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lunedì 5 ottobre 2015

L'Unione Europea chiede aiuto alla Turchia per la gestione dei profughi

Una soluzione che l'Unione Europea ha pensato per fermare l’afflusso dei profughi provenienti dalla Siria è quella di finanziare la Turchia, in modo che si faccia carico dei rifugiati e, nello stesso tempo, ne impedisca l’uscita dalle sue frontiere, impedendone l’accesso all’Europa. Se, da un lato, un aiuto economico è doveroso al paese turco, che non dovrebbe provenire soltanto da Bruxelles, che si è fatto carico di una grande quantità di sfollati, appare meno coerente ai principi comunitari richiedere ad una nazione, come la Turchia, di pattugliare le frontiere per conto dell’Unione Europea dietro un compenso economico. La vicenda tra Bruxelles ed Ankara è nota: la Turchia ambiva ad entrare nell’Unione Europea ed è stata respinta perchè i suoi standard politici non rispondevano ai criteri democratici necessari. Dopo il rifiuto il paese turco, governato da Erdogan ha peggiorato il trattamento dei diritti civili e politici, facendo apparire quindi la decisione di Bruxelles ampiamente giustificata, mentre l’ottica internazionale della Turchia si è volta ad oriente con il programma di creare una zona di influenza in grado di ricalcare quella dell’impero ottomano. Queste velleità, all’inizio erano supportate da un buon sviluppo dell’economia turca, unite ad una percezione dei paesi vicini che Ankara fosse in grado di avere una influenza diplomatica e culturale consistente. La svolta illiberale impressa dal governo di Ankara e la miopia internazionale hanno provocato, però, uno stato di crescente isolamento del paese, che ne ha determinato la minore importanza sullo scacchiere internazionale. La promessa europea, quindi, costituisce, anche se a livello informale, la possibilità di un rilancio della Turchia, con un ruolo che può essere classificato di tipo umanitario e può consentire la riapertura di un dialogo con una Unione Europea in difficoltà e bisognosa dell’aiuto di Ankara. Tuttavia per Bruxelles il rimedio appare peggiore del male. Senza dubbio le considerazioni fatte a Bruxelles, per elaborare questo tipo di offerta, sono state elaborate sul corto periodo, senza una visuale di ampio raggio; ciò mette in risalto l’incapacità comunitaria di gestire un fenomeno che si poteva facilmente prevedere e, che, sopratutto, mira a mettere fine ai dissidi con i membri più contrari all’accoglienza, senza, quindi, attuare alcun meccanismo sanzionatorio. La scelta di ricorrere all’aiuto turco poteva costituire una scelta positiva se restava uno strumento complementare e non bloccava, come presumibilmente si verificherà, la discussione sull’adesione ai principi dell’Unione. Così, invece, viene anche offerto un pretesto alla Turchia per reclamare il suo accoglimento nell’Unione, facendola risultare, almeno sul fronte dell’assistenza ai profughi, meglio di quei paesi, sopratutto dell’europa orientale, che hanno ostentato un atteggiamento contrario, del resto se si pensa a come sono considerati i diritti civili attualmente in Ungheria, questo paese non avrebbe i requisiti per entrare nell’Unione Europea allo stesso modo di come non li ha la Turchia. Dal punto di vista dell’immagine internazionale questa operazione potrà essere fatta passare come una collaborazione internazionale a favore dei profughi, in realtà ciò costituisce l’ennesimo fallimento di una istituzione che non si dimostra in grado di avere una sufficiente coesione al suo interno ed è incapace di risolvere da sola i problemi che vengono dall’esterno. Appare chiaro che questa soluzione rappresenta un palliativo ed il ricorso all’aiuto di un paese respinto dimostra l’insufficienza politica di Bruxelles, che mai alcun raggiungimento sugli obiettivi del bilancio riuscirà mai a compensare. La delega alla Turchia del contenimento del traffico migratorio è destinata quindi a diventare l’ennesima sconfitta di Bruxelles, a meno di non approfittare di questa soluzione per elaborare piani di pronto intervento, che devono comprendere anche l’assunzione in prima persona di problematiche molto spiacevoli, come possibili impegni diretti sul terreno militare, oltre che un più deciso impegno diplomatico, di cui Bruxelles si vanta di sapere esercitare senza alcun motivo reale. Questa pagina dell’Europa, dal punto di vista politico, rappresenta uno dei punti più bassi raggiunti dall’Unione Europea e deve senz’altro essere inteso come una base da cui ripartire per non ripetere più errori così evidenti.

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