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venerdì 6 ottobre 2017
Occorre l'intervento dell'Unione Europea per fermare le istanze secessioniste
L’Unione Europea prende ufficialmente posizione sulla questione catalana; attraverso il commissario all’economia Pierre Moscovici, infatti Bruxelles afferma che il problema è di ordine interno allo stato spagnolo e, che, comunque, l’Unione riconosce soltanto la Spagna come proprio stato membro. La ragione di questa posizione è certamente istituzionale, per Bruxelles pronunciarsi in favore di Barcellona, significherebbe una intromissione nelle questioni di Madrid, tuttavia questa cautela dimostrata dall’Unione, pare essere funzionale anche a stroncare sul nascere ogni altra possibile velleità di autonomia di altri territori, che costituirebbe una pericolosa alterazione degli equilibri europei. Se, queste motivazioni si possono comprendere, non si può non notare come l’atteggiamento di Bruxelles verso la Scozia sia stato differente, anche se è stato causato dall’atteggiamento poco convinto verso l’Europa del parte del Regno Unito e concluso, poi, nell’uscita dall’Unione. Ma il commissario europeo, oltre a condannare le violenze della polizia spagnola ed auspicando la soluzione del dialogo per la definizione della questione, ha individuato una ragione politica molto rilevante, che è una della cause principali che provocano la richiesta di autonomia da parte di alcune regioni. Certamente per la Catalogna vi sono ragioni come l’avversione al potere centrale di Madrid, identificato come centralista, unito ai sentimenti repubblicani prevalenti nella regione, tuttavia il commissario europeo identifica nella ricchezza della regione catalana il motivo principale della richiesta di autonomia; una parte di questa ricchezza, infatti, viene prelevata dallo stato centrale e ciò è vissuto come una ingiustizia, capace di alterare il sentimento verso l’unità nazionale. Sostanzialmente il problema esistente è lo sviluppo non eguale ed omogeneo delle diverse regioni di uno stato. Se per lo stato centrale la logica, anche condivisibile, è quella di cercare di effettuare una redistribuzione delle risorse dalle regioni più ricche a quelle più povere, non si può non comprendere come il disagio nelle zone con tassi di sviluppo più alti, porti a forme di volontà di distacco dallo stato nazionale. Il caso spagnolo si poteva limitare con una maggiore autonomia alla Catalogna, che è stata rifiutata, e lasciando maggiori risorse a Barcellona, ma ciò avrebbe provocato risentimento nelle altre regioni del paese ed avrebbe causato variazioni nel bilancio spagnolo. Si tratta di un problema comune ad altri stati europei, dove lo scontento per la mancata gestione delle risorse prodotte nella regione, è la causa della nascita di movimenti autonomisti, che interpretano lo scontento per la sottrazione di risorse (spesso mascherate con altre motivazioni): problema che si acuisce in tempi di crisi economica. La possibile soluzione indicata dal commissario europeo rappresenta una intuizione molto intelligente, se verrà applicata da Bruxelles. In sostanza, dove non possono intervenire i governi nazionali, si dovrebbe aprire uno spazio di manovra per l’istituzione europea attraverso investimenti e progetti nelle zone meno sviluppate, capaci di creare una crescita economica tale da permettere allo stato nazionale di attenuare i prelievi dalle regioni più ricche. La valenza poltica di questa azione appare molto rilevante: senza intaccare i bilanci statali, l’azione europea avrebbe una funzione di normalizzazione dei rapporti tra le regioni e lo stato e tra le regioni stesse, oltre a diventare un intervento diretto di Bruxelles sul territorio, anche se in accordo con l’autorita dello stato membro. Sarebbe, cioè, una azione tangibile dell’Unione ed aiuterebbe Bruxelles a guadagnare la fiducia dei cittadini; infatti ciò potrebbe riguardare in modo indiretto le regioni più ricche, che vedrebbero una diminuzione del prelievo fiscale, ed in modo diretto le regioni oggetto di finanziamenti grazie ai progetti europei. Ciò sarà tanto più vero se i contributi dell’Unione potranno consentire una crescita stabile e duratura nelle regioni più povere, in modo da fermare la disoccupazione ed aumentare i redditi dei loro abitanti. La speranza che questa intenzione espressa da Pierre Moscovici si traduca in atti concreti, anche sorpassando le rigide logiche di bilancio che l’Europa ha imposto agli stati membri e che sono stati la causa maggiore di diffidenza verso Bruxelles.
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