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mercoledì 29 aprile 2015

Damasco in difficoltà contro l'unione dei gruppi ribelli

Il regime siriano, dopo quattro anni di guerra, appare in seria difficoltà. Le ultime vicende del conflitto parlano di gravi sconfitte militari, con la conseguente perdita del controllo di notevoli porzioni di territorio. Ad emergere, nella guerra è la formazione di Al Nusra, legata ad Al Qaeda; questo particolare pone in evidenza come la milizia fondata da Bin Laden, non sia affatto scomparsa, ma combatta in zone definite, ottenendo dei successi militari, anche consistenti. Una regione che non è più sotto il controllo di Damasco è quella al confine con la Turchia, la zona è considerata strategica per l’evoluzione del conflitto, in quanto lo stato turco spinge per la caduta di Assad, anche se non si è mai formalmente impegnato in azioni militari. L’impegno non dichiarato della Turchia, aiuta a capire la situazione del conflitto che si è venuta a creare. Gli stati sunniti hanno praticamente stretto una alleanza informale, che comprende anche Qatar ed Arabia Saudita, con l’obiettivo di sottrarre la Siria all’influenza iraniana. Un effetto collaterale di questo disegno politico è stata la nascita della formazione denominata Stato islamico, finanziata dagli stati sunniti e che successivamente si è sottratta al loro controllo. Ma questa esperienza non sembra essere stata sufficiente per gli stati sunniti; occorre partire dal presupposto che nessuno di queste nazioni vuole impegnarsi in prima persona contro Damasco e quindi viene continuata la tattica di finanziare altre milizie sunnite, sostenute in questo progetto anche dai capi religiosi delle varie fazioni. Il programma è quello di riuscire ad unire la frammentata opposizione ad Assad, fattore che ha permesso, fino ad ora, la sopravvivenza del regime. Chi manovra da lontano questi gruppi, che sono rimasti fuori dall’influenza del califfato, vuole creare una forza capace di prendere Damasco, senza unirsi allo Stato islamico. Non è un progetto impossibile da realizzare perché il califfato è impegnato a difendere ed a mantenere le posizioni conquistate, ma non sembra potere andare oltre questo compito, già di per se molto difficoltoso. Occorre ricordare che gli alleati di Assad sono gli iraniani e d i militanti di Hezbollah, che, tuttavia, possono assicurare minore aiuto a Damasco, proprio perché impegnati a combattere il califfato. Questa sorta di cortocircuito militare favorisce chi vuole unire l’opposizione di matrice religiosa ad Assad non ancora confluita nello Stato islamico, perché la situazione gli consente di non impegnarsi nella lotta tra oppositori di Damasco e, nello stesso tempo, approfittare della condizione di debolezza delle forze siriane lealiste. Il regime di Damasco, proprio per questa concomitanza di circostanze, appare ulteriormente indebolito, dopo che le sorti del conflitto ne hanno notevolmente ridotto le capacità di resistenza. Gli effettivi hanno subito un forte calo, per mancanza di rimpiazzi e per diserzioni, maturate in un ambiente militare che ha perso la fiducia e non vede la fine del conflitto. Il minore impegno di Hezbollah ed iraniani non è stato sufficientemente compensato dall’impiego di combattenti stranieri di origine sciita, che possono rappresentare, anzi, un fattore di debolezza all’interno dello schieramento di Assad, perché sono portatori di divisione e malumori nei militari regolari. Nonostante la situazione di Damasco sembri compromessa, secondo alcuni analisti, la fine del regime appare lontana; Assad ha già dato prova in precedenza di trovare soluzioni di emergenza, che gli hanno consentito di portare avanti il conflitto , anche quando la situazione sembrava irrimediabilmente compromessa. Molto dipenderà da come le parti sapranno affrontare una guerra che sembra diventare ogni giorno di più un conflitto di logoramento. Dal punto di vista degli alleati sunniti, sarà necessario anche vedere come sapranno gestire le milizie che vengono rifornite, evitando gli sviluppi avuti con il califfato; certamente questa soluzione non è gradita agli USA, che avevano manifestato fin dall’inizio delle ostilità la preferenza per l’opposizione laica, i cui movimenti sembrano essere stati emarginati. Del resto Washington aveva pensato anche ad includere Assad nella lotta al califfato, percependolo come il male minore tra le due parti. La manovra di Arabia Saudita, Qatar e Turchia sembra perciò, destinata ad allontanare, dal punto di vista diplomatico i tre paesi sunniti dagli USA, che rischiano, in caso di vittoria delle milizie, di vedere saldarsi una parte consistente del movimento sunnita estremo dalla Siria fino ai confini con l’Iran, con la prospettiva concreta di un confronto molto pericoloso. In quest’ottica una caduta di Damasco sembra, purtroppo, veramente il male minore per l’occidente, anche ricordando cosa è successo dopo la fine di Gheddafi e Saddam Hussein. Si rischia così di riproporsi il dilemma successivo alle primavere arabe, con l’aggravante di una possibile ascesa al potere in modo diretto di formazioni religiose estremiste sostenute da alleati di Washington. Una eventualità che rischia di portare alla completa revisione la politica estera non solo americana, ma di tutto l’occidente.

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