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giovedì 13 febbraio 2020
USA: il Partito Democratico è diviso
Il percorso del Partito Democratico verso la designazione del rivale di Trump alle prossime elezioni presidenziali, comincia ad assumere un profilo dai controni meno sfumati. Gli elementi che emergono sono essenzialmente due: la sinistra sembra avere trovato un candidato forte, Bernie Sanders, che ha raggiunto risultati favorevoli con numeri consistenti nelle primarie finora disputate. Bernie Sanders è emerso come il candidato di sinistra più forte per distacco sugli altri esponenti di questa parte del Partito Democratico. Il secondo aspetto emerso da queste prime tornate elettorali è la situazione contraria dei moderati, dove non sembra emergere ancora un candidato in grado di rappresentare in modo unitario le correnti non spostate a sinistra. Nel New Hampshire i moderati hanno ottenuto risultati che hanno collocato i loro rappresentanti dietro Sanders con quantità di voti ravvicinati. Il dato espone una frammentazione incapace di fare mergere un candidato forte da contrapporre alla sinistra, anche se deve ancora entrare in competizione il miliardario Michael Bloomberg. L’ex sindaco di New York potrebbe essere capace di aggregare il voto dei moderati e presentarsi come alternativa a Sanders. Tuttavia il Partito Democratico sembra essere tornato alla situazione preecedente al voto che ha portato all’elezione di Trump. La grossa difficoltà dei democratici è di nuovo quella di non riuscire a trovare un candidato capace di sintetizzare le tenedenze spesso opposte che sono all’interno del partito. Nonostante l’aspetto unificante rappresentato dall’avversione a Trump, questa motivazione potrebbe non bastare a portare al voto la sinistra del partito in presenza di un candidato troppo moderato o ritenuto espressione della finanza e dei poteri forti, come accadde per la Clinton. Viceversa un candidato troppo radicale potrebbe non ottenere i voti moderati perchè ritenuto troppo distante dai progressisti moderati. La questione non è secondaria. La sconfitta di Trump è tutt’altro che scontata e per ottenere la vittoria occorrerebbe un Partito Democratico unito, capace di superare differenze anche profonde al suo interno. Se Biden, in teoria poteva avvicinarsi al candidato con queste caratteristiche, per adesso i suoi risultati sono stati scoraggianti, anche se niente è deciso il suo avvio non è stato dei migliori. Ma, del resto le platee elettorali potenziali della sinistra e dei moderati sono molto diverse: i radicali hanno il favore dei giovani, degli ambientalisti, dei più poveri ed anche della comunità latina; i moderati hanno il favore del ceto medio e della comunità nera, che chiede una maggiore legalità. Certo l’entrata in gioco di un miliardario del calibro di Bloomberg, nonostante sia un elemento per certi versi alieno al partito democratico, può essere un fattore che potrà determinare un impatto difficilmente prevedibile sugli esiti del voto, cominciando dalla grande capacità economica di cui l’ex sindaco potrà disporre sia nella fase delle primarie, che in una eventuale competizione con il presidente uscente. Questo aspetto è molto temuto dai conservatori e dallo stesso Trump, che intuisce una possbile invasione di campo all’interno del suo elettorato da parte di Bloomberg. In questa ipotesi però la competizione verrebbe riportata al centro e Trump avrebbe maggiori possibilità nel caso riuscisse a ttrattenere il maggior numero di vecchi elettori possibili, dato che Bloomberg avrà sicuramente delle difficoltà ad intercettare il voto della sinistra se non con la sola arma dell’avversione al presidente in carica. Per ora, se l’incertezza giustamente è ancora alta, l’elemento più rilevante è l’apparente disorganizzazione del Partito Democratico, la stessa condizione che si registrava nel Partito Conservatore prima dell’elezione di Trump.
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