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venerdì 17 ottobre 2014
Guerra diplomatica alle Nazioni Unite tra Israele e Palestina
I disordini avvenuti in diverse aree di Gerusalemme e gli scontri a Ramallah, tra esercito israeliano e dimostranti, sono il difficile contorno della battaglia diplomatica che si svolge alle Nazioni Unite tra Autorità Palestinese e stato israeliano. L’ennesima vittima palestinese, un ragazzo di 13 anni colpito da un militare dell’esercito israeliano, durante una azione di contrasto contro i giovani palestinesi che avevano protestato violentemente contro le provocazioni della destra ultraortodossa per l’occupazione della spianata del tempio. In questo quadro lo scontro diplomatico, che si sta svolgendo al Palazzo di vetro, si svolge in un clima ancora una volta tutt’altro che disteso, malgrado la già difficile estate passata, che ha visto svolgersi la violenta guerra di Gaza. L’obiettivo di Abu Mazen è sempre il medesimo: la creazione di uno stato palestinese entro i confini del 1967, con Gerusalemme Est come sua capitale; parte di questi territori sono oggetto di occupazione da parte di Israele, che continua nella politica della costruzione degli insediamenti, sottraendo porzioni consistenti di terreno ai palestinesi, in favore dei coloni, spesso appartenenti ai movimenti religiosi. ultra ortodossi. Questi coloni sono anche rappresentati nella compagine governativa alla guida di Israele, rendendo una soluzione istituzionale nel quadro dei confini del 1967, molto problematica. La tattica di Abu Mazen, per ottenere questo risultato è del tutto pacifica e si discosta in modo netto dalle pratiche terroristiche di Hamas; il presidente dell’Autorità Palestinese intende richiedere una soluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ponga fine all’occupazione e possa permettere la costituzione dello stato sovrano palestinese. Israele rigetta queste proposte con la solita scusa che minacciano la pace, non solo nella nazione israeliana, ma anche nella regione. Si tratta della solita tattica di rimandare la soluzione per guadagnare tempo ed incrementare gli insediamenti dei coloni. La difficoltà maggiore per Abu Mazen di ottenere la risoluzione del Consiglio di sicurezza è insita nel regolamento del massimo organo delle Nazioni Unite, che prevede l’unanimità dei membri per l’approvazione delle risoluzioni esaminate; la presenza degli Stati Uniti, il maggiore alleato di Israele, ha finora vanificato ogni sforzo, ma il deterioramento dei rapporti tra Casa Bianca e Tel Aviv e l’obiettivo, più volte dichiarato da Obama, di arrivare alla definizione della questione tra Israele e Palestina, proprio mediante la soluzione, un territorio, due stati, potrebbero cambiare le cose. Risulta significativo che Washington pare non abbia intenzione di esercitare il diritto di veto ed a prova di ciò sono significativi gli appelli americani affinché Abu Mazen rinvii la propria richiesta al Consiglio di sicurezza fino al mese di gennaio del 2015. In questo lasso di tempo, peraltro non molto ampio, Obama vuole riaffidare la questione dei negoziati al Segretario di stato, John Kerry. Alle condizioni attuali, però, pare trattarsi di un compito quasi impossibile: sono ancora troppe le resistenze di Israele, mentre Abu Mazen non è disposto ad alcuna concessione. La presenza di questa rigidità, soprattutto da parte israeliana, che, alla fine è quella che ha infranto le regole permettendo la costruzione degli insediamenti, rischia di ritorcersi contro Tel Aviv, se Abu Mazen dovesse compiere il passo formale verso le Nazioni Unite. Gli Stati Uniti, messi di fronte ad una scelta di responsabilità, non potrebbero andare contro la maggioranza dell’opinione pubblica mondiale, che riconosce il diritto per i palestinesi ad avere una patria, anche perché, in caso contrario, si troverebbero isolati soprattutto rispetto ai partner occidentali, soprattutto quelli europei sempre più orientati verso il riconoscimento, come, ad esempio, è stato il pronunciamento del Parlamento inglese. Certo la soluzione ideale sarebbe il ritiro di Israele dai territori ed il rispetto dei confini del 1967, con la conseguente firma di un trattato di pace che sancisca la nascita dello stato palestinese; ma con l’attuale governo insediato a Tel Aviv questa non è che una possibilità remota.
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