Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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giovedì 13 gennaio 2011
Cina ed Iran si incontrano per il problema nucleare
Ali Bagheri responsabile del programma nucleare iraniano ha incontrato mercoledì Zhang Zhijun vice ministro degli affari esteri cinese, l'incontro rientra nella strategia iraniana che contempla l'invito a paesi esteri alla visita dei siti nucleari della repubblica islamica. L'Iran sta cercando di sfondare l'accerchiamento a cui è stato sottoposto dalle Nazioni Unite coinvolgendo paesi non allineati della natura pacifica della sua ricerca nucleare anche attraverso visite ai suoi siti. L'incontro diretto con la Cina dimostra come l'Iran stia puntando, dopo avere contattato paesi importanti ma di minore rilevanza internazionale, come la Turchia, alla massima potenza alternativa agli USA per perorare la sua causa. E' vero che la Cina è anche il massimo partner commerciale dell'Iran e questo costituisce un canale preferenziale, ma questo incontro, se dovesse mutare l'atteggiamento cinese in favore iraniano, porrebbe la repubblica popolare in una luce problematica con il resto del mondo. I doveri della Cina, come nuova superpotenza, non gli consentono più certe libertà da battitore libero, certi incontri, su tematiche così particolari, potrebbero creare problemi diplomatici non da poco su di un teatro economico sempre in espansione per Pechino. A meno che questo non sia un comportamento voluto per dire agli USA che la politica estera cinese è libera da ogni condizionamento di sorta e che segue dei propri percorsi anche al di fuori dell'ONU. La scelta della politica estera, più volte ribadita da Pechino, è di non interferire negli affari interni degli altri stati, tuttavia il caso dell'atomica iraniana pone interrogativi e questioni che vanno aldilà dei confini di Teheran, troppe implicazioni riguardano il problema nucleare, sopratutto in relazione ai problemi con Israele. Non è possibile che la Cina sottovaluti questi aspetti, più realmente è credibile che voglia ritagliarsi un proprio spazio internazionale su problematiche di grande respiro: lo studio per essere una grande superpotenza passa anche da qui.
mercoledì 12 gennaio 2011
USA e Cina: il G2
Siamo arrivati al dunque, la visita del Segretario di Stato USA Gates a Pechino è propedeutica alla visita negli Stati Uniti del presidente cinese Hu Jintao che sarà a Washimgton il 19 Gennaio. Siamo di fronte all'unico G possibile: il G2, non c'è G20 che tenga, quella è solo la serie B del pianeta. Le questioni che contano sono una partita a due, per il resto poco più che briciole, non tanto per l'entità economica in gioco, che rimane consistente, ma per le strategie d'insieme che potrà scaturire. I temi sul tappeto che riguarderanno il confronto tra le due superpotenze verteranno sul militare, la finanza, il mercato valutario, le energie rinnovabili fino ai materiali rari essenziali per l'industria informatica, di cui la Cina detiene circa il 90%. Siamo di fronte a due paesi che sono su piani prospettici diversi: la Cina, pur essendo ancora dietro, è in ascesa, il sorpasso dovrebbe avvenire nel 2027, secondo previsioni per difetto perchè precedenti all'ultima crisi finanziaria, il PIL è cresciuto del 10% e le strategie finanziarie di Pechino puntano a rilevare l'intero debito dei paesi più ricchi, specialmente in Europa con il duplice fine di acquisire know-how ed alleati in seno al G20, possibili alleati da schierare proprio contro gli USA (di cui peraltro Pechino è il più grosso finanziatore del debito). La longa manus cinese ha già un potenziale potere molto elevato su molti paesi in virtù della grande liquidità disponibile grazie al gran volume di esportazioni dovuto al mantenimento artificiale del basso valore dello Yuan, tuttavia, come tutti i paesi in grande espansione, anche la Cina soffre della malattia chiamata inflazione, che colpisce sopratutto nei valori dei prodotti alimentari. E' vero che la Cina non gode di buon credito nelle opinioni pubbliche mondiali per come tratta il tema dei diritti politici, ma in questa fase storica l'economia gode di una supremazia netta sulla politica ed i numeri di Pechino sono tali da consentirgli di calmare le acque. Gli Stati Uniti per contro sono in evidente difficoltà sia dal lato economico che dal lato dell'appeal, il sogno americano, seppur lungi dall'essere tramontato, non gode più del grande credito del secolo scorso, in più la Cina è l'avversario più forte con il quale gli USA vengono a scontrarsi: l'URSS non è paragonabile sia dal punto di vista economico che politico con la Cina. Gli USA arrivano a questo incontro con una situazione economica in rotta, la disoccupazione e la diminuzione della ricchezza dovuta ad un impoverimento in costante aumento porta il paese a stelle e strisce molto vicino alla deflazione con una debolezza della domanda che rischia di fare crollare il grande mercato interno, che, però, si nutre in gran parte di prodotti cinesi. Nessuno può permettersi il black out, la Cina dovrà cedere sulla rivalutazione della propria moneta e perdere qualcosa in termini di guadagno, ciò consentirà una iniezione di liquidi nel mercato americano ed a cascata in quello europeo, mai come ora un'intesa non solo è possibile ma necessaria per ridare fiducia all'economia del pianeta.
martedì 11 gennaio 2011
Secondo HRW la Cina continua a negare i diritti civili
Human Rights Watch denuncia che la Cina continua a violare i diritti umani, contravvenendo agli stessi obiettivi che il governo di Pechino si era dato fin dal 2009. Il programma che la Cina aveva varato, probabilmente più che altro per gettare fumo negli occhi al resto del mondo, prevedeva l'introduzione di diritti civili e politici, la tutela delle minoranze all'interno dei confini statali, la cessazione della tortura e delle carceri segrete ed inoltre la cooperazione in fatto di diritti umani con altri paesi. Human Rights Watch ha rilevato che la Cina fa uso sistematico della delazione e di capi di imputazione fumosa per incarcerare i dissidenti, violando i più elementari diritti civili e bloccando la libertà di stampa e di espressione intervenendo sulla pubblicazione di giornali e siti internet. Non poco ha pesato la vicenda del premio Nobel Liu Xiaobo che ha messo in risalto la condizione dei dissidenti cinesi. In evidenza anche il gran numero delle condanne a morte eseguite, che fanno della Cina il paese che fa maggiormente uso della pena capitale. La difesa della Cina punta sulla riduzione della povertà della popolazione e del diffuso benessere nonma non tocca i temi dei diritti civili, insistendo sulla industrializzazione del paese.
Nella UE nel 2009 un solo attentato islamico
Un’interessante studio dell’Europol, organismo intergovernativo che costituisce la polizia dell’Unione Europea, ha analizzato i 294 attentati compiuti sul suolo della UE nel 2009 ed ha appurato che un solo attentato, compiuto in Italia, è da attribuire a matrice islamica. Il risultato dello studio offre spunti interessanti di riflessione per i continui allarmi procurati da minacce islamiche; non che il risultato di questo studio debba fare abbassare la guardia di fronte al fondamentalismo islamico, tuttavia la reale portata di tali minacce risulta, proprio per i risultati evidenziati, almeno ridimensionata. E’ chiaro che l’evidenza mediatica scaturita dall’attentato dell’undici settembre ha condizionato in maniera del tutto diversa la percezione di un possibile attacco islamico, percezione rinforzata anche dagli attentati di Londra e Madrid, ma ad essere cambiata è stata anche la modalità di azione e prevenzione degli organismi di polizia e vigilanza degli stati, che hanno dovuto variare radicalmente il loro approccio al terrorismo esterno. Gran parte del successo dei risultati che lo studio dell’Europol illustra dipendono proprio dal successo della prevenzione ottenuto dal costante lavoro delle polizie europee congiunto all’azione diplomatica; ma assodato questo è importante focalizzare l’uso strumentale fatto dai governi e dai media sulla spada di Damocle che ha gravato sulla società europea e rappresentata in concreto dalla minaccia terroristica islamica. Da un lato le alleanze con gli USA e la NATO hanno obbligato i governi europei ad allinearsi ad una politica dove l’avversario doveva essere demonizzato, mentre dal lato dei media riportare le notizie con più o meno enfasi ha costituito una cassa di risonanza di sicuro effetto. Dallo studio è risultato che la gran parte degli attentati siano stati effettuati da movimenti indipendentisti o schegge di gruppi anarchici o di estrema destra, si è trattato di atti terroristici provenienti non dall’esterno ma dall’interno dei paesi vittime, in special modo per quanto riguarda Spagna e Francia ha riguardato ben 237 attentati dai separatisti, ma in quel caso pesa l’attività dell’ETA. Nel rapporto dell’Europol vi è una riflessione interessante: si stima, infatti, che le forze di polizia temano maggiormente l’attentato di matrice islamica perché potenzialmente in grado di provocare una mortalità maggiore con una singola azione, ciò trova motivo rilevante nella modalità avvenuta nei già citati attentati di Londra e Madrid.
lunedì 10 gennaio 2011
La deriva dell'azione politica: un triste dato comune
L'attentato di Tucson pone in risalto la radicalizzazione dell'agone politico trasceso da confronto ad attuazione di minacce. Non è un caso che riguarda i soli Stati Uniti, lo scadimento qualitativo del dibattito politico perpetrato attraverso i principali protagonisti del confronto, i politici, ed amplificato in modo scandalistico da tutti i media sta generando picchi di violenza. Non si è arrivati all'improvviso a questa situazione, si è passati attraverso vari gradi di confronto che dal dibattito serrato è peggiorato in pubblici insulti, diffamazioni ed uso di fatti privati spesso distorti ad arte. In questa pratica non vi è differenza religiosa o di latitudine o peggio di cultura, il livello dello scadimento è tale che è comune a tutti i paesi. Riguardo ai fatti americani, che, data il loro recente accadimento, possiamo usare come esempio, è stato giustamente stigmatizzato il comportamento del movimento del Tea Party. La campagna del movimento di Sarah Palin è stata da subito improntata ad una violenza verbale eccessiva, tesa a scaldare volutamente gli animi, si è creata un'offerta politica basata non su proposte costruttive ma sulla denigrazione dell'avversario, presentato in modo artamente distorto in modo da essere percepito come nemico dello stato, dei valori cristiani e finanche tacciato in modo esplicitamente razzista. E' stata essenzialmente ed in maniera cruda un'operazione di marketing costruita apposta per piacere alla parte più retriva ed arretrata degli USA, ma probabilmente gli effetti hanno superato le intenzioni. Cercare di cavalcare simili pulsioni è senza ombra di dubbio pratica da politici consumati e non dilettanti praticamente allo sbaraglio, i risultati danno un ritorno immediato in termini elettorali, riempiendo anche vuoti di potere creati da difficoltà di partiti tradizionali, ma dopo si ci può trovare ad affrontare situazioni delicate come quella di Tucson, e si rischia di andare vicino ad essere incolpati per istigazione. L'analisi del comportamento politico del movimento del Tea Party non presenta peculiarità e singolarità americane, tanto è vero che si trovano analogie con altri casi nel mondo: sfruttare le parti più conservatrici ma nel contempo anche più arretrate con forme di populismo che fanno leva su proposte semplici e senza la dovuta articolazione richiesta per affrontare i problemi consente una presa agevole su grandi masse. Una caratteristica di fondo è la presenza dell'elemento religioso che permette una gamma più vasta di strumenti, in quest'ottica è indicativa la pratica di alcuni gruppi radicalisti islamici che fanno coincidere l'azione politica con le posizioni religiose più oltranziste.In Europa pratiche analoghe sono ormai comuni a movimenti localistici e territoriali che puntano la loro propaganda politica contro il diverso con toni sempre più urlati. In conclusione la deriva sta caratterizzando i nostri tempi, si è imposta una sorta di globalizzazione del modo di praticare l'azione politica livellata verso il basso, un modo che non cerca soluzioni ma propone l'annientamento dell'avversario senza la ricerca del confronto fattivo: nulla di più contrario alla ricerca del bene comune
mercoledì 5 gennaio 2011
Cristianesimo ed Islam sempre più divisi
Un recente sondaggio di Le Monde ha rilevato che oltre il 40 per cento dei francesi e dei tedeschi vive l'Islam come una minaccia. Le cause sono la scarsa integrazione con i popoli autoctoni, i costumi sessuali, la condizione femminile e perfino gli usi gastronomici. Questo disagio è comune con altre nazioni europee, non siamo più, come nel secolo scorso, quando l'immigrato era visto come una minaccia perchè sottraeva posti di lavoro, ora la minaccia è il suo credo religioso. Si tratta di un salto di qualità che, a prima vista, sembra una contraddizione nel mondo della globalizzazione, in realtà è la naturale conseguenza di un processo incompleto dettato da esigenze che il mondo dell'economia ha imposto al mondo della società. La riflessione pare slegata dal contesto sociale e culturale ma non è così, le condizioni di vita imposte dalle nuove regole economiche hanno determinato un rinserrarsi nella propria religione e cultura da parte di grandi masse sradicate dalle loro nazioni, su questo ha fatto leva il processo di radicalizzazione religiosa intrapreso dai movimenti più estremi determinando un incremento delle situazioni di progressivo autoisolamento delle comunità islamiche fuori dal suolo patrio. Quello che si sta scavando è un solco profondo che minaccia un'integrazione sempre più obbligata, la sempre minore importanza delle guide religiose moderate acuisce il problema già dal momento della partenza dei flussi migratori, chi arriva, in gran parte, è già poco disposto ad una integrazione nella nuova società. E' anche vero che la sempre maggiore riduzione degli investimenti statali in materia di immigrazione non aiuta e non favorisce il processo, ma il dato della percezione della popolazione è oltremodo allarmante. Se poi si pensa a quanto successo in Egitto, solo la punta dell'iceberg della condizione dei cristiani nei paesi musulmani, si ci convince sempre più che stiamo entrando in un'epoca che sarà caratterizzata dai conflitti religiosi, infatti se lo scorso secolo, un'epoca storica finita, era caratterizzato dalla contrapposizione Est-Ovest, ora si rischia un ritorno al tempo delle crociate. In realtà l'attuale contrapposizione sta diventando Nord-Sud ed i due poli si stanno identificando con cristianesimo ed islamismo, non è una semplificazione eccessiva anche perchè l'identificazione ora sta abbracciando anche i laici delle rispettive religioni, se non si pone un freno costruendo ed intensificando il dialogo tra le parti moderate la profondità del solco della divisione rischia di diventare incolmabile.
martedì 4 gennaio 2011
UE: la difficile presidenza dell'Ungheria
Il fatto che l'Ungheria sia ora Presidente di turno della UE, non fa altro che mettere ancora di più sotto i riflettori la gravità della legge illiberale sulla stampa adottata dal paese magiaro. Ma il problema che oltrepassa i confini ungheresi è lo scontato conflitto istituzionale che si sta sviluppando in seno a Bruxelles. La domanda di fondo è se l'esercizio della presidenza possa essere legittimo esistendo un vizio di fondo così grave come la promulgazione di una legge contro la libertà di parola, certamente contraria ai principi ispiratori dell'Unione Europea. Che non esista una norma che regoli casi come questo è una falla del sistema sovranazionale, tuttavia era obiettivamente difficile prevedere che nel 2011, il vecchio continente potesse essere ancora affetto da problemi del genere. Probabilmente l'eccesso di buona fede del legislatore europeo, che confidava nello sviluppo costante delle istituzioni democratiche, ha generato un caso non da poco e destinato a fare scuola e, ci si augura, anche a produrre nel sistema quei necessari anticorpi legislativi capaci di ovviare a casi del genere. Ma il problema contingente è adesso, la Germania ed il Lussemburgo sono le prime nazioni che hanno espressamente dichiarato di non gradire che sul suolo europeo sia vigente una legge illiberale, altri paesi seguiranno i primi due; prevedere un conflitto istituzionale a breve non è un'idea peregrina, anche perchè l'Ungheria non pare recedere dai propri propositi. Il timore è quello di assistere ad una grave impasse operativa della UE in un momento dove le decisioni devono essere le più veloci possibili. Quello che ci si augura, a parte l'ovvio stralcio della legge sul bavaglio alla stampa magiara, è un maggior peso delle istituzioni europee nel contrastare provvedimenti del genere el'avvio di un processo di ripensamento dei criteri non solo dell'allargamento ma anche del mantenimento della composizione dei paesi della UE.
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