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mercoledì 5 agosto 2015
Il problema del terrorismo ebraico sempre più rilevante per Israele
L'indignazione suscitata in tutto il mondo per l'attentato che estremisti ebraici hanno compiuto in Cisgiordania, bruciando una casa abitata da palestinesi, in cui è morto un bambino di diciotto mesi, ha costretto il governo di Tel Aviv ad inasprire le leggi sulla sicurezza, equiparando i terroristi appartenenti ai gruppi della destra conservatrice ebraica a quelli palestinesi. Sul piano pratico ciò significa la detenzione amministrativa a durata illimitata, per permettere agli inquirenti di svolgere indagini più accurate e senza il pericolo di inquinamento delle prove o fuga del sospettato. Si tratta degli stessi strumenti che vengono usati per i sospettati di atti di terrorismo compiuti contro lo stato israeliano dai palestinesi e, per i quali, si ha più di un sospetto sulla loro legittimità, in speciale modo in relazione alla violazione dei diritti civili. Il tempo dirà se il provvedimento verrà messo effettivamente in pratica o se è il risultato di un mero annuncio per placare la platea internazionale e l’opposizione interna. Per il momento è importante rilevare il dato, comunicato da diverse organizzazioni non governative, che il ricorso da parte di cittadini palestinesi alla giustizia ebraica per denunciare atti di intimidazione violenti, perpetrati ai loro danni da cittadini israeliani, spesso appartenenti a comunità insediate nelle colonie, non ha avuto alcun risultato nella consistente percentuale di oltre l’ottantacinque per cento dei casi. Il dato è quindi molto eloquente sulla volontà della giustizia israeliana di volere effettivamente perseguire le condotte illecite verso i palestinesi. In ogni caso la gravità di quanto accaduto mostra, con ogni evidenza, che il fenomeno dell’impunità che il governo ha assicurato ai coloni, in quanto strumento di occupazione dei territori palestinesi, inizia a sfuggire al controllo dell’esecutivo di Tel Aviv. Se Netanyahu si è visto costretto ad annunciare un simile provvedimento significa che l’atteggiamento dei coloni, sempre più violento, inizia a dovere essere rivisto, perché controproducente alla causa dell’espansione dei territori. Alla manifesta illegalità della costruzione delle colonie, che vengono insediate in violazione degli accordi del 1967, si associa sempre più, come percezione internazionale, l’inaudita violenza dei coloni e ciò rischia un progressivo isolamento di tutto il paese israeliano, a cui sarà veramente difficile mettere riparo. Questa situazione è però una diretta conseguenza della politica dello sviluppo delle coline nei territori palestinesi, affidata a persone legate intimamente ai gruppi ebraici più oltranzisti e quindi più propensi ad usare comportamenti violenti per difendere quello che ai loro occhi è un diritto legittimo basato sulla loro particolare interpretazione dei testi sacri. Questa commistione di nazionalismo spinto ed oltranzismo religioso, in base alle quali sembrano essere stati selezionati i coloni non poteva che produrre uno stato di reciproca intolleranza con i palestinesi, che, a loro volta, vivono la costruzione delle colonie, con la relativa sottrazione delle loro terre come una palese ingiustizia. In effetti la politica espansionistica di Israele, che ha come obiettivo quello di aumentare la propria superficie, pare essere sostenuta come una azione di pura colonizzazione su base religiosa e politica, soltanto che chi ha pensato a questi strumenti non ha tenuto conto dell’eccessiva enfasi che contenevano e che, ormai, ha passato ogni segno di ragionevolezza. Del resto il paese israeliano, proprio per la scarsa attenzione e la poca repressione dei fenomeni legati alla religione interpretata in maniera oltranzista, si trova ormai alle prese con il fenomeno del terrorismo religioso, ma di tipo ebraico, che arriva a colpire anche gli stessi cittadini israeliani giudicati portatori di comportamento non conformi alla lettura integralista del credo ebraico, come accaduto in occasione del Gay Pride. In Israele si sta, dunque, affermando un integralismo religioso, che non è giustificato dagli effettivi seguaci presenti nel paese. Gli ultranazionalisti rappresentano, infatti, una parte minoritaria della società del paese, spesso anche sopportato non bene, ma che impone le sue azioni per una maggiore determinazione, facilitata da un atteggiamento conciliante del potere costituito. Se le intenzioni di Netanyahu avranno delle applicazioni pratiche, ciò potrà essere una base di partenza per una eventuale ripresa del processo di pace, viceversa Israele sarà destinato a diventare una nazione sempre più ai margini della dialettica diplomatica globale.
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