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martedì 18 marzo 2014

La nuova guerra fredda di Obama

Obama, nel suo programma elettorale, aveva previsto una politica estera per gli USA, sgravata dal ruolo percepito come imperialista, per abbracciare una impostazione più leggera, improntata alla diplomazia come strumento di risoluzione delle crisi. Il ritiro massiccio dall’Iraq, che alla fine si è rivelato un errore tattico , e lo sganciamento progressivo dall’Afghanistan, dovevano rappresentare gli esempi della nuova direzione. In realtà ciò era imposto anche dalle nuove esigenze americane sullo scacchiere internazionale, che vedono la zona asiatica diventata di primaria importanza. In questo quadro l’assetto europeo veniva dato per scontato, i rapporti con la Russia, seppure non buoni, dovevano restare incanalati in una rispettosa distanza, in modo da non creare problemi su quel fronte. Una nuova guerra fredda non è stata neppure prevista. La vicenda della Crimea ha sconvolto i piani del Presidente statunitense, riportando il rapporto con la Russia di nuovo centrale per la diplomazia di Washington. Il problema che la natura dei rapporti si avvia a ricalcare i tempi passati del secondo dopoguerra, con un ritorno del teorema dell’equilibrio della potenza. Naturalmente non si tratta più di un confronto essenzialmente bipolare all’interno della dimensione mondiale, ma di un confronto ristretto all’Europa. Mosca ha vissuto come una invasione del suo spazio vitale l’incessante presenza occidentale in Ucraina, che ha violato quella che intendeva la propria cintura di sicurezza: un insieme di stati favorevoli o neutrali alla Russia, che permettesse a Mosca di esercitare ancora il suo dominio sulle aree ex sovietiche. Con la conquista degli stati prima appartenenti al Patto di Varsavia, passati sotto le insegne della NATO, la Russia aveva già vissuto una sorta di usurpazione alla quale aveva dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Già autorevoli esponenti come Gorbaciov, avevano avvertito di come gli USA si erano spinti troppo oltre. Cercare di andare fino alle frontiere russe si è rivelato un errore, che poteva essere gestito meglio. Uno dei punti deboli dell’amministrazione Obama è proprio l’avventatezza della diplomazia USA: questi ultimi periodi sono costellati da scelte miopi e sbagliate, che hanno contribuito ad obbligare la Casa Bianca dalla deviazione dei suoi propositi di praticare una politica estera più defilata. Ora gli USA devono affrontare la crisi con la Russia senza una adeguata preparazione ed essendo chiaramente impreparati a dare risposte adeguate alle azioni di Mosca. La bassa entità delle sanzioni, tanto sbandierate, è il chiaro esempio dell’inadeguatezza alla ritorsione messa in atto, anche a causa dell’incapacità di gestire la pluralità di tendenze presenti nei paesi alleati, troppo condizionati dai rapporti economici con la Russia. Non avere pensato ad una politica economica e, soprattutto, energetica, preventiva di concerto con gli alleati, che sapesse tutelarli da eventuali disaccordi con la Russia, ha posto Washington in posizione svantaggiata. Ora, con Mosca in posizione di vantaggio sarà impossibile ottenere passi indietro a cose praticamente fatte ed elaborare una strategia di contrattacco concreta. Per gli USA, quindi si apre la strada dell’inasprimento diplomatico, di nuove sanzioni, che potrebbero essere non condivise dall’Europa, in poche parole uno stato continuo di tensione con Mosca. Questo non potrà che portare la politica estera americana a compiere scelte a cui non era preparata, perché impostata in maniera differente e la necessità di scelte veloci potrebbe essere cattiva consigliera ed indurre a grossi sbagli.

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