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venerdì 9 novembre 2012

Le prossime sfide internazionali di Obama

I prossimi quattro anni che attendono Obama saranno densi di problematiche internazionali, nelle quali gli USA saranno chiamati al ruolo da protagonista, volenti o nolenti. Mentre l'euforia per la rielezione del presidente degli Stati Uniti non è ancora smaltita, gli impegni dell'agenda internazionale già premono in un contesto che si annuncia da subito ancora più complicato da quando l'inquilino della Casa Bianca ha lasciato i suoi impegni internazionali in secondo piano per dedicarsi alla campagna elettorale. Difficile che Obama devii dalla rotta già tracciata nei quattro anni precedenti, contraddistinta da un attivismo meno in prima linea, rispetto alle amministrazioni precedenti, ma comunque con una presenza costante all'interno dello scenario internazionale. Gli USA si sono confermati potenza globale e sopratutto hanno mantenuto la leadership mondiale, ma con uno stile nuovo, di profilo più basso, ma soltanto in apparenza. In effetti, messo da parte il protagonismo, quasi muscolare delle presidenze dei Bush padre e figlio, Obama ha optato per un approccio più morbido, che facesse tramontare la visione imperialistica dell'America. Questo non ha significato però prese di posizione decise ed anche una certa attività, praticata però lontano dai riflettori. Barack Obama ha messo come prima opzione il dialogo e l'uso di strumenti alternativi all'uso della forza dei militari ed anche quando questi mezzi di dissuasione sono stati scelti si è privilegiato l'utilizzo di mezzi di nuova tecnologia che riducessero al minimo l'impiego umano diretto. Non ci sono ragioni che possano indurre a credere ad una deviazione di rotta, anche se le nuove sfide che si annunciano sul tappeto, potrebbero, almeno in parte, obbligare a cambiare questa impostazione. Dal punto di vista strettamente militare le due questioni principali sono il confronto Iran-Israele e l'annunciata svolta della Cina, che intende affermare la sua potenza sul mare. Per il primo caso la linea di Obama è quella di scongiurare un confronto militare dagli esiti incerti e con ovvie ricadute sugli indici dell'economia mondiale, l'impostazione data al problema, che ha previsto l'uso massiccio delle sanzioni, ha fiaccato l'economia iraniana, ma non ha permesso del tutto l'isolamento di Teheran, che si è impegnato molto, sul piano diplomatico, a cercare nuove sponde di contatto, percorrendo sopratutto la via religiosa e quella dell'antiamericanismo. Il nervosismo di Israele, in parte tenuto a bada dalla competizione elettorale statunitense, ora potrebbe riaffiorare, sopratutto se la vittoria nella prossima competizione elettorale vedesse una affermazione netta di Netanyahu. I due stati, USA ed Israele, hanno preso direzioni politiche diverse ed i due leader sono personaggi dalle opposte caratteristiche, ma sono anche legati a filo doppio da una alleanza molto stretta: la domanda è come si comporterebbero gli USA di fronte ad un attacco unilaterale e non concordato di Israele all'Iran? Obama sa che può essere trascinato su questa strada anche contrariamente alla propria volontà e che in quel caso non potrebbe negare l'aiuto a Tel Aviv, ma sarebbe appunto, l'unico modo per coinvolgere direttamente Washington in una guerra fortemente non voluta. Israele, a quel punto, sarebbe di fronte all'opinione pubblica internazionale, il solo vero responsabile di una tattica scellerata. In ogni caso gli USA non sono impreparati ad una evenienza del genere, i continui segnali di spostamento di armamenti americani nel Golfo Persico ed in Giordania, indicano che nonostante le elezioni, l'apparato ha continuato a preparare il terreno per un possibile conflitto. La questione del protagonismo cinese non dovrebbe avere costituito una sorpresa per gli USA, anche Pechino è in una fase di passaggio di potere, ma le aspirazioni cinesi sui mari e gli arcipelaghi della regione sono noti, come è noto il continuo processo di rinnovamento del suo arsenale militare, anche in funzione della notevole accresciuta potenza economica. In questa vicenda, che contiene degli elementi potenzialmente pericolosi, la variabile impazzita è costituita dal Giappone, che può essere seguito da Vietnam e Filippine, che ha riaperto un confronto silente da anni, probabilmente più per motivi interni che altro. Gli USA non hanno interesse ad uno scontro con la Cina, malgrado la competizione economica ed anche, in futuro, di leadership mondiale, i rapporti tra i due stati sono profondamente legati a causa della grande quantità di liquidità cinese impiegata negli Stati Uniti, entrambe le nazioni non hanno alcun interesse ad incrinare i loro rapporti diplomatici. In questo frangente la paziente abilità dell'amministrazione Obama nel campo delle relazioni internazionali, può arrivare ad un equilibrio, magari non del tutto stabile, nella regione, che consenta una coabitazione tra i vari attori coinvolti, senza che si vada oltre l'esibizione dei muscoli. Anche i rapporti con la Corea del Nord potrebbero essere normalizzati grazie ad una azione congiunta con Pechino, mentre la Russia ha appena tirato un sospiro di sollievo per la mancata elezione di Romney e si trova, quindi ben disposta a continuare i rapporti, tutto sommato buoni, con Washington. Nella lotta al terrorismo, sopratutto quello fondamentalista islamico, è inevitabile la continuazione della strategia vincente intrapresa a tutto campo per stroncare definitivamente Al Qaeda ed i gruppi seguaci. Non si può non credere che Obama si adopererà per una soluzione definitiva della questione palestinese, cercando di arrivare, finalmente, alla costituzione dello stato della Palestina; anche se in vista dell'appuntamento elettorale vi è stata una frenata, dettata dalla prudenza di non scontentare l'elettorato ebraico, l'intendimento del presidente USa è sempre stato quello di riuscire a pacificare la regione con la formula dei due stati, il compito non è facile per l'attività di contrasto operata da Tel Aviv, ma un maggiore coinvolgimento anche delle Organizzazioni Internazionali, per prima l'ONU, potrebbe dare una svolta alla questione. Del resto ciò è anche funzionale al progetto di allacciare nuovi rapporti con gli stati arabi, specialmente quelli usciti dalle primavere arabe, ed una argomento come la riuscita della creazione dello stato palestinese costituirebbe un argomento di sicuro apprezzamento da parte dei governanti arabi. Ma Obama in politica estera non dovrà affrontare soltanto questioni legate agli assetti geopolitici, ma anche di natura più prettamente economica; in particolare sugli sviluppi della questione dell'euro, sarà fondamentale l'apporto che gli Stati Uniti vorranno concedere per la salvezza della moneta unica europea, un aiuto certo interessato, perchè l'area rappresenta il mercato di maggior pregio del mondo ed una sua debolezza avrebbe ripercussioni sull'economia mondiale. Per affrontare tutti questi problemi sarà determinante la nomina del nuovo Segretario di Stato e la collaborazione che si potrà instaurare con il Partito Repubblicano, che, sopratutto, per le questioni delicate non potrà commettere l'errore di praticare ostruzionismo. Il primo viaggio per Obama da presidente rieletto avrà come destinazione la Birmania per incontrare i leader di quel paese e con la leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, in un tour che comprenderà anche la Thailandia e la Cambogia, nei giorni dal 17 al 20 novembre.

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