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lunedì 12 febbraio 2018
I motivi di preoccupazione di Israele dopo l'abbattimento del suo aereo militare
Il recente fatto avvenuto in Siria e che ha comportato l’abbattimento di un sofisticato aereo militare israeliano, il primo dal 1982, pongono diversi interrogativi sul futuro della regione mediorientale e sui rapporti di forza che stanno andando a delinearsi. L’antefatto è costituito dalla rappresaglia israeliana per lo sconfinamento di drone sul territorio di Tel Aviv. Israele ha attuato una ritorsione, come avviene sempre, che è apparsa sproporzionata all’offesa subita, dopo, che, peraltro, il dronera già stato abbattuto. Le forze aeree dello stato israeliano hanno bombardato la base da cui era partito il drone, causando la morte di alcuni siriani, ma un aereo è stato colpito dalla contraeera di Assad. La vicenda mette in evidenzia alcuni punti, che sono doverosi di un’analisi particolare. Il primo punto riguarda il nervosismo di Israele, causato dalla vicinanza del nemico iraniano presente in Siria ed anche in Libano attraverso il sostegno fornito ad Hezbollah: questo momento storico è quello dove le forze tradizionalmente nemiche di Iran ed Israele sono arrivate ad essere più vicine. Il secondo punto riguarda una ipotesi che concerne che Israele sia stato attirato in una trappola per provare che la sua forza militare aerea, quella che gli ha consentito la supremazia militare incontrastata nella regione e nella difesa dei suoi confini, può essere scalfita dalle armi in dotazione ai siriani, provenienti dalla Russia, che ha fornito i sofisticati sistemi missilistici in grado di abbattere aerei dotati di ogni contromisura elettronica; infatti l’aereo abbattuto è un particolare tipo di F16, rinforzato rispetto ai modelli standard e ritenuto imbattibile dalle armi finora in possesso dall’esercito di Damasco. Il terzo fattore riguarda l’Iran, che è il costruttore del drone, che doveva avere compiti contro lo Stato islamico e che ha valicato i confini israeliani: questa dimostrazione potrebbe essere stata diretta contro Trump, come monito di quello che potrebbe succedere se gli Stati Uniti volessere recedere dall’accordo sul nucleare iraniano, rendendo più pesanti le sanzioni e provocando una paralisi dell’economia di Teheran, con conseguenze ovvie sul piano interno. Il governo iraniano vuole scongiurare questa possibilità e la partecipazione alla provocazione contro Israele può essere letta anche come avvertimento verso Washington. Il quinto punto riguarda la politica internazionale ed il ruolo di Mosca. Dopo l’abbattimento dell’aereo israeliano, Putin, oltre ad esprimere la preoccupazione per i pericoli a cui sarebbero sottoposti i militari russi presenti in SIria: una preoccupazione che serve a non nascondere un possibile avvertimento contro la politica militare di Israele, sta giocando anche un ruolo da protagonista nella vicenda, raccomandando prudenza e moderazione alle parti coinvolte, tuttavia se Mosca vuole occupare una sorta di ruolo di arbitro, si tratterebbe di un arbitro non certo imparziale, dato che il regime di Assad, Iran ed appunto Russia sono alleati sempre più stretti, anche se gli interessi di Mosca e Teheran nei confro Tel Aviv non sono affatto convergenti; al Cremlino potrebbe piuttosto interessare una provocazione ad Israele come azione indiretta contro gli USA, tuttavia tra tutti questi attori presenti sulla scena i rapporti migliori sono proprio quelli tra Russia ed Israele. Nella capitale israeliana, comunque, l’abbattimento dell’aereo militare sembra avere destato una sorpresa inaspettata, perchè non si sono valutate in modo adeguato le disponibilità a disposizione della Siria, ottenute dai russi, ma alle quali possono accedere anche gli iraniani. Se è praticamente certo che ne Teheran e ne tanto meno Hezbollah possano mettere in pericolo l’integrità dello stato israeliano, questi nuovi sviluppi evidenziano come sia nelle possibilità dei nemici di Israele di creare un forte stato di tensione proprio su strumenti militari classici. A questo scenario deve aggiungersi la fase di stallo dei rapporti con i palestinesi, che si sono bloccati dopo la decisione delle Casa Bianca di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Il malcontento diffuso che si è creato tra i palestinesi, sia in Cisgiordania, che a Gaza e quindi sia tra i moderati che i gruppi più estremisti, potrebbe diventare oggetto di attenzione di forze nemiche di Israele per aprire fronti interni tesi, a loro volta a portare destabilizzazione dentro li stato israeliano. Per Tel Aviv, quindi un momento particolarmente difficile dove l’uso della forza andrebbe fortemente dosato per assumere atteggiamenti più diplomatici e di compromesso, a partire dalla questione palestinese cieca la quale un radicale cambio di atteggiamento sarebbe più che necessario. Infine resta la questione dei gruppi del califfato presenti nel Sinai egiziano, combattuti da Il Cairo, ma che hanno la finalità, anche per ragioni di immagine, di attaccare Israele dentro il suo territorio: un ulteriore fattore di aggravamento della situazione generale.
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