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martedì 8 ottobre 2019

La difficile situazione dell'Iraq

La situazione dell’Iraq sta diventando sempre più pericolosa, sia per la politica interna, che per l’equilibrio regionale. La repressione delle proteste da parte delle forze armate ha portato a 110 il numero delle vittime, oltre a diversi feriti. Sil versante della politica interna il paese sta vivendo una crisi economica rilevante, malgrado la produzione di petrolio, che viene percepita dalla popolazione come effetto del malgoverno associato con l’alto grado di corruzione, imputato a tutta la classe politica, maggioranza ed opposizione del paese. Questo malcontento provoca la nascita di gruppi spontanei ed apolitici, che non possono essere controllati dalle forze tradizionali, siano esse di matrice politica o religiosa. In dimostrazioni in località lontane dalla capitale sono state incendiate contemporaneamente sei sedi di partiti politici, questo fatto è emblematico della sfiducia generale che contraddistingue le manifestazioni. D’altra parte il governo in carica, dopo le elezioni del maggio 2018, è formato da forze poltiche eterogenee, che non riescono a trovare una sintesi per l’azione di governo ed è, quindi, estremamente debole per combattere la profonda diseguaglianza tra gli strati sociali, che genera i conflitti e le dimostrazioni contro il potere costituito. Un potere che si basa su di una distribuzione settaria e che ha favorito gli sciiti di fronte alla maggioranza sunnita. Ma quello che non viene combattuto è la criminalità dilagante, il crescente aumento dei prezzi e l’incremento della diminuzione dei servizi essenziali, come l’assistenza medica e l’istruzione. L’alto tasso di disoccupazione giovanile favorisce la partecipazione dei giovani alle proteste, che ne costiuiscono la maggior parte, ma ad andare in piazza ci sono anche altre categorie, come i lavoratori che vedono in pericolo i loro diritti salariali ed in generale chi individua la grande corruzione come il freno allo sviluppo della società irachena. La sollevazione popolare ha fatto paura al governo, sopratutto per la grande quantità di persone che si sono mobilitate per manifestare il malcontento; ciò può spiegare la durezza della reazione delle forze di sicurezza, che, però pone interrogativi sostanziali sulla durata di un governo, che non sa fornire altre risposte che la violenza alle istanze popolari. Ma se questa è la situazione interna, i fattori esterni non sembrano essere meno importanti per la definizione della attuale situazione irakena. Bagdad si trova nella difficile posizione di godere dell’alleanza con gli Stati Uniti, ma anche di essere legato da rapporti molto stretti con l’Iran. In uno scenario dove la profonda contrarietà tra Washington e Teheran è cresciuta in maniera esponenziale dopo l’arrivo di Trump alla Casa Bianca, ilpaese iraniano mom può perdere posizioni in un territorio strategico come quello irakeno, sopratutto dopo il confronto che l’Iran ha intrapreso anche con l’Arabia Saudita. Ciò ha portato Bagdad ad essere al centro di rivalità regionali, che aggravano la sua situazione riportandola verso il grave periodo della lotta contro lo Stato islamico. Vi è una gran parte della società irakena che percepisce la presenza irianiana come una invadenza non più tollerabile e questo provocherebbe manovre di Teheran per mantenere le sue posizioni, considerate di vitale importanza strategica, in Irak. Oltre a questi fattori ancheil rapporto con gli Stati Uniti sembra essere peggiorato per le commesse e gli accordi economici che il paese irakeno ha intrapreso con la Russia e la Cina, urtando la suscettibilità del presidente Trump, sempre sensibile alle mancate opportunità economiche. La visione di questi scenari complessivi non permette di fare previsioni positive per l’Irak: sul breve periodo sembra difficile che la situazione possa essere normalizzata; troppi problemi irrisolti da tempo si sono aggravati e la strada di nuove elezioni, molto probabili, non sembra permettere la vittoria di un nuovo soggetto non collegato alle attuali logiche di potere, provocando una radicalizzazione della società irakena in una pericolosa spirale di divisione, alimentata dalla presenza sulla scena politica di una frammentazione troppo elevata, che può favorire una instabilità generale per l’intervento di milizie pronte a sfruttare la situazione di incertezza e trascinare il paese nel caos, con conseguenze molto gravi per tutta la regione mediorientale.

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