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mercoledì 7 novembre 2012
Il risultato del voto americano restituisce un paese spaccato
Obama vince con un margine più ampio di quello previsto dai sondaggi, ma il quadro che il paese restituisce con il voto elettorale illustra una nazione spaccata. Il risultato delle urne dice, infatti, che il presidente ha ottenuto la riconferma grazie al voto della popolazione di colore, degli ispanici ed in generale delle minoranze etniche, sommate al voto femminile, mentre Romney ha avuto la fiducia degli uomini bianchi. Anche la divisione del voto per aree geografiche risulta molto netta, se le zone urbane hanno votato in massa per Obama con la percentuale del 62%, nelle zone rurali Romney ha vinto con il 59%, così come la fascia di età sotto i trenta anni si è espressa per il 60% per il presidente uscente, i più anziani, le persone oltre i sessanta anni, hanno votato per lo sfidante per il 56% del totale.
Ciò era stato largamente previsto, ma ora che questa composizione del voto è ufficiale, la frattura sociale presente negli Stati Uniti diventa materia di ampia riflessione. Se è pur vero che l'analisi del voto non presenta una sostanziale novità, questo stesso elemento fa rilevare come gli Stati Uniti si comportino politicamente secondo clichè largamente appurati. Ciò significa che è mancata una mobilità politica nella popolazione americana, che, in definitiva, si è mantenuta su comportamenti costanti nel tempo. Probabilmente mai come in questa elezione la differenza è stata fatta dalla capacità di mobilitare il proprio elettorato a recarsi al voto, uno dei pochi elementi di novità di queste elezioni, che è stato determinante nella strategia vincente di Obama. Con un maggiore astensionismo la vittoria repubblicana era praticamente certa, ma, va detto con sicurezza, la bravura di Obama, oltre a quella della sua macchina elettorale, è stata quella di sollecitare il proprio elettorato grazie alla sensibilizzazione su temi molto legati allo stato sociale ed all'opportunità di una vita migliore, che Romney non sapeva ne poteva stimolare. Malgrado le promesse non rispettate Obama resta comunque una alternativa migliore, in alcuni casi anche la meno peggio, rispetto a chi si basa ancora esclusivamente sul libero mercato e sulla speranza dei suoi effetti positivi. Tuttavia amministrare una nazione divisa in modo così netto, non potrà essere agevole. I toni con cui è stata condotta questa campagna elettorale dai repubblicani, che in molti casi hanno sfiorato il livore, sono stati il segnale di corresponsione con il proprio elettorato più profondo, in Romney non è mai apparsa la volontà di conquistare voti oltre il proprio bacino elettorale, la sua tattica era improntata esclusivamente a motivare fino all'eccesso i suoi potenziali elettori, con argomenti spesso scontati e di scarsa prospettiva. Il fatto che il candidato repubblicano sia poi uscito sconfitto significa soltanto che la sua tattica è stata perdente, ma il suo elettorato resta ben convinto sulle proprie posizioni. Ma quello che vale per Romney, vale in modo speculare per Obama, anche se per motivi diversi. Il rieletto presidente USA, ha provato a sfondare nel campo avversario, ma soltanto fino ad un certo punto, poi vista la praticamente totale impermeabilità dei ceti conservatori, ha abbandonato il tentativo e per acquisire consensi si è gettato a capofitto nell'opera di convincimento dell'elettorato ispanico e più in generale verso quello che, tradizionalmente, poteva portare più suffragi alla propria causa. Questo richiudersi su se stessi, più di un ripiegamento tattico e più di una razionalizzazione delle forze, appare la presa d'atto della frattura insanabile che attraversa il tessuto sociale americano e, cosa più importante, vale per entrambi i partiti, i quali sono anche espressione di una concezione dello stato inteso come amministrazione della cosa pubblica. Quello che viene meno è uno dei caposaldi della politica americana, che viene insegnato nei corsi di scienze politiche: il sistema statunitense è caratterizzato da una alternanza costante, perchè le differenze tra i due partiti, protagonisti della vita politica nazionale, sono minime. Queste elezioni, invece, hanno decretato, in modo definitivo, che questo teorema non è più valido: le differenze non solo non sono più minime, ma sono aumentate a livello esponenziale, perchè riflettono le diversità, sempre più profonde, presenti nella società americana. Certamente non è un processo che è iniziato con questa consultazione elettorale, ma è incominciato ben prima, ma mai come ora ha raggiunto il suo punto più alto. Una delle cause è da ricercare nel liberismo sempre più spinto che ha caratterizzato il paese da Reagan in poi, che ha concentrato la ricchezza nelle mani di pochi, eliminando definitivamente quello che era definito il sogno americano, la negazione delle possibilità e delle opportunità estese a tutti. La caduta di questo assioma diventa per Obama un'arma fondamentale per la sua prima elezione. Ma le promesse non mantenute, sia per l'ostruzionismo parlamentare, sia per la ragion di stato, potevano costituire un boomerang per le aspirazioni di rielezione. Romney non ha saputo cogliere questa opportunità ed ha preferito rivolgersi ad un ceto elettorale in parte condizionato dal neo conservatorismo miope dei tea party ed in parte agli arrabbiati che vedevano nella politica di Obama addirittura derive di tipo socialista. Queste considerazoni, tuttavia non fanno che confermare uno stato oramai costituito da compartimenti stagni sia politici che sociali, dove il blocco degli ascensori sociali ha alzato barriere invalicabili nella società americana. Ora per Obama la sfida è fare ripartire la mobilità sociale attraverso la quale cercare una nuova coesione, che permetta di attraversare i fossati che dividono i ceti sociali, nel rispetto delle rispettive differenze ideologiche.
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