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mercoledì 6 marzo 2013

Per gli USA appoggio condizionato ad Israele

Le dichiarazioni del vicepresidente americano, Joe Biden, che ha ribadito il profondo impegno statunitense verso Israele, pur essendo vere in assoluto devono essere lette, in linguaggio diplomatico, come un avvertimento ad Israele, affinchè Tel Aviv non si produca in atti che possono minare il rapporto con Washington. Biden ha messo in guardia l'opinione pubblica contro i tentativi di screditare Israele da parte degli USA ed ha sottolineato come Obama sia il stato il presidente che abbia fatto di più per assicurare una sicurezza fisica allo stato israeliano. Questa frase si può leggere con una doppia interpretazione: Obama ha protetto Israele dai nemici ma anche da se stesso. In effetti l'avere insistito fino ad ora in una politica diplomatica, perseguita attraverso le sanzioni, nei confronti della minaccia iraniana, ha scongiurato una guerra pericolosa, che, peraltro, il governo di Tel Aviv, voleva e vuole ancora intraprendere. Le parole di Biden servono ad avvertire Netanyahu a non scegliere l'opzione militare in maniera singola, obbligando gli Stati Uniti ad un intervento in un secondo tempo. Il nervosismo crescente che sta montando nel paese israeliano, tra l'altro alle prese con serie difficoltà nella formazione del governo, non lascia il governo di Washington tranquillo; Netanyahu, anche dopo la campagna elettorale, ha chiesto agli USA di lasciare la strategia diplomatica, che non ha dato frutti apprezzabili, per sostenere Israele in caso di attacco. I segnali che provengono da Tel Aviv, lasciano intendere, che l'opzione militare contro Teheran possa essere relativamente vicina, nonostante la contrarietà americana e quella in corso, tra USA ed Israele, sia una trattativa molto tesa, dove gli interessi dei due paesi non sono affatto coincidenti. Per Tel Aviv, sostenuto in questo dalla maggioranza della popolazione israeliana, l'Iran non è ancora giunto alla costruzione finale della bomba atomico, ma proprio per questo deve essere attaccato prima che riesca a diventare una potenza nucleare. La sensazione è che Israele sia letteralmente in preda al panico e possa compiere un atto, che potrebbe rivelarsi sconsiderato, per troppa precipitazione; quello che non sembra vengano considerate a Tel Aviv sono le conseguenze irreparabili di un eventuale attacco al paese iraniano, con una, inevitabile sollevazione delle popolazioni musulmane, probabilmente anche quelle sunnite, in un susseguirsi di crisi diplomatiche continue, oltre alle inevitabili ritorsioni militari, che potrebbero aprire un periodo, anche lungo, di guerra, in una regione cruciale per la stabilità mondiale. Viceversa gli USA, più che l'attacco agli impianti iraniani, temono proprio le conseguenze, che almeno in parte, sarebbero chiamati a gestire. Un impegno gravoso non certo gradito ad Obama, alle prese con difficili problemi di natura interna e con altre questioni internazionali impellenti. Vi è anche l'ipotesi che gli Stati Uniti ritengano gestibile anche uno scenario che preveda Teheran dotato dell'arma nucleare. I mezzi di controllo satellitari e la difesa elettronica ed antimissilistica, supportata dalla tecnologia dei droni, potrebbe assicurare ad Israele un assetto difensivo sufficientemente sicuro, stimato meno costoso di una guerra diretta. Proprio questa possibilità è quella che più inquieta Netanyahu, costretto a vedere Israele sotto la costante minaccia dell'atomica iraniana. Questa è, dunque, la panoramica in cui vanno inquadrate le parole di Biden, un avvertimento chiaro a Tel Aviv per quanto riguarda la fedeltà verso lo stato di Israele, ma allo stesso tempo la contrarietà ad azioni non ponderate e sopratutto non concordate.

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