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mercoledì 8 gennaio 2020

L'Europa non può più limitarsi all'azione diplomatica sullo scenario internazionale

La recente azione militare americana, sul territorio irakeno, rappresenta soltanto l’ultimo episodio dell’evoluzione globale della politica internazionale, passata dall’uso preminente della fase diplomatica a quella militare  ed è la logica conseguenza dell’abbandono, di fatto, di una visione sovranazionale sopratutto circa la risoluzione delle crisi. L’affermazione degli interessi particolari su quelli generali è passata da una applicazione alla politica interna, sopratutto grazie alle visioni politiche sovraniste e relative a specifiche realtà bene individuabili territorialmente, alla politica estera con le modlità di soluzioni di conflitti attraverso gli interessi particolari di nazioni terze rispetto ad interessi particolari di singole entità statali, che non hanno la possibilità di risoluzione autonoma del problema contingente. Il caso più evidente, tra i tanti presenti sullo scenario internazionale, è stato quello siriano dove il governo in carica, ancorché espressione di una dittatura, ha potuto risolvere i suoi problemi grazie all’appoggio di Russia ed Iran, che sono intervenute a tutela dei propri interessi geopolitici. Il caso più recente ed attuale è quello della Libia, dove le due fazioni che si combattono sono appoggiate da attori esterni, attraverso l’uso della forza hanno praticamente sostituito le nazioni di riferimento, perchè queste si sono limitate ad una azione diplomatica, insufficiente contro gli interventi militari. L’orientamento verso queste soluzioni ed interventi appare una strada intrapresa dalle grandi potenze, si tratta, ormai, di un atteggiamento quasi globale del quale occorre prendere atto senza indugi, se si vuole avere ancora un ruolo rilevante nello scenario internazionale. Ciò è vero per organizzazioni sovranazionali come l’Unione Europea, sia per le organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite. Per quanto riguarda l’Europa appare chiaro che non è più sufficiente puntare all’esportazione di un modello democratico attraverso i propri valori e con il solo esercizio diplomatico e ciò è anche insuifficiente per tutelare i propri interessi sullo scenario internazionale, così come per evitare crisi umanitarie. Presi singolarmente gli stati europei hanno un bassissimo potere contrattuale, tra l’altro questo è un obiettivo principale di alleati, USA, ed avversari, Russia, neppure le nazioni più importanti come Germania e Francia possono opporre una strategia valida a questo stato di cose se agiscono da sole. La mancanza di obiettivi condivisi, in un quadro normativo insufficiente, pone l’Unione Europea in un stato di inferiorità rispetto alle sfide attuali ed in una posizione di inferiorità rispetto agli attori internazionali che hanno superato la fase diplomatica per la risoluzione delle crisi. L’assenza di una politica estera comune è il primo punto debole che si trascina da anni senza essere risolto. L’attuale situazione non è arrivata all’improvviso, ma ha avuto uno sviluppo nel tempo, che si è soltanto accelerato in maniera prevedibile. Il fatto che i membri dell’Unione siano divisi su materie fondamentali e Bruxelles non possegga gli strumenti per una azione incisiva, come l’esercito comune europeo, dimostra soltanto l’inadeguatezza dei processi decisionali, ormai inadatti e  troppo lenti per rispondere alle esigenze dello scenario mondiale. La sola potenza economica non giustifica più un ruolo diplomatico di primo piano ed, anzi, mancano  gli strumenti e le capacità per esercitare le prerogative da protagonisti internazionali è proprio il settore economico a registrare le perdite più immediate. In un contesto dove l’approvigionamento energetico costituisce uno scenario tra i più importanti, ma dove anche la questione migratoria è soggetta a strumento di controllo e ricatto, non essere in grado di rivendicare il proprio ruolo mondiale, provoca un arretramento di importanza e rilievo, che non può non riflettersi slle cause dell’alterazione degli equilibri interni. L’Europa, quindi, deve affrettarsi a recuperare il terreno perduto, lasciando da parte le nazioni ed i governi scettici ed incominciare a pensare anche ad una costituzione ad integrazione variabile sulla base delle finalità condivise, senza sprecare tempo e risorse con membri poco convinti e collaborativi circa una maggiore integrazione, fino ad immaginare a criteri di adesione profondamente cambiati, proprio in funzione delle nuove esigenze internazionali. La sola azione diplomatica non garantisce, al momento e per chi sa quanto, l’adeguata rilevanza internazionale, d’altra parte anche organizzazioni come l’Alleanza Atlantica appaiono, in  questo momento superate: occorre una autonomia continentale che appare sempre più necessaria da esercitare oltri i confini proprio per proteggerli.

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