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mercoledì 18 dicembre 2019
Le ragioni della fretta di Johnson per uscire dall'Europa
Boris Johnson dopo l’affermazione elettorale vuole raggiungere il suo obiettivo politico principale, dichiarato nella campagna elettorale. Un emendamento dell’esecutivo inglese impedisce qualsiasi rinvio del periodo transitorio per uscire dall’Unione Europea, fissato per il 31 dicembre 2020. In sostanza entro un anno il Regno Unito (sempre che rimanga tale per una possibile devoluzione della Scozia) si dovrà separare da Bruxelles con un accordo o senza un accordo. Questo intendimento, però, è a senso unico, date le note difficoltà di raggiungere questo termine per la vastità delle materie sulle quali raggiungere un accordo e la conseguente complessità della stesura delle modalità di rapportarsi tra Unione e Regno Unito.L’interrogativo principale è se il leader dei conservatori, tramite questo intendimento, vuole mantenere la sua popolarità conquistata nei seggi tradizionalmente avversi e conquistati proprio grazie al programma politico di uscire dall’Unione o se si tratta di una convizione reale, che non tiene conto delle difficoltà che ora dovrà affrontare in prima persona. Il modello di accordo internazionale, che Johnson vede come soluzione è quello del trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Canada, visto che per Londra sarà impossibile trattare singolarmente con ognuno degli stati europei. L’obiezione più ovvia, al riguardo, al leader inglese non può che essere la durata delle trattative tra Washington ed Ottawa, che arrivarono alla firma del trattato dopo sette anni, proprio per la vastità delle materie trattate. Come si vede bene, su queste basi, la volontà di terminare il processo tra ldue parti in un anno è puramente velleitaria e nasconde, ancora una volta la verità al corpo elettorale del paese. Boris Johnson sembra prendere tempo, come chi lo ha preceduto, pronto ad attribuire il mancato raggiungimento dell’obiettivo alla farraginosa burocrazia europea. Si tratta di uno schema facilmente prevedibile, che gli consentirà di fare passare il Regno Unito, ancora una volta come la vittima dell’Europa, di fronte ad un elettorato disinformato e parziale: quello che lo ha sostenuto. Del resto, che alla data del 31 dicembre 2020 sia impossibile mettere la firma sul trattato da parte dell’Europa è stata la stessa presidente della Commissione europea ad affermarlo, sottolineando che su materie come aviazione, accordi finanziari e standard ambientali il periodo di un anno è largamente insufficiente. Tuttavia durante il regme transitorio previsto, cioè la data del 31 dicembre 2020, la Gran Bretagna continuerà a seguire le regole dell’Unione, senza però avere diritto di voto nelle istituzioni di Bruxelles: questa condizione potrebbe favorire un ulteriore risentimento dei sostenitori di Johnson, che avrà così gioco facile nell’orientare gli umori delle piazze inglesi, rendendoli ancora più contrari all’Europa, nonostante le prevedibili conseguenze che questa decisione avrà sull’economia del paese. Al riguardo una piccola avvisaglia è già arrivata in corrispondenza proprio dell’emendamento che esclude per la fine del 2020 il periodo transitorio con Bruxelles: la moneta britannica, la sterlina, ha perso subito oltre l’uno per cento del valore. I sentori della finanza, come si poteva prevedere, sono, quindi, tutt’altro che favorevoli ad una uscita mediante accordi ritenuti insufficienti o peggio all’assenza di un accordo. La sensazione è che Johnson ed il suo entourage siano consapevoli dlle difficoltà ed intendano preparare le condizioni per scaricare le responsabilità sull’Europa. Se questa ipotesi sarà vera i rapporti tra Londra e Bruxelles andranno ancora in peggioramento, mettendo finalmente in risalto l’opportunismo inglese. Entrambe le parti perderanno molto, ma Londra dovrà gestire una situazione molto complicata, la cui unica via di uscita potrà essere un rapporto di subalternità con gli Stati Uniti: a quel punto più di un elettore di Johnson si pentirà ma potrebbe essere troppo tardi.
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