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lunedì 16 marzo 2015
Gli errori della politica estera USA causano la volontà dell'Arabia Saudita di avere la tecnologia nucleare
La possibilità di un accordo definitivo sul nucleare iraniano, allarma, non soltanto Israele, ma anche e, forse, sopratutto le monarchie del Golfo di religione islamica sunnita, tradizionalmente avverse all’indirizzo praticato in Iran, il paese principale per gli sciiti. La rispettiva avversione, che parte da ragioni religiose ed arriva a temi geopolitici, deve essere ora inquadrata in uno spettro più ampio, che riguarda l’evoluzione della lotta allo Stato islamico, fino alla questione palestinese. Non sono neppure estranei i tanti sbagli in politica estera compiuti da Washington, che ha perseguito un obiettivo alla volta, perdendo il quadro di insieme. Dopo quattro anni di guerra siriana, l’errore iniziale di non combattere Assad, si riverbera moltiplicato nella situazione attuale. Da allora si sono create le condizioni favorevoli per la formazione del califfato, probabilmente finanziato dalle monarchie sunnite, sicure di poterlo controllare con evidenti fini anti Siria e quindi anti Iran, che è divenuto il problema principale della Casa Bianca. In realtà dovrebbe esserlo anche per tutti gli stati del medioriente, che, però, non hanno saputo opporre una strategia valida alla sua espansione, non trovando niente di meglio che fornire scarsi aiuti e rinchiudersi all’interno dei propri confini. Questa miopia ha favorito l’azione di Teheran, unico paese a scendere sul terreno di battaglia con i propri effettivi, che hanno affiancato i curdi e l’esercito regolare irakeno, guidato da un governo sciita. Questo elemento rappresenta una ulteriore aggravante per le scelte americane nei confronti di Bagdhad, dove non si sono sapute coinvolgere le parti sunnite moderate nel governo del paese. Ad Obama ha fatto comodo non dovere andare oltre l’uso dell’aviazione contro lo Stato islamico, ma l’arma aerea non può da sola vincere in un conflitto di tipo tradizionale senza l’impiego di truppe di terra. Probabimente all’inizio gli iraniani hanno collaborato in modo ufficioso con gli USA, primo per difendere il proprio territorio e poi per guadagnare una maggiore attenzione proprio per la buona riuscita della trattativa sul nucleare. Ma ora i concreti successi militari hanno determinato una prospettiva nuova per Teheran, quella di esercitare una concreta influenza su di uno stato irakeno prevalentemente sciita. Questa possibilità, molto concreta, permette di aumentare il peso specifico politico dell’Iran, sia nel medioriente, che in una potenziale trattativa per portare la pace in Siria, esercitando la sua influenza a favore dell’alleato Assad, anche inquadrato come possibile strumento contro lo Stato islamico, presente con le sue truppe anche in Siria. Tutto questo quadro è totalmente avverso alle monarchie del Golfo ed in special modo all’Arabia Saudita. Non è un caso, infatti, che le rimostranze, peraltro già presentate in passato, contro l’eventuale accordo sul nucleare iraniano, abbiano ora registrato una maggiore intesità. La minaccia concreta è che un accordo con Teheran, apra una rincorsa alla costruzione di impianti nucleari, tutti classificati come di uso civile, in tutti i paesi del Golfo, che, peraltro, avrebbero già avviato contatti con i paesi principali fornitori di queste tecnologie. Per gli USA e le altri grandi potenze, il rischio è l’apertura di una serie di nuovi negoziati, con ricadute sugli interi equilibri della regione. L’intenzione araba è prima di tutto equilibrare gli impianti iraniani, in una sorta di equilibrio del terrore in versione mediorientale, che stravolgerebbe il sogno mondiale a lungo inseguito di un pianeta libero da installazioni nucleari. Le rassicurazioni americane, di un impiego pacifico di una energia i cui costi di smaltimento appaiono sempre più gravosi, sembrano indebolirsi di fronte ad una proliferazione di impianti che da civili potrebbero diventare militari. D’altra parte il caso iraniano è troppo avanti per non arrivare ad una soluzione, ma se Israele, forse con un nuovo governo può essere tranquillizzato più facilmente, la situazione degli alleati sunniti degli Stati Uniti, può rappresentare una gestione ancora più difficoltosa. Il grave errore di Washington è quello di essere arrivato a questo punto senza avere risolto fin dall’inizio la questione siriana, imponendo le forze laiche che si opponevano al regime e di non avere stroncato subito lo sviluppo del califfato. Con questi due elementi a favore in mano, la Casa Bianca avrebbe gestito in maniera più agevole e sicura il negoziato sul nucleare iraniano ed i rapporti di equilibrio nella regione mediorientale, viceversa, con la situazione attuale, ricca di incognite e dallo sviluppo molto incerto i problemi di natura diplomatica, anzichè diminuire sono destinati ad aumentare e diventare ancora più complicati.
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