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giovedì 18 ottobre 2012
Per una lotta alla fame senza gli OGM
Il problema della fame nel mondo sta andando di pari passo con lo sforzo dei produttori di OGM di determinare il successo dei loro prodotti e della loro tecnologia. Sul dibattito della diffusione degli OGM vi sono tendenze contrarie e favorevoli, che da un lato sono fortemente negative a tale scelta per l'impatto sull'ecosistema, mentre dall'altro lato gli assertori di tali tecniche crecano di promuoverle in nome di una maggiore sicurezza e diffusione dei prodotti agricoli, che verrebbero più facilmente coltivati. Il gran numero di persone ancora alle prese con problemi di nutrizione offre a chi è favorevole agli OGM un appiglio non di poco conto, sopratutto se messo in relazione con la scarsità delle risorse alimentari. Tuttavia non è questa l'ottica corretta da cui guardare il problema, perchè un'analisi globale indica che più che la quantità di cibo disponile, il vero ostacolo per una maggiore nutrizione è l'accesso alle risorse alimentari. Certamente se ci si vuole limitare a prendere in esame i singoli territori dove il problema della fame è più pressante, si ha anche a che fare con gli scarsi quantitativi di produzione, legati, peraltro, ad una serie di fattori che si possono slegare dal mancato impiego degli OGM e che vanno dalle condizioni climatiche, alle scarse conoscenze tecniche, fino all'arretratezza dei mezzi di produzione. Su questi aspetti l'impegno dei governi dei paesi in questione deve essere stimolato attraverso aiuti internazionali, che possano permettere di raggiungere l'autosufficienza alimentare; ma ciò è possibile senza impiegare gli OGM, che, se in un primo momento potrebbero facilitare la produzione in quantitativi maggiori, successivamente porterebbero squilibri agli ecosistemi, tali da ripresentare la situazione di partenza. Nella fase di immediata urgenza sarebbe preferibile, invece, spostare le derrate alimentari in modo da favorirne l'accesso; ciò avrebbe ricadute positive, dal punto di vista dell'ambiente anche nelle regioni ricche. Le statistiche dicono, infatti, che la quantità globale di cibo prodotta è già sufficiente ad eliminare il problema della denutrizione. Attualmente vi sono l'equivalente di 4.972 calorie al giorno a testa prodotte nel mondo sotto forma di colture, ma soltanto 2.468 sono utilizzate per l'alimentazione, la parte restante è impiegata per l'allevamento intensivo del bestiame, che tra l'altro produce grossi quantitativi di anidride carbonica, per la produzione di idrocarburi, che dopo alcuni cicli di coltura rendono i terreni praticamente sterili, ed infine vi è lo spreco dei prodotti invenduti e quindi trasformati in rifiuti a causa delle errate politiche di acquisto delle grandi catene alimentari. Queste considerazioni portano direttamente alla necessità di una razionalizzazione dei sistemi di produzione e di distribuzione, che possano favorire nei paesi ricchi, attraverso un consumo più consapevole e possibilmente a chilometri zero, un miglioramento dell'ambiente e nei paesi poveri un indirizzamento della produzione in eccesso a prezzi calmierati, capace di portare alla risoluzione definitiva il problema della denutrizione, in attesa dell'indipendenza alimentare, che deve essere perseguita di pari passo. Ma il problema OGM non è soltanto in relazione alla denutrizione, come i produttori di queste tecnologie vogliono fare credere: la spinta della ricerca del maggior guadagno possibile non ha lasciato immune il settore agricolo, che, a seguito dell'industrializzazione sempre maggiore del settore, sta ricercando in maniera spasmodica rese sempre più alte dalle coltivazioni impiantate. Ma il punto debole è proprio nell'eccessiva industrializzazione del settore, non tanto nella componente meccanica, quanto nell'uso ormai sfrenato della chimica, che ha determinato l'abbandono di quegli usi consuetudinari dei contadini, che però assicuravano la bontà del raccolto. Preferire l'uso dei pesticidi e dei concimi chimici, anzichè optare per l'impiego di fertilizzanti biologici e praticare la successione delle colture, che permettono di mantenere inalterate le proprietà del suolo, si sono rivelate, nel lungo periodo scelte dissennate, dopo che nel breve periodo avevano permesso guadagni più elevati. Queste considerazioni vanno ad innestarsi direttamente sulle politiche di sviluppo delle zone povere, dove l'agricoltura deve essere il primo settore per importanza nel raggiungimento dell'autosufficienza alimentare. Tali tecniche, quelle tradizionali, necessitano di maggiore investimento e sopratutto di una maggiore attesa in termini di tempo in relazione al risultato, perciò è importante sviluppare un accesso al credito che preveda forme agevolate e facilitate, capaci di creare un'autonomia finanziaria che abbia il requisito della solidità per le aziende agricole dei paesi in via di sviluppo. Pur essendo diverse le caratteristiche necessarie a sviluppare una agricoltura senza OGM, i vantaggi per le collettività coinvolte sono senza dubbio maggiori: una maggiore sostenibilità per l'ambiente, nel lungo periodo produzioni agrarie assicurate e prodotti non modificati. Risulta ovvio che questi concetti devono essere condivisi, sia a livello statale che sovrastatale, i soggetti coinvolti sono molteplici, ma i risultati potenzialmente ottenibili sono di gran lunga un obiettivo sempre più essenziale da iscrivere al bilancio socio economico del pianeta.
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