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venerdì 18 gennaio 2013
India: il caso dei marinai italiani ad una svolta
La vicenda dei due italiani appartenenti alla marina militare, accusati in India di avere ucciso due pescatori dello stato del Kerala, durante l'esercizio delle loro funzioni di scorta armata anti pirateria su di una nave commerciale italiana, è ad un punto di svolta. Lo stato indiano, in palese violazione della legislazione internazionale, dato che il fatto era accaduto in acque internazionali, aveva costretto la nave ad entrare nelle acque territoriali indiane ed aveva arrestato i due militari. Sullo sfondo della vicenda, a prescindere da qualunque giudizio di merito sull'accaduto, erano presenti tensioni politiche interne allo stato indiano, che avevano probabilmente mosso il sistema giudiziario a prendere una decisione funzionale ad un uso politico. La questione non era irrilevante, un fatto colposo commesso in acque internazionali compete alla giurisdizione del paese per il quale la nave, teatro del fatto stesso, batte bandiera. Insomma all'Italia veniva sottratta in modo arbitrario una questione giuridica a lei esclusivamente competente. La pericolosità della creazione di un tale precedente, che nell'ambito del diritto internazionale non costituisce cosa da prendere alla leggera, è stata sottovalutata dagli organismi internazionali, che hanno lasciato la contesa ad Italia ed India. Nelle ultime ore la Corte suprema indiana ha, però, rovesciato, seppure in parte, l'indirizzo giuridico dato dal tribunale del Kerala. Intanto è stata dichiarata l'incompetenza della corte dello stato indiano ed il caso è stato trasferito ad un tribunale speciale di prossima costituzione, con sede nella capitale indiana. Questa soluzione si gioca su di un confine giuridico molto sottile: da un lato viene riconosciuto che il fatto è avvenuto in acque internazionali in maniera ufficiale, ma dall'altro lato viene negato il godimento dell'immunità sovrana per l'esercizio della funzione di sicurezza svolta dai marinai italiani sulla nave commerciale, fattore decisivo per l'applicazione della extraterritorialità e quindi l'applicazione della giurisdizione di Roma. Si capisce che l'India tenta di mettere riparo alla violazione palese del diritto internazionale perpetrata dai giudici del Kerala, senza però arrivare a sconfessare in modo toale la decisione, per non incorrere nell'alterazione di equilibri politici locali molto precari. La sensazione è che a Nuova Delhi, sede del tribunale speciale, la prassi del diritto internazionale possa essere ripristinata, ma in attesa del giudizio definitivo sarebbe necessario che a livello sovranazionale le questioni che possono alterare la consuetudine della legislazione internazionale potessero trovare una codificazione normativa più certa. Tale necessità va ben oltre la normale esigenza della certezza del diritto, ma in un contesto sempre più globalizzato diventa una esigenza politica fondamentale, sopratutto in relazione all'insorgenza, sempre più frequente di fenomeni, come la pirateria internazionale, che minacciano, anche indirettamente, la convivenza tra gli stati.
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