Dopo quindici anni di conflitto in Afghanistan la situazione nel paese appare tutt’altro che risolta. A causa del fallimento della creazione di un esercito nazionale, che doveva già essere arrivato a 370.000 effettivi, ed, invece, si è attestato ad una forza di 170.000 uomini, lo stato non riesce ad avere il controllo completo del territorio nazionale. Diversi distretti sono sotto la sovranità dei talebani, che, oltre ad amministrarli applicando la legge islamica, hanno creato delle basi operative per le loro forze armate, centri di addestramento, sia per i combattenti, che per i Kamikaze, costringendo la popolazione locale ad essere asservita al volere degli integralisti. Il problema dello stato afghano è dovuto anche ad una classe politica corrotta, che non è riuscita a progredire sul piano politico ed all’assenza di accordi con le parti meno influenzate dalla religione delle organizzazioni talebane, presenti nelle strutture tribali, quelle verso cui è necessario rivolgersi. Il controllo su diversi distretti degli integralisti islamici costringe l’apparato statale alla rinuncia dell’esercizio della propria sovranità su parti del paese, che, di fatto, sono poste al di fuori dell’ordinamento statale. L’atteggiamento delle forze armate è parte di questo problema, giacché la scarsa capacità operativa dei militari, li costringe ad una tattica difensiva, che non permette azioni mirate alla riconquista del territorio. Si tratta di una guerra di logoramento, dove i talebani esercitano un avanzamento lento ma costante, che vanifica tutti gli sforzi della coalizione internazionale e sopratutto degli Stati Uniti. Dal 2001 l’investimento occidentale è stato di 65.000 milioni di dollari soltanto per l’addestramento e la fornitura delle armi necessarie per creare ed armare un esercito, che, praticamente non esisteva. La situazione dello scarso numero degli effettivi dipende da una scarsa attitudine degli afghani per la vita militare ed anche dal gran numero di diserzioni di cui patiscono le forze armate nazionali. La percezione è che gli stessi afghani siano poco convinti dell’utilità di un esercito nazionale e preferiscano ancora la tutela occidentale. Nel periodo tra il 2015 e l’inizio del 2016 si stima che gli effettivi che sono stati sostituiti sia stato almeno un terzo, con la conseguenza, che un gran numero di soldati afghani sia impreparato alla lotta diretta contro i talebani, più addestrati e motivati ed abituati a muoversi su di un terreno ben conosciuto. Ufficialmente terminate nel 2014 le operazioni per la liberazione dell’Afghanistan, di fatto sono state solo ridotte e l’impegno ufficiale sottoscritto in Polonia prevede una presenza fino al 2020 delle forze occidentali; il programma sarebbe quello di rendere autonomo l’esercito nazionale per vincere la contesa con i talebani, ma attualmente questo risultato appare molto lontano. Quello che manca a Kabul, oltre ciò che è stato già citato, è una struttura diplomatica capace di allacciare rapporti con gli stati confinanti, per intraprendere un progetto che tolga alle milizie talebane l’appoggio diretto ed indiretto, che alcuni stati confinanti gli assicurano. In particolare l’atteggiamento del Pakistan continua ad essere non troppo chiaro, anche perchè la pressione sull’Afghanistan consente di mantenere aperte le ambizioni di influenzare Kabul. Il quadro generale della situazione impone alle forze occidentali ed agli Stati Uniti di trattare il problema Afghanistan con ancora maggiore prudenza: se l’obiettivo di creare uno stato autonomo ed inserito nell’alleanza occidentale, per ora è fallito, per il prossimo presidente che occuperà la Casa Bianca il problema della collocazione di Kabul nello scenario mondiale si ripresenterà puntuale. Impedire l’espansione dei talebani rimane una necessità prioritaria nella lotta al terrorismo, che il conflitto in Siria ed in Iraq non ha certo diminuito; anzi occorre evitare che il livello di questo contagio si allarghi anche a queste, per evitare allargamenti ancora maggiori, capaci di alterare gli equilibri regionali e mondiali.
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