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giovedì 23 maggio 2019
Il livello più basso della politica inglese
Quello che si sta consumando in Gran Bretagna sembra sempre di più un suicidio politico. L’operato della Premier, ma anche del capo del Partito Laburista, rivelano una condotta insicura ed incapace di prendere una posizione ferma e convinta. Occorre ricordare che il referendum sull’uscita inglese dall’Unione Europea era soltanto consultivo e quindi non vincolante, ma ciò non ha impedito alle forze politiche di trasformarlo in mezzo funzionale con il quale cercare di accontentare un elettorato arrabbiato, ma a cui non erano chiare le conseguenze di questa decisione. Improvvisamente la parte degli elettori contraria all’Unione, seppure di poco maggioritaria a chi voleva continuare a fare parte dell’Europa, ha avuto maggiore rilevanza nella scena politica inglese. Non sono serviti gli appelli di chi illustrava in maniera chiara il destino a cui sarebbe andato incontro il Regno Unito: il profondo nazionalismo e l’errato risentimento contro il continente hanno determinato una direzione della politica inglese confusa ed inconcludente. La pessima gestione della questione è stata condizionata dalla volontà di non scontentare l’elettorato vincitore del referendum, ma anche di non irritare troppo gli sconfitti. La mancanza di politici di rilievo e capaci di gestire una situazione comunque difficile, ha completato il quadro, si è arrivati così all’obbligo assurdo di partecipare alla competizione elettorale europea, dove il volto peggiore della società politica inglese è dato in vantaggio, proprio grazie ad una insipienza conclamata di governo ed opposizione londinese. Il partito conservatore, già duramente punito nelle elezioni amministrative, è profondamente diviso in almeno tre parti: i favorevoli all’uscita senza accordo, i favorevoli all’uscita concordata con Bruxelles ed i contrari. Il partito Laburista non ha saputo trarre vantaggio da questa divisione perchè è anch’esso diviso al suo interno, il Partito Liberaldemocratico è l’unica forza politica dichiaratamente contraria all’uscita dall’Europa, ma non sembra avere la forza necessaria per raccogliere tutti i favorevoli a restare nell’Unione, confermando che è ancora un soggetto politico marginale nella politica inglese, infine il panorama sembra essere dominato dalla formazione scettica sull'Europa, dove probabilmente confluiranno i voti dei conservatori che vogliono l’uscita senza accordo ed i delusi dall’azione politica della Premier. In questo scenario la proposta di un nuovo referendum arriva fuori tempo massimo perchè doveva essere fatta molto tempo prima, ma con una informazione maggiore e con il peso politico di essere una decisione vincolante per l’esecutivo. L’esperienza di avere indetto un referendum in maniera affrettata e senza la dovuta informazione ad una platea di elettori condizionata soltanto dall’azione euroscettica non è servita. I partiti tradizionali sono contrari a coinvolgere di nuovo l’elettorato direttamente nella questione, preferedno una gestone maldestra della vicenda, quando, invece, un referendum chiarificatore e definitivo potrebbe mettere le cose nella giusta prospettiva per una valutazione consapevole da parte dell’elettorato. Non si capisce se c’è una volontà di onnipotenza o la paura di perdere il controllo dell’attività politica, cosa peraltro in parte già accaduta, in ogni caso c’è anche l’aspetto, non secondario, di avere logorato la trattativa con l’Europa perdendo ogni tipo di credibilità internazionale. Il referendum, insomma, non si ripeterà, il destino della Premier è quello delle dimissioni, che concluderanno soltanto una parte della vicenda, perchè il futuro è impossibile da immaginare, se non con uno scenario di massima divisione dell’integrità nazionale ed uno sviluppo relativo all’economia totalmente disastroso.
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