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giovedì 9 marzo 2017

Corea del Nord: il pericolo di una guerra è sempre più consistente

Forse mai come ora è tanto concreto  il rischio di un conflitto nella penisola coreana. Il lancio dei quattro missili, partiti dalle basi nordcoreane, e caduti nelle acque facenti parte della zona economica esclusiva giapponese e, peraltro, a meno di 370 chilometri dalla sue coste, costituiscono una escalation della tensione, proprio per le modalità tecniche con cui è stato eseguito. Infatti il lancio dei missili avvenuto in modo simultaneo, significa, secondo gli analisti militari, la volontà di rendere più complessa la loro intercettazione, cercando così di rendere, almeno parzialmente, inoffensive le difese anti missile di Tokyo. Risulta chiaro che questa dimostrazione di forza è diretta contro gli Stati Uniti ed alle basi dove stazionano i suoi militari, presenti in Giappone e Corea del Sud. Nelle intenzioni di Kim Jong-un, che paiono quasi patologiche, vi è la volontà di creare un missile balistico, dotato di armamento nucleare, capace di coprire una distanza intercontinentale in grado di raggiungere gli Stati Uniti; d’altra parte il livello di provocazione sta aumentando con il progredire delle dimostrazioni di forza, tanto che in quest’ultima occasione del lancio dei missili verso il Giappone, il dittatore nordcoreano ha espressamente dichiarato che l’intenzione era quella di colpire le basi americane sul suolo nipponico. Pyongyang certamente approfitta delle deboli misure adottate nei suoi confronti, che, fino ad ora, hanno consistito nell’applicazione di sanzioni, in teoria sempre più dure, ma che sono state aggirate dal regime anche con complicità internazionali. Un altro fattore su cui si basa l’azione provocatrice di Pyongyang è la necessità dell’esistenza dello stato nordcoreano, funzionale per Pechino ad evitare l’unificazione delle Coree in un unico stato alleato degli americani. In questo modo la Cina troverebbe i suoi avversari, politici, militari e , sopratutto, commerciali, direttamente sui propri confini. L’esistenza di una sorta di zona cuscinetto tra gli americani, presenti in Corea del Sud e la frontiera cinese, assicura a Pechino una zona di sicurezza a cui non rinuncerà facilmente: questo, nonostante le relazioni problematiche con Pyongyang, di cui rimane l’unico alleato. La Cina, per mantenere in vita la Corea del Nord, oltre a sopportare dei costi economici, patisce anche dei costi politici, che sono rappresentati dalla continua instabilità della regione e dalla continua attenzione e presenza americana che Pechino tollera poco volentieri, in una regione del mondo, che considera una sua area di influenza di diritto. Tuttavia la Cina, pur con la sua grande potenza a disposizione, di fronte alle intemperanza di Kim Jong-un, sembra restare bloccata in un atteggiamento di passività. Alcuni analisti hanno accreditato a Pechino dei tentativi di rovesciare il regime, tutti puntualmente falliti e le stesse sanzioni adottate nei confronti di Pyongyang, l’ultima delle quali è stata l’interruzione delle forniture di  carbone, non sembrano intaccare la solidità del regime. Non sembra però possibile che in questo caso di politica internazionale la Cina possa limitarsi alla consueta politica di non ingerenza negli affari interni di un altro stato: la posizione della Corea del Nord per Pechino resta fondamentale e troppo importante per non occuparsi di quello che accade a Pyongyang, piuttosto la percezione fornita dagli avvenimenti sembra dimostrare per il governo cinese una incapacità di risolvere la questione a proprio favore.  Dall’altro fronte, quello degli Stati Uniti, il nuovo presidente trump, dopo le dichiarazioni  roboanti fatte in campagna elettorale ed immediatamente dopo essere stato eletto, non sembra in grado di comprendere in modo completo la pericolosità della situazione e, per il momento, si distingue di più per un atteggiamento che pare insolitamente cauto, probabilmente raccomandato direttamente dal Pentagono. Se nell’immediato il pericolo è rappresentato da Pyongyang, sembra essere comunque, ben più pericoloso un possibile confronto tra Washington e Pechino, nel caso gli americani dovesse rispondere con le armi alla Corea del Nord, in difesa di Tokyo e Seul: potrà la Cina tollerare una azione militare non solo contro un suo alleato ma, sopratutto in quella che considera la propria zona di influenza? Probabilmente sono queste le considerazioni che stanno alla base delle provocazioni nordcoreane tese, ancora una volta, ad ottenere qualche vantaggio economico per un paese in completo dissesto, il problema è fino a quanto vorrà spingersi Kim Jong-un.

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