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venerdì 11 settembre 2015

Lo scenario siriano

L'ingresso in campo dei russi nella contesa siriana sta avvenendo in maniera morbida, una sorta di Crimea asiatica, ma che sembra presagire gli sviluppi più diversi. Mosca non ha mai smentito l’appoggio ad Assad, ma finora si era mantenuta lontana dal conflitto, in omaggio alla propria strategia in politica estera, che vieta l’intromissione negli affari di uno stato estero. Questo principio può, però, essere superato se il Cremlino individua interessi diretti per le proprie strategie. Certo i casi della Crimea e della zona orientale dell’Ucraina sono molto diversi, perchè in quel frangente Mosca le considerava, e le considera, zone di pertinenza esclusiva, per ragioni geopolitiche e per la presenza di cittadini di origine russa; non si può dire altrettanto della Siria nel suo complesso, ma soltanto per la base di Tartus, che è l’unico approdo navale della Russia nel Mediterraneo. Dal punto di vista strategico la presenza della flotta navale militare è per Mosca un punto sul quale non transigere: malgrado tutti gli spostamenti determinati dai nuovi equilibri mondiali, il mare Mediterraneo rappresenta ancora un punto centrale nella poltica estera degli stati che ambiscono a giocare un ruolo di primo piano nella politica internazionale. Ma soltanto questo aspetto non basta ad un impegno che sembra destinato a diventare importante e lasci intendere un coinvolgimento diretto in prima persona in una guerra, che minaccia di ritorcersi contro la leadership del Cremlino. Il punto centrale è che la Russia teme una scalata al potere nel paese siriano, una volta che, in qualche modo si dovesse riuscire a debellare lo Stato islamico, da parte delle formazioni laiche appoggiate dagli Stati Uniti. Questo cambiamento, se dovesse verificarsi, scenario dal quale si è molto lontani per il grave ritardo di preparazione militare delle milizie alle quali Washington fornisce assistenza, sposterebbe l’influenza sulla Siria, da Russia ed Iran verso l’occidente. Il problema a chi deve andare l’appoggio del paese siriano che si riuscirà a formare in futuro sta diventando sempre più evidente, più passa il tempo, in una situazione generale che pare caratterizzata dal tutti contro tutti, fattore che continua a favorire il controllo del territorio da parte del califfato. L’evoluzione della situazione siriana permette di individuare diversi soggetti interessati ad influenzare più o meno direttamente la Siria, considerata essenzialmente strategica nell’equilibrio regionale. Assad è la prima figura in questo contesto, gli è sfuggita di mano una situazione dalla quale poteva uscire in maniera dignitosa, allentando il ferreo controllo sul paese tramite concessioni poltiche attenuate che gli avrebbero consentito di mantenere il potere ed evitare la carneficina che sta andando avanti da quattro anni; poi ci sono i paesi sunniti, Turchia ed Arabia Saudita, per primi, che hanno cercato di sfruttare la guerra civile fin dall’inizio, favorendo le milizie integraliste, che poi si sono sottratte al loro controllo diventando lo Stato islamico. Le intenzioni dei paesi sunniti erano quelle di sottrarre all’influenza iraniana il paese siriano. Pur essendo alleati degli Stati Uniti hanno giocato e, per certi versi continuano a giocare una partita il cui obiettivo è molto distante da quello della Casa Bianca, Ankara, per di più usa la guerra al califfato per regolare i propri conti con i combattenti curdi. Questi ultimi sono, anch’essi, alleati degli americani, peri quali hanno finora svolto il lavoro sul terreno, in attesa della ricompensa della costituzione di una nazione curda sovrana. Sono stati traditi dal permesso e al silenzio statunitense, che ha preceduto i bombardamenti alle loro postazioni da parte dei turchi. L’Iran è l’alleato principale di Assad e quello maggiormente interessato a che la situazione non subisca variazioni politiche; è impeganto fin dall’inizio con i suoi effettivi nella repressione contro la rivolta democratica e successivamente contro gli integralisti islamici sunniti dello Stato islamico. In parte ha già fallito il proprio obiettivo di mantenere ad Assad il controllo su tutta la Siria, ma è stato fondamentale per impedirne la definitva uscita di scena. Dei russi si è già parlato, non restano che Francia e Regno Unito, che, sollecitate dal problema dei profughi provano ad entrare nel conflitto senza una adeguata visuale, che è comunque un dato comune a tutte le parti in causa. Per ultimi rimangono gli Stati Uniti, caratterizzati da una politica incerta, senza un progetto generale sulla Siria, hanno proceduto a tentativi frutto di improvvisazione, che non hanno conseguito alcun risutlato di rilievo. Obama in politica estera è stato debole, ma sulla Siria è stato tutt’altro che uno statista, limitandosi ad un ruolo assolutamente fuori scala per l’importanza che rivestono gli Stati Uniti. Resta pur vero però, che non ha potuto contare su alleati affidabili ele stesse Nazioni Unite sono state fallimentari nel trattare la questione siriana. Queste divisioni, che dovevano essere accantonate per lottare contro il terrorismo, hanno favorito l’avanzata dello Stato islamico e la fuga biblica dei civili siriani, costretti a subire lutti, violenze, carestie e gravi situazioni sanitarie, per il comportamento subito da tutte le parti in causa. Ora sembra che l’urgenza più importante sia sconfiggere il califfato e ciò ridà ad Assad la concreta possibilità di essere individuato come male minore e quindi gli permette di continuare a ricoprire un ruolo politico nella Siria. Se è comprensibile questo approccio, è anche vero che vuole dire rimandare un problema più che concreto perchè l’eventuale presenza di Assad renderà impossibile la pacificazione della Siria, che rischierà di trovarsi in un perenne stato caratterizzato dalla mancanza di equilibrio interno. In questo caso è valida più che mai la soluzione diplomatica, per raggiungere un compromesso tra tutti i soggetti internazionali che hanno contribuito a creare il conflitto civile siriano. Senza una forma di accordo dove tutti dovranno rinunciare a qualcosa si metterà in pericolo la stabilità regionale in un punto del mondo che è troppo importante che ritrovi il suo equilibrio per non intaccare quello mondiale.

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