Politica Internazionale

Politica Internazionale

Cerca nel blog

mercoledì 18 maggio 2016

La difficoltà dell'accordo con la Turchia è un ulteriore segnale di difficoltà per l'Europa

La possibilità di una riuscita del patto tra Unione Europea e Turchia, non solo per la questione dei profughi, ma anche per una collaborazione maggiore, capace di portare il paese turco all’interno dell’organizzazione di Bruxelles, mostra la concreta previsione negativa a causa delle sue criticità. I presupposti di urgenza con cui erano stati stipulati gli accordi, avevano causato più di una perplessità e sollevato critiche, anche consistenti, da parte di chi, oltre ad essere in disaccordo per motivi umanitari, non vedeva alcun vantaggio pratico da una tale strategia. I burocrati di Bruxelles avevano individuato nella Turchia un possibile argine al flusso migratorio, sopratutto proveniente dalla Siria, che ha causato profonde divergenze all’interno dell’Unione Europea; si era cercato, cioè, di trovare una soluzione alla crisi dei rapporti tra gli stati membri, in un soggetto terzo, nonostante le garanzie non fossero completamente di affidabilità assoluta. Occorre, poi considerare le ragioni di Ankara per aderire a questo patto, che non erano certamente basate su motivi di umanità, ma piuttosto di opportunità politica. Erdogan aveva visto nello stato di necessità dell’Europa un possibile varco nel quale inserirsi, per soddisfare le proprie aspirazioni per entrare a fare parte dell’Unione Europea, seppure in maniera graduale. La questione era aggirare le garanzie richieste da Bruxelles in materia di diritti civili e politici, che hanno sempre rappresentato la causa ostativa al processo di adesione per Ankara, riprendere il percorso per entrare nell’Unione, che sembrava interrotto in maniera pressoché definitiva, poteva rappresentare per il governo di Erdogan, più volte accostato ad un regime, una modalità per riacquistare prestigio e visibilità internazionale. Tuttavia le intenzioni del presidente turco non sono mai state supportate da elementi concreti nel senso del rispetto dei diritti, che, anzi, hanno visto la situazione complessiva aggravarsi, grazie alla scusa della legislazione  per prevenire il terrorismo. Questa legge, anzi, ha creato i presupposti per comprimere ancora di più le garanzie del rispetto dei diritti ed ha praticamente tacitato tutta la stampa di opposizione, con un cambio di direttori e giornalisti delle testate avverse al governo, che hanno assunto una linea più vicina a quella dell’esecutivo. Alla conseguenza immediata di restringere il campo delle critiche è seguita una politica repressiva dei giornalisti non allineati, che sono stati oggetto di condanne ed incarcerazioni, in un quadro ancora ancora più ampio di repressione della società civile turca, a cui non è consentito dissentire dalle posizioni sempre meno democratiche del presidente Erdogan. Anche l’abbandono del capo del governo, una personalità che poteva garantire alcuni margini di manovra nei colloqui con l’Europa, rappresenta l’ennesimo segnale di un malessere che sta invadendo anche gli ambienti politici più vicini alla carica presidenziale. Questi presupposti non costituiscono una base sufficiente per continuare le trattative, anche se l’Unione Europea continua a non elaborare strategie alternative alla soluzione dei migranti. Bruxelles deve riuscire a compiere valutazioni prima di tutto politiche di lungo periodo e non abbandonarsi alla contingenza del momento: aprire una porta a questa Turchia significherebbe stravolgere l’impianto comunitario ed aumentare ancora di più le tensioni interne, capaci di favorire la vittoria delle formazioni contro l'Unione Europea e ridurre lo spazio di dialogo tra gli stati membri. Esistono anche altri aspetti al di fuori del tentato rapporto con Ankara, che destano perplessità legate agli aspetti legali del trattamento dei richiedenti asilo. Infatti in Grecia il problema delle espulsioni verso la Turchia dei profughi siriani sta bloccando il processo, per il timore di ricorsi, tuttavia le condizioni del paese greco sono al limite ed occorre al più presto trovare una soluzione alternativa a quella turca, anche perchè vi sarebbero casi di maltrattamenti dei siriani ritornati in Turchia. La preoccupazione di Atene è che il rifiuto dello status di rifugiato sia contrario alle regole internazionali , come anche interpretato da fonti autorevoli quale l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. Se questa fattispecie giuridica dovesse essere vera la responsabilità ricadrebbe sul paese greco, anziché su Bruxelles, dove è stato pensato l’accordo con la Turchia. Questo scenario aiuta a capire la debolezza di una istituzione che pensa alla propria sopravvivenza, senza tutelare i singoli membri: un metodo alquanto lacunoso e fallace, che non consente, senza una netta inversione di rotta, di sperare nella bontà di un approccio complessivo ai problemi comunitari con una giusta attenzione alle dinamiche complessive, sia politiche, che economiche, che sociali, in grado di trovare soluzioni giuste ed equilibrate con le emergenze che si stanno via via presentando. L’aspetto della scelta sull’ammissione di nuovi soggetti all’interno dell’Unione è quello più delicato, non devono essere ripetuti gli errori del passato, quando sono stati ammessi stati non in linea con i principi fondativi dell’unione, ma soltanto per convenienza strategica di Washington o economica di Berlino.  Non a caso i paesi dell’Europa orientale sono quelli da cui provengono i maggiori problemi di coesione internazionale e l’eventuale entrata di uno stato come la Turchia, che non rispetta le regole democratiche, aggraverebbe questa dialettica già in equilibrio precario. Il banco di prova dei migranti serve a stabilizzare proprio questi rapporti, per instaurare una divisione dei compiti speculare ai vantaggi economici dell’adesione a Bruxelles, che non devono essere garantiti ad oltranza, senza un adeguato atteggiamento di ripartizione degli oneri, tra cui proprio quelli relativi alla questione dei rifugiati, che costituiscono il segnale più concreto per determinare la reale volontà di appartenenza ad una Europa che si vuole fondare sui valori dei diritti sociali e civili, al contrario della visione di determinati stati, che intendono questi diritti a loro esclusivo uso e consumo. Su queste basi deve essere effettuato il ragionamento per determinare i nuovi criteri di adesione e mantenimento degli stati all’interno dell’Unione Europea.  

Nessun commento:

Posta un commento