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mercoledì 30 aprile 2014
L'Iraq alla prova elettorale
Le elezioni irakene si stanno tenendo in un clima di grande tensione; si tratta della prima tornata elettorale senza la presenza dei soldati statunitensi. I temi della campagna elettorale si sono concentrati intorno ai grandi problemi del paese: la povertà, la disoccupazione, la corruzione e la carenza di servizi pubblici; ma oltre a queste emergenze, vi è anche la scarsa redistribuzione della ricchezza proveniente dall’incremento della produzione di greggio, salito a circa 3,5 milioni di barili al giorno. Si tratta di argomenti comunque tutti ben collegati, che richiederanno uno sforzo non indifferente al governo che uscirà dalle urne. La struttura sociale del paese, divisa in tre grandi gruppi; sciti, sunniti e curdi, non facilita una reale unità della nazione, che appare divisa e quindi debole, di fronte alle sfide interne per innalzare il livello della qualità della vita complessivo del popolo irakeno nel suo complesso. In particolare il fenomeno della corruzione influenza tutti gli aspetti della vita politica e sociale del paese, rappresentando un ostacolo praticamente invalicabile per attuare quella diffusione del reddito necessaria ad appianare i contrasti. Si deve ricordare che il tutto si svolge in un paese martoriato dal terrorismo, che miete una media di venticinque vittime al giorno e dove alcune zone sfuggono all’autorità del potere centrale. L’avanzata, in concomitanza con i successi ottenuti nella guerra civile siriana, del movimento dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, gruppo legato ad Al Qaeda, ha posto il problema del fondamentalismo islamico in primo piano tra le vicende del paese. Favorito dall’appoggio dell’Iran, che cerca di formare una zona scita per esercitare le sua influenza, questo movimento integralista islamico cerca di insinuarsi nei territori del paese al confine con la Siria, per cercare di formare una entità a se stante. Per perseguire questo obiettivo vengono attuati attentati terroristici diretti contro la capitale e le principali città, spesso contro le istituzioni e gruppi di origine sunnita, dando origine a reazioni spesso dello stesso tipo. Il premier uscente Maliki, scita, che punta alla rielezione per il terzo mandato, è accusato dall’opposizione, sia scita che sunnita, di non avere tutelato sufficientemente l’integrità territoriale del paese, per non avere intrapreso misure sufficienti contro la disgregazione avviata dagli integralisti. Tuttavia la disaffezione alla vita pubblica nella quale è caduto il paese dovrebbe costituire uno degli elementi che potrebbero garantire la vittoria a Maliki, più che dei risultati ottenuti o che dei suoi programmi elettorali. Questo aspetto è vero specialmente nel campo sunnita che è arrivato alle elezioni diviso e senza trovare quel terreno comune di intesa necessario ad elaborare strategie alternative vincenti. L’Iraq che si presenta alle elezioni appare un paese con indipendenza ed una democrazia incompiuta, segno tangibile del fallimento americano, dovuto ad una azione che non ha saputo andare oltre l’attività bellica, senza fornire un aiuto completo alla costruzione delle istituzioni democratiche. La nazione irakena, appare così abbandonata a se stessa e schiacciata dalla lotta religiosa e politica tra Iran ed Arabia Saudita, che combattono per potere esercitare sopra di essa la propria influenza. Siamo in presenza quasi della ripetizione della storia postcoloniale, che tanti danni ha fatto in Africa ed in Asia, dove con l’abbandono delle potenze europee veniva lasciata una situazione di totale incertezza, in stati spesso artificiali, dove dovevano conciliarsi, spesso senza riuscita, le esigenze e gli usi di gruppi etnici o religiosi spesso avversi. L’Iraq attuale è in condizioni simili, lacerato da problemi economici e dalla convivenza forzata di gruppi religiosi ed etnici antagonisti, dove il necessario processo di maturazione democratica, seguente ad una dittatura è tutt’altro che compiuto ed anzi ha acuito le profonde differenze ed i contrasti. I 328 vincitori dei seggi messi in palio dalle elezioni hanno davanti un lavoro lungo per elaborare la giusta alchimia di governo, un esecutivo che dovrà sostenere battaglie importanti e che dovrà convincere le maggiori potenze mondiali a sostenerlo ed aiutarlo.
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