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venerdì 22 marzo 2019

L'Unione europea dà un ultimatum al Regno Unito

La scadenza del 29 marzo 2019, concordata circa due anni prima, dopo l’esito del referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione, potrebbe cambiare se sarà raggiunto il nuovo accordo tra Bruxelles e Londra. Aldilà della valutazionedel fallimento del governo inglese, incapace di trovare una modalità per uscire da Bruxelles in un tempo così lungo, la concessione dei membri del Consiglio europeo dimostra che a Bruxelles, oltre una infinita pazienza, ci siano tutte le migliori predisposizioni verso Londra; tra i motivi rientra anche la volontà di togliere ogni possibile scusante al governo inglese per le conseguenze che potranno verificarsi. Occorre ricordare che l’uscita del Regno Unito costerà all’intera Unione circa qurante miliardi di euro, ma il prezzo per la sola Inghilterra sarà di circa cinquantasette miliarsi di euro. Se entrambe le parti hanno tanto da perdere è facile verificare chi farà l’affare peggiore. Bruxelles ha fornito due opzioni a Londra: se l’accordo già concordato tra le parti, ma rifiutato dal parlamento inglese, dovesse essere approvato la data di uscita sarebbe il 22 Maggio; con questa opzione il Regno Unito resterebbe legato, in qualche modo, all’Unione, opzione a cui sono contrari i fautori dell’uscita ad ogni costo, che ravvisano, comunque, una perdita di sovranità o, meglio, l’impossibilità di ritornare ad una sovranità assoluta del Regno Unito sul proprio territorio. La seconda opzione, prevista in caso di ulteriore rifiuto dell’accordo da parte del parlamento inglese, riguarda l data del 12 Aprile, quale ultimo giorno possibile per la convocazione delle elezioni europee. In questo caso si aprirebbero quattro possibilità per il Regno Unito: accettare l’accordo (eventualità quasi impossibile dopo i tanti rifiuti), lasciare l’Unione senza accordo (hard Brexit), richiedere un nuovo rinvio (difficile che il Consiglio europeo dimostri altra disponibilità) ed infine rinunciare all’uscita ddall’Unione. Peraltro con una proroga più lunga, in teoria, il Regno Unito dovrebbe partecipare  alle elezioni europee e ciò sarebbe una sconfessione implicita, ma pubblica, dell’uscita dall’Europa.  Tra i ventisetti membri del Consiglio europeo non sembra registrarsi  ottimismo per il raggiungimento dell’accordo, i colloqui avuti con gli inglesi non hanno fornito garanzie ed il governo di Londra è sembrato essere nella più totale incertezza; questa percezione ha suscitato reazioni irritate in alcuni rappresentanti del Consiglio europeo, che hanno ritenuto l’esecutivo inglese inaffidabile e la proroga una sostanziale perdita di tempo. Resta il fatto che il tempo è quasi scaduto e che le questioni tattiche dei singoli partiti o, peggio, delle singole fazioni all’interno dei partiti, che hanno tenuto in ostaggio sia il paese inglese che l’Unione, non possono più continuare. Dal lato dell’immagine internazionale il Regno Unito esce screditato per non avere saputo risolvere una questione di vitale importanza, che coinvolgeva anche altri paesi; si deve ricordare che Londra aveva delle condizioni più vantaggiose rispetto agli altri membri, proprio in considerazione dell’importanza che veniva attribuita alla sua partecipazione all’Unione. La realtà è che il Regno Unito ha sempre approffittato del suo status all’interno di Bruxelles, prendendo i vantaggi e ritenendoli come dovuti, ma le reali convinzioni sull’Unione sono sempre state improntate allo scetticismo. Le modalità di uscita dall’Unione hanno confermato questo atteggiamento ambiguo: da un lato i duri e puri, i fautori della necessità di riappropiarsi della sovranità perduta, dall’altro chi teme le ripercussioni che il distacco da Bruxelles potranno generare.  In tutto questo quello che è mancato è stata la considerzaione per quel 48% che aveva votato per restare in Europa, prediligendo una soluzione derivata da un referendum che era consultivo e non vincolante, ma che è stato trasformato a livello politico in una sorta di legge inderogabile. Non si è considerato nemmeno la leggerezza con cui è stato deciso e  neppure le necessarie spiegazioni alla popolazione, che sono state omesse in maniera voluta, sia dagli organizzatori del quesito referendario che dallo stesso governo allora in carica. La via più logica sarebbe stata una ripetizione del referendum, questa volta in maniera non consultiva, con una completa informazione del corpo elettorale. In ogni caso questa vicenda resta una grande lezione per Bruxelles e pone delle serie riflessioni sul funzionamento del sistema politico del paese che è ritenuto la culla della democrazia.

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