazione dei diritti sindacali e sul lavoro, favoriti per permettere una industrializzazione sempre più spinta; ma se tale politica dal punto di vista economico, non certo da quello sociale e legale, poteva essere giustificata nella prima fase di insediamento delle industrie e forse anche nel periodo immediatamente successivo, ora mostra tutta la sua anti economicità. La presa d'atto della necessità di migliori condizioni lavorative è sempre più spesso alla base delle tante proteste che attraversano la nazione. Sarà questo il primo problema da risolvere per potere risolvere gli altri: elaborare una politica che tuteli i diritti del lavoro che possa conciliarsi con l'assolutismo politico al quale il Partito Comunista Cinese non vuole rinunciare. Una delle strade per mantenere un tasso di sviluppo alto è sviluppare il mercato interno in maniera massiccia, si tratta di una mercato con ancora potenzialità enormi, ma che non decolla per la scarsa redistribuzione del reddito, ancora troppo concentrato in pochi settori di popolazione e zone geografiche particolari. Risulta paradossale come un paese che si dice comunista, soffra di problemi analoghi se non identici a quelli delle economie più capitaliste del pianeta. Secondo i sostenitori delle riforme i tassi di crescita previsti entro la fine del decennio saranno intorno al 5%, tale valore non può assicurare il miglioramento degli standard di vita che la gran parte della popolazione richiede a gran voce. L'unica strada per alzare il tasso di crescita è una riforma politica radicale che comprenda l'eliminazione dei privilegi delle aziende di stato, preveda di limitare i poteri dello stato nell'economia e sappia contenere l'influenza dei gruppi monopolistici attenuandone i privilegi fino alla loro completa eliminazione per consentire di aprire mercati concorrenziali in questi settori. Si tratta di esigenze ormai ben note, che richiedono, però, riforme radicali ed anche epocali in una organizzazione statale che da sempre ha usato la prudenza, entro la propria ottica, come termine di riferimento, ma senza le quali la transizione cinese non potrà compiersi.

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