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venerdì 18 gennaio 2013
L'occidente diviso di fronte al terrorismo
Un consuntivo sulle ragioni dell'affermazione del movimento terroristico islamico mondiale non è una priorità ma una necessità. I modi per affrontare il fenomeno inaugurati dalla presidenza Bush figlio, non hanno dato i frutti sperati; Obama si è ritrovato a gestire l'Iraq, l'Afghanistan con il corollario della questione iraniana, impostati in una logica già fuori dal tempo presente; ma nonostante l'uscita di scena delle truppe americane, già effettuata, in corso o programmata, la situazione dell'estremismo islamico pare in crescita, i risultati, cioè, sono andati nel verso contrario delle attese, malgrado i tragici bilanci in vite umane e lo sforzo economico sostenuto. L'errore di fondo è stato fatto in partenza: gli USA, nonostante la propria potenza, che resta la prima al mondo, non potevano sostenere da soli il ruolo autoassegnato di gendarme mondiale. La fine dell'equilibrio del terrore, che giustificava il conflitto est-ovest, con la caduta del comunismo ha spostato l'asse del confronto mondiale apparentemente di novanta gradi, creando il confronto nord-sud. Tuttavia questa disamina è troppo semplicistica, se era vero che prima della caduta dell'impero sovietico la monopolizzazione delle relazioni internazionali si poteva racchiudere in modo veritiero tra oriente ed occidente del mondo, la fase attuale, risultato di più sommovimenti internazionali, non può essere inquadrata soltanto nella banalizzazione del confronto tra settentrione e meridione del mondo, dove per settentrione si individuano i paesi ricchi o ad economia avanzata e per meridione i paesi poveri o con economia arretrata ed in via di sviluppo. La molteplicità delle situazioni che si sono venute a creare non può consentire un solo attore principale senza soggetti, che possano almeno coadiuvarlo o rimpiazzarlo in determinate situazioni. La Russia, che forte dell'esperienza internazionale maturata negli anni sovietici e con un apparato militare esteso, supportato da ingenti ricchezze economiche, poteva rappresentare un attore capace di giocare a tutto campo nella diplomazia mondiale, non ha saputo ritagliarsi un ruolo nuovo nel panorama internazionale dopo l'avvento della democrazia; Mosca si è chiusa in una sorta di isolamento tra quelli che erano i confini dell'URSS, limitandosi a diventare una potenza regionale. La Cina, la nuova vera potenza mondiale, è alle prese con la profonda trasformazione tutta puntata sull'economia, ha come linea guida in politica internazionale il principio della non ingerenza negli affari interni a patto che questi non interferiscano con le proprie mire economiche e comunque la statura diplomatica attuale è ancora ben lontana da consentirgli di recitare un ruolo di leadership mondiale. Della UE tanto è stato detto, la composizione dei paesi che la formano potrebbe consentire di ottenere un risultato potenzialmente consistente, se non dal punto di vista militare, certamente in quello negoziale e diplomatico, tuttavia le profonde divisioni sommate all'incapacità e all'inconsistenza di Bruxelles fanno dell'Unione Europea una grande incompiuta, un soggetto senza una autonomia che necessita sempre più della stampella della NATO. Non resta molto altro se non l'ONU bloccato da un Consiglio di sicurezza dove si arena qualsiasi pratica in arrivo, per l'assurda regola dell'unanimità ed ancora più paralizzato dalla mancanza di una riforma che modelli il massimo organismo sovranazionale sulle esigenze attuali e non su quelle del secondo dopoguerra. In questo quadro le tensioni generate dalle condizioni di miseria e povertà di cui soffrono masse enormi di persone hanno trovato sfogo incanalandosi nella religione; l'affermazione dell'Islam non è stata compresa ancora del tutto neppure ora, tra le potenze occidentali; basti vedere quanta speranza, mal riposta, è stata messa nelle primavere arabe che, anzichè democrazie, hanno generato specie di teocrazie riadattate sulle esigenze del paese dove si affermavano. Quello che era il sud del mondo e che il sistema coloniale e di sfruttamento continuato dopo la fine delle colonie aveva relegato ad una considerazione di minore attenzione e quindi isolato dalla crescita, ha covato a lungo un'avversione ed un astio verso l'occidente, che soltanto le dittature hanno potuto tenere a freno con politiche fatte di azioni di allontanamento ed avvicinamento verso i governi occidentali. La strategia di Obama, di seguire un indirizzo di basso profilo, pur giusta è ormai arrivata in ritardo e sopratutto non ha i giusti contrappesi, così in questo quadro vengono lasciate questioni a metà, come la Libia, che genera altri scenari conseguenti, mentre non si fa nulla per risolvere uno degli alibi fondanti, ma usato soltanto in maniera funzionale, dell'estremismo islamico consistente nella mancata creazione dello stato palestinese. I fatti del Mali discendono direttamente da questa situazione e purtroppo l'impressione è quella di essere soltanto all'inizio. La Francia ha cercato, forse maldestramente, di supplire all'assenza di una autorità più forte di quella di Parigi ed ha operato in un contesto di assoluta solitudine, mostrando così la reale debolezza occidentale di fronte al terrorismo: quella di un mondo occidentale che si presenta diviso ed in accordo soltanto a parole, un mondo che, per adesso, è sicuro tra i suoi confini, ma che è incapace di produrre una visione che vada oltre le proprie mura per accordarsi con movimenti sociali con i quali finirà inevitabilmente per scontrarsi.
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