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martedì 25 luglio 2017

Presenza iraniana ed infiltrazioni dello Stato islamico: pericoli a Gaza

Il pericolo di una nuova intifada in Israele appare concreto e le mosse del governo di Tel Aviv sembrano avere accelerato questo pericolo. Certamente la decisione di avere installato i metal detector per l’accesso alla spianata delle moschee può rappresentare l’occasione che può fare deflagrare la rabbia dei palestinese, a lungo contenuta, per non essersi concretizzata una soluzione alla questione israelo palestinese. Netanyahu è andato contro i pareri delle forze miliari israeliane, che avevano visto nel provvedimento una provocazione, da cui sarebbero scaturite conseguenze gravi. Ora Israele sembra tornare indietro sulla decisione, ma la vicenda ha evidenziato uno sviluppo potenziale molto pericoloso. Occorre ricordare che il governo israeliano ha favorito la politica dell’occupazione del territorio palestinese, mediante l’incremento delle colonie e, di fatto, bloccando in modo pretestuoso la soluzione più logica: quella dei due stati. Nel frattempo la situazione nell striscia di gaza è rimasta invariata e non vi è stato alcun miglioramento significativo per la popolazione residente. In questo quadro il pericolo di infiltrazione di elementi terroristici è diventato più concreto. Se lo Stato islamico si avvia ad una sconfitta militare in Iraq ed anche in Siria, deve cambiare le proprie strategie per mantenere il proprio primato nel panorama dell’estremismo islamico. L’obiettivo di colpire Israele sarebbe altamente simbolico, così come, e forse di più, guidare una ribellione a Gaza contro la situazione imposta da Tel Aviv. D’altro canto lo Stato islamico sfrutterebbe una situazione altamente esplosiva, causata dalla mancanza del raggiungimento di una soluzione definitiva alla questione palestinese. Si stima che gli attivisti dello Stato islamico, già presenti a Gaza, siano diverse centinaia, e questa presenza appare altamente indicativa del progetto dell’organizzazione terroristica. A questo scenario si devono aggiungere i contatti, che, sembra, si stiano intensificando, tra Hamas e l’Iran. Teheran potrebbe cercare di inserirsi nella questione palestinese, inquadrandola in un progetto più ampio per creare azioni di disturbo ad Israele; cioè Gaza andrebbe ad affiancarsi alla Siria ed al Libano, quali posizioni strategiche per tenere Tel Aviv sotto pressione. Non deve essere dimenticato che Gaza è contigua all’Egitto, paese che si è schierato contro l’Iran, all’interno della coalizione dei paesi sunniti, comprendente le monarchie del Golfo Persico. In questo momento i rapporti tra Israele e l’Autorità palestinese e quindi con il presidente Abbas, sono interrotti , per cui Tel Aviv è isolata nei rapporti con i palestinesi, in un momento nel quale occorrerebbe il massimo del dialogo, almeno con la parte moderata dei rappresentanti palestinesi. Secondo alcuni opinionisti israeliani, su posizioni opposte a quelle del premier, Netanyahu avrebbe potuto scatenare l’attuale scenario per distogliere l’opinione pubblica dalle accuse per alcuni scandali avvenuti sotto la sua gestione; se ciò fosse vero la spregiudicatezza del premier israeliano sarebbe senza limiti, perchè metterebbe a rischio, non solo il proprio paese, ma anche gli equlibri regionali. Comunque anche senza fare dietrologie, l’atteggiamento di chiusura del governo israeliano sulla questione palestinese rischia di provocare qualcosa che sembra essere peggiore di una nuova intifada. Se, da un lato, combattere il terrorismo con metodi militari è possibile, dall’altro, il raggiungimento della definizione della questione palestinese, toglierebbe ogni alibi, sia a forze terroristiche, emarginate dalla stessa popolazione palestinese, che dall’ingerenza di forze straniere, che potrebbero entrare in campo con ben altri scopi. La grave situazione mediorientale si innesta sulla contrapposizione tra sciiti e sunniti e non è certo necessario che si aggiunga lo scenario palestinese con nuovi soggetti sulla scena. Questo, più di ogni altro, appare essere il momento  decisivo per definire la questione tra Israele e Palestina, iniziando subito i colloqui per approdare alla soluzione più logica: quella dei due stati. Mai come ora la responsabilità di Tel Aviv di scongiurare la deriva storica più pericolosa della situazione è così evidente.

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