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venerdì 8 settembre 2017
La sentenza della Corte europea di Giustizia, punto di partenza per una nuova Unione
La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, respingendo il ricorso dei paesi dell’est contro l’accoglimento dei profughi, rende ufficiale la posizione di violazione di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca nei confronti delle disposizione di Bruxelles. Il fatto, oltre che giuridico è, sopratutto, politico: perchè implica che i quattro paesi non hanno riconosciuto le strutture politiche centrali europee, in nome di una sovranità, che contrasta con quanto sottoscritto all’ingresso all’interno dell’unione. Viene, cioè, sancito in maniera ufficiale quello che costitusce una evidente violazione, in particolare degli accordi ed in generale dello stesso spirito costitutivo dell’unione. Nello specifico la sentenza afferma che il meccanismo di redistribuzione dei profughi adottato dal Consiglio europeo, per alleviare la pressione di Italia e Grecia, era stato costruito in modo equo, grazie al calcolo effettuato in maniera equa e proporzionale, ne consegue che iprincipi che hanno generato la decisione sono stati improntati al principio di solidarietà, sia per i profughi, sia con il fine di dividere l’emergenza tra i paesi dell’unione. Le conseguenze pratiche di questo pronunciamento, richiesto, è bene ricordarlo ancora una volta, dalle nazioni che appartenevano al Patto di Varsavia, dovrebbero essere la ripartizione dei profughi anche nei paesi dell’Europa orientale; nel caso di mancato adempimento a questo pronunciamento della Corte, i paesi inadempienti incorrerebbero in pesanti multe calcolate sulla base di ogni giorno in cui è stata rifiutata l’accoglienza dei profughi. In realtà si è ipotizzato anche di intervenire con pesanti tagli alle contribuzioni che l’Unione Europea destina a questi paesi e sulle quali si basano le loro percentuali di crescita economica. Per fare un esempio alla Polonia lo scorso anno sono stati destinati circa 90 miliardi di euro, essenziali per il mantenimento del paese. Le reazioni di tre dei paesi orientali, eccetto la Slovacchia, il cui governo ha affermato di volere adeguarsi alle disposizioni della Corte, sono state di profonda contrarietà e di arroganza verso le istituzioni europee, portando al culmine un caso politico già esasperato dal comportamento adottato fino ad ora da queste nazioni. Il verdetto della Corte europea deve diventare un punto di partenza per emettere regolamenti capaci di gestire la vita dell’unione e gestire le controversie in maniera certa. Non è ammissibile che chi vuole fare parte dell’Europa e ne sottoscrive liberamente i principi, una volta ammesso al suo interno sollevi eccezioni e ne violi i regolamenti, secondo l’orientamento politico del governo in carica. Occorre finalmente mettere in atto meccanismi sanzionatori automatici, che penalizzino in maniera efficace chi, con il suo comportamento non conforme alle leggi vigenti, mette in pericolo la stabilità dell’unione. Non solo devono essere previste delle verifiche periodiche sulla conformità delle leggi nazionali ai principi europei, con i quali non devono essere assolutamente in contrasto. I recenti casi di soppressione della libertà di stampa in Ungheria e la limitazione dei diritti politici in altri paesi orientali non possono essere ammessi all’interno del perimetro europeo e l’atteggiamento quasi condiscendente di Bruxelles deve cambiare per evitare pericolose derive. Il verdetto della Corte permette al Consiglio ed al Parlamento europeo di imprimere una accelerazione in questo senso, che deve essere appoggiata in modo trasversale da forze politico di colore diverso, ma che si riconoscano nel progetto europeo. Quella che deve essere superata, all’interno dell’Unione Europea è la fase di inclusione, quasi ad ogni costo, dei paesi che geograficamente sono nel continente, cioè deve essere sancito che il solo requisito geografico non è sufficiente, ma occorrono degli standard molto elevati in termini di garanzia ed applicazione dei diritti e di condivisione dei principi costitutivi dell’unione. Le verifiche periodiche su ogni membro dovranno servire proprio a questo: avere aderenti di qualità che rispondano a requisiti certi ed elevati, che vadano oltre gli standard finanziari, fino ad ora adottati in maniera principale. Ciò dovrà comportare anche la previsione di meccanismi che potranno andare dalla sopsensione fino all’espulsione dall’Europa. Si tratta di una conseguenza logica, che deve proteggere i paesi che seguono i precetti di Bruxelles e la stessa sopravvivenza dell’Unione Europea.
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