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mercoledì 8 aprile 2020
La necessità di contenere la pandemia nei paesi poveri e in guerra
Uno degli aspetti sottovalutati dalla crisi pandemica è la scarsa possibilità di curarsi nelle zone di guerra o in quei territori di povertà estrema, dove la mancanza di strutture sanitarie adeguate, sommata ad una scarsa organizzazione statale, può facilitare il contagio ed un numero delle vittime destinato a restare sconosciuto o comunque sottostimato. L’occidente è concentrato su se stesso, le condizioni della diffusione del contagio in un certo senso giustificano questa situazione, e sembrano tralasciare l’opportuno interesse per altri questioni, che, inevitabilmente, non potranno non avere delle ripercussioni sulla situazione occidentale. Se già in condizioni normali negli ultimi tempi le potenze occidentali non riuscivano, per veri motivi, a seguire le vicende internazionali, attualmente la forzata concentrazione sulle vicende sanitarie in corso sembra offuscare la capacità di giudizio e di azione sulle vicende mondiali. La pandemia non ha interrotto i combattimenti, malgrado le sollecitazioni delle Nazioni Unite, e neppure le situazioni di disagio. Ma nei territori dove sono presenti situazioni di conflitto la situazione sanitaria già prima dell’espandersi della pandemia era difficile ora sta diventando addirittura drammatica. L’impossibilità di rispettare le distanze sociali e la carenza di dispositivi medici produce una veloce diffusione dello stato pandemico e quindi del numero delle vittime, lasciando la tragica contabilità dei motivi dei decessi non compilata. Del resto poco importa, se non hai puri fini statistici, sapere questo dato quando c’è la ovvia consapevolezza che i paesi più poveri pagheranno un tributo ingente in termini di decessi all’infezione. Eppure non c'è solo la situazione di guerra a complicare la messa in atto della prevenzione e della cura: esiste la difficoltà che hanno le regioni rurali, ma anche molto abitate, di tante nazioni povere, ad accedere a visite mediche e profilassi per la mancanza di presidi medici, le scarse norme di igiene e la mancata possibilità comunque a metterle in pratica a causa di abitudini sbagliate anche da parte di governi, spesso corrotti, impegnati in tutt’altre questioni che il benessere dei propri cittadini. Tutti questi aspetti devono interessare e preoccupare non poco i governi occidentali, specialmente quelli europei, perché dopo la guerra, la fame, il mancato rispetto dei diritti e la mancanza di possibilità di prospettiva, che sono le cause delle migrazioni, ora deve aggiungersi la pandemia tra le cause che determinano le migrazioni. Per quello che adesso vale l’ulteriore lezione della pandemia dice che il diritto alla salute è molto più che una esigenza astratta, ma un motivo di convenienza anche per i cosiddetti stati più ricchi; peraltro, in questo momento la crisi attuale dimostra come la sottovalutazione di questi eventi produca, aldilà di tanti lutti che si potevano evitare, la compressione dell’economia, generando insicurezza e sospensione dei diritti, determinando situazioni nuove e negative anche nei paesi ricchi. Lo sforzo, in questo momento, è rivolto all’interno di ogni paese, tuttavia abbandonare a se stesse intere popolazioni non è una scelta giusta; occorre sostenere chi è già presente in loco, come le organizzazioni umanitarie, che dispongono di strutture di emergenza in grado di contenere il contagio. Il sostegno deve procedere su due linee parallele: da un lato con aiuti economici e logistici, per permettere una continuità operativa ed il presidio di zone e situazioni già conosciute; dall’altra parte percorrere ogni possibile soluzione diplomatica per la sospensione dei conflitti e la facilitazione della circolazione delle persone per permettergli di raggiungere i presidi medici. Ciò sarebbe anche una sorta di test per facilitare il dialogo generale a tutti i livelli e nuove forme di cooperazione mondiali capaci di favorire la pace e la diffusione del progresso.
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