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venerdì 7 novembre 2014
Dopo il caso del Lussemburgo, ha ancora senso la UE?
Lo scandalo della tassazione agevolata praticata in Lussemburgo a diverse aziende, che hanno conferito nel Granducato i loro guadagni per essere soggetti ad una minore imposizione fiscale, rappresenta il culmine delle storture della Unione Europea e denuncia il fatto che le diseguaglianze tra gli stati, che si riflettono poi sui cittadini, non sono più sostenibili all’interno di una unione nata con tutt’altri scopi. Il Lussemburgo è ora nel centro delle polemiche, ma in situazioni analoghe vi sono anche l’Olanda, il Regno Unito e l’Irlanda. Si tratta di stati che spesso imputano ai paesi del sud Europa le colpe del dissesto finanziario comunitario e sono dalla parte del rigore, soprattutto l’Olanda, quando , al contrario, sottraggono agli stessi stati che criticano ingenti somme che potrebbero derivare dalla imposizione fiscale locale. Quello davanti a cui ci troviamo è un paradosso che se non sarà risolto fornirà ulteriori argomenti ai partiti anti europeisti e populisti, purtroppo con ampie ragioni. La necessità principale diventa ora quella di uniformare il regime di tassazione in tutti i ventotto paesi in maniera drastica, prevedendo l’espulsione per i paesi che non vorranno adeguarsi; inoltre occorre pensare un meccanismo riparatore che obblighi al versamento di parte delle tasse incassate dai paesi con regimi agevolati verso quelli che sono stati penalizzati dallo spostamento delle sedi legali. Senza questi due provvedimenti la credibilità della UE è nulla e diventa così a rischio la stessa sopravvivenza dell’istituzione europea. La domanda centrale è se i governi danneggiati avranno il necessario coraggio di intraprendere questi provvedimenti o staranno ancora a subire queste sperequazioni molto rilevanti per il risultato economico. Anche la posizione del nuovo capo della Commissione Europea, subentrato a Barroso, il lussemburghese Juncker, al governo nel Granducato per venti anni e quindi responsabile del regime di tassazione agevolato, dovrebbe essere rivista con la rimozione dall’incarico, per ovvie ragioni di opportunità e prestigio dell’istituzione. Resta certo che senza provvedimenti del genere anche nei più ben disposti vero la UE, le opinioni rischiano di coincidere con chi ne vuole ridurre l’invadenza o decretarne la fine, giacché non è logico, e tantomeno comprensibile, imporre sacrifici ai cittadini degli stati con regime fiscale alto, quando questi stati perdono l’introito previsto dalle leggi fiscali vigenti per i guadagni e l’attività svolte sul proprio territorio a beneficio di altri paesi che formalmente, ma solo formalmente, sono degli alleati. L’Unione Europea, con questo scenario sempre più chiaro, mostra una patologia che è doveroso risolvere, ma che rappresenta anche una carenza organizzativa preoccupante, propria di una istituzione sempre meno radicata nella società civile e che cala dall’alto decisioni senza averne più l’autorevolezza. Una volta tanto i paesi meridionali europei non possono essere tacciati di eccessiva furbizia e di pratiche scorrette: sono i paesi del nord ad avere agito in modo subdolo ancorché legale, approfittando del vuoto normativo, perché di questo si tratta, causato dall’inefficacia di Bruxelles. Un ulteriore aspetto molto grave dal punto di vista dell’immagine è che il Lussemburgo, così come l’Olanda, sono paesi fondatori dell’Europa unita e sono presenti fin dall’inizio del processo di unificazione, attraversandone tutte le fasi. Questa constatazione ne mette in serio dubbio la reale convinzione ed avvalora il sospetto, che ha più volte riguardato il Regno Unito, di continuare ad aderire alla UE soltanto per riceverne i vantaggi, senza restituire altrettanto. Come si vede siamo in una situazione limite che impone una seria ed attenta riflessione, che deve portare a ridiscutere l’adesione all’Unione Europea su norme maggiormente cogenti e su valori effettivamente condivisi: non c’è più posto per chi non sta alle regole e si nasconde dietro ragioni di comodo: senza questi semplici principi è meglio che il numero degli stati si riduca o si arrivi addirittura ad una estinzione del processo europeo, gettando però anni di sacrifici e prospettive che sembravano andare in tutt’altra direzione.
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