Politica Internazionale

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mercoledì 16 febbraio 2011

La situazione belga monito per l'Europa

La situazione belga, il paese è senza governo da otto mesi, rischia di portare alla dissoluzione del paese. Il mancato accordo è dovuto alla divisione regionale tra la parte fiamminga con quella vallone, la soluzione della crisi anzichè essere per divergenze tra tradizionali parti politiche, destra-sinistra o conservatori-progressisti, è impedita da basi territoriali e di identità culturale e linguistica. L'ostacolo appare ancora più insormontabile proprio per la radicalizzazione delle differenze, che vertono su queste basi. Il paese è bloccato da una impasse paralizzante e vive sulla amministrazione corrente senza l'ombra di una programmazione che permetta di intraprendere una qualche azione per individuare degli obiettivi. Nel continente europeo le spinte autonomiste sono state il fenomeno, che a partire dallo scorso decennio ed in alcuni casi anche prima, hanno contraddistinto la scena politica con la nascita di nuovi partiti e movimenti che hanno eroso consensi ai partiti tradizionali. La disgregazione degli stati, a parte il caso della separazione consensuale della Cecoslovacchia tra Repubblica Ceca e Slovacchia, unico caso di repubblica federale del blocco sovietico, è stata una costante dell'area balcanica, dove la separazione è stata determinata da atti violenti mirati contro interi gruppi etnici; ma si trattava di popolazioni tenute insieme in modo artificiale e forzoso da una guida carismatica, Tito, venuta a mancare la quale è mancato il collante che ne consentiva l'assemblaggio. Per le altre parti d'Europa la spinta dei movimenti autonomistici si è concretizzata nella lotta per la maggiore autonomia per i territori rappresentati, ma non vi sono state scissioni di parti di nazioni. Il caso Belga va invece controcorrente, la separazione rischia di avvenire per consunzione politica, in assenza di accordo per governare il paese, la scissione può diventare la strada obbligata per assicurare il proseguimento di una vita politico amministrativa normale. E' chiaro che un caso del genere nel cuore dell'Europa e sopratutto delle istituzioni europee risulta clamoroso. La situazione disorienta molto la popolazione, tanto che molti cittadini, sopratutto della provincia a sud richiede la cittadinanza lussemburghese in forza di una legge del Granducato esistente dal gennaio 2009. La preferenza dei cittadini belgi è giustificata da uno stato che presenta più sicurezze e stipendi più alti e garantisce un livello più alto dei servizi. Il costante aumento delle domande non preoccupa per ora il Lussemburgo che non vede pericoli di belgizzazione della sua nazione, tuttavia il segnale è forte e chiaro e vale per tutta l'europa: la mancata risoluzione dei problemi porta a soluzioni talvolta estreme da parte degli stessi cittadini.

Rivolte ed emergenze profughi: le carenze operative della UE

Lo sviluppo del fronte delle crisi si allarga: dopo la chiusura senza soluzione, per adesso, di quella egiziana, anche Bahrein e Libia entrano nel club; inoltre nello Yemen, in Iran, Algeria, Tunisia ed anche Marocco le manifestazioni si succedono. I fattori scatenanti sono stati individuati nell'eccessivo aumento dei generi alimentari, nell'aumento della povertà, nell'eccessiva corruzione e nella presa di coscenza della mancanza dei diritti civili. I regimi in carica, quando non sono caduti, hanno avviato severe repressioni sui dimostranti e sulla popolazione in generale, già fiaccata da situazioni enedemiche di povertà, aggravate dalla congiuntura economica internazionale. Ciò sta creando un nuovo esodo verso le coste italiane ed europee, non a caso il ministro degli interni della repubblica italiana ha parlato di situazione analoga a quella conseguente alla caduta del muro di Berlino. Siamo di fronte ad un effetto a catena determinato dalla sorpresa con cui le rivolte stanno accadendo; l'impreparazione generale dell'occidente ed in particolare dell'Unione Europea, ma anche dell'Italia, in quanto stato più prossimo al nord africa, di fronte allo sviluppo della situazione rischia di generare condizioni talmente gravi da essere difficilmente risolte. Aveva già sorpreso come le rivolte erano accadute in modo così inaspettato per la diplomazia, si era assistito a governi sbigottiti per il succedersi di eventi totalmente inattesi, che cercavano di comporre la situazione con dichiarazioni di facciata a metà tra il regime in carica ed i manifestanti nell'attesa della direzione che prendevano le rivolte. Ancora peggio trovarsi impreparati di fronte ad un'emergenza che di fatto risultava annunciata. Nel momento delle manifestazioni di piazza è possibile che i controlli siano stati allentati o che la determinazione dei migranti sia cresciuta, nel mezzo le organizzazioni criminali hanno individuato occasioni di guadagno ulteriore ed hanno potenziato i loro mezzi, tutte cause conclamate ma che non era difficile immaginare. Da aggiungere le difficoltà di comunicazione e di coordinamento tra organismi centrali della UE e singoli stati, nella fattispecie l'Italia, hanno causato la situazione attuale. Impossibile tornare indietro, tuttavia il caso deve servire da lezione: la UE deve essere più presente, anche con presidi fisici nelle zone calde, deve cioè, avere un maggiore coinvolgimento operativo e non solo legislativo, devono essere migliorate e velocizzate le procedure operative per situazioni di emergenza, deve essere potenziata e forse ripensata l'intelligence per diventare capace di elaborare previsioni efficenti sulla base delle quali costruire strategie anticipate ed infine i singoli stati devono migliorare la collaborazione con la UE instaurando comunicazioni continue sulle situazioni di crisi.

martedì 15 febbraio 2011

I Fratelli Musulmani richiedono il riconoscimento ufficiale

La mossa ufficiale è stata avanzata, come era atteso i Fratelli Musulmani chiedono il riconoscimento come partito politico per partecipare alla costruzione del nuovo Egitto che nascerà dalla caduta di Mubarak. Il movimento presente sulla scena da diversi anni era stato messo fuori legge già da Nasser per la sua visione confessionale della società. Nelle manifestazioni di piazza il supporto logistico ai manifestanti è stato concreto, con aiuti in alimenti e medicinali. Le richieste del movimento continuano chiedendo che il processo di transizione, seppur graduale, deve avere inizio il prima possibile per portare la nazione egiziana fuori dalla situazione di stallo politico ed economico attuale. La visioned ei Fratelli Musulmani non è unita, ma è composta di tre correnti che prevedono l'applicazione integrale della sharia, la creazione di uno stato islamico confessionale ed infine la collocazione partitica che porti avanti le idee islamiche nel quadro di uno stato laico. L'ultima corrente se pur minoritaria, è quella su cui conta maggiormente la parte della società egiziana che si dichiara laica, per dialogare con il movimento islamico. D'altronde le dichiarazioni ufficiali dei Fratelli Musulmani sembrano andare in questa direzione auspicando la creazione di uno stato democratico e civile in cui portare l'islamismo nel rispetto di ogni credo religioso e politico.

Cina: seconda economia del mondo

La Cina si avvicina al vertice dell’economia mondiale insediandosi al secondo posto, raggiunto grazie al sorpasso sul Giappone, che da ora è la terza economia mondiale. Non che per il paese del sol levante la situazione non sia positiva, tuttavia il boom dell’industria manifatturiera cinese è stata la ragione che ha determinato il nuovo podio. Nonostante il passaggio al numero tre in classifica il Giappone vede di buon occhio e considera di buon auspicio l’incremento cinese, anche per le sostanziose implicazioni nella regione del sud est asiatico, che stimolata dalla locomotiva di Pechino si candida ad essere una zona chiave per l’economia mondiale. I numeri cinesi però non sono tutti positivi la redistribuzione del reddito presenta elevate discrepanze e la qualità del rispetto dei diritti dei lavoratori è questione quotidiana di dissidi interni. A livello statale l’economia cinese ha valori altissimi, grande produttività, elevate riserve liquide e basso rapporto deficit/PIl, tuttavia se queste condizioni economiche restano nell’ambito dei livelli generali dello stato senza scendere alla popolazione appaiono soltanto fredde statistiche e danno la misura della stortura del sistema che si è venuto a creare. I successi economici non bastano a diventare una nazione con peso politico internazionale, in questo senso la Cina è ancora una grande incompiuta: senza che sia intrapresa una riforma sul tema dei diritti civili e politici, il precorso di trasformazione del paese resta troncato a metà. D’altro canto i dirigenti cinesi negli ultimi anni si sono preoccupati di trasformare l’economia sfruttando il gran numero di braccia a disposizione, puntando alla massima resa ottenuta senza l’applicazione, anzi stroncandola, dei diritti sociali. I primi scioperi cinesi, di cui si da poca o nulla pubblicità, segnalano che si è passati oltre alla prima fase della industrializzazione selvaggia; anche nella repubblica popolare si sta sviluppando un movimento che ha avuto il suo culmine con la consegna del premio Nobel per la pace ad un dissidente cinese. Nonostante l’aspetto granitico del sistema le prime crepe si stanno aprendo con le prime concessioni sulla legislazione del diritto del lavoro, specialmente in tema di sicurezza. Non è ancora molto ma il percorso pare inesorabile.

Afghanistan, Pakistan ed India: il punto della situazione

I delicati equlibri al confine tra Afghanistan e Pakistan sono oggetto di sviluppi giudicati importanti dagli analisti internazionali. La situazione interna ad Islamabad è in continua evoluzione, dopo le dimissioni del governo un nuovo esecutivo ha già prestato giuramento, ma il segnale è è di forte instabilità ed il paese appare sempre più in preda a divisioni profonde. La situazione preoccupa gli Stati Uniti, che hanno focalizzato la lotta al terrorismo lungo la frontiera tra Afghanistan e Pakistan, regione dove trovano rifugio le bande dei Talebani. Inoltre le relazioni tra Pakistan ed USA, che sono da tempo tese per l'atteggiamento giudicato ambiguo dei pakistani, sono in questi giorni aggravate dal caso di un diplomatico statunitense imprigionato per avere ucciso due cittadini pakistani (l'accusato afferma di avere agito per legittima difesa). Intanto gli USA in Afghanistan continuano, oltre a quello militare, il lavoro diplomatico congiunto con il governo di Karzai per ridurre la minaccia talebana, in vista del ritiro definitivo delle truppe previsto per il 2015. La situazione afghana è lontana da essere risolta, tanto che una possibilità è di mantenere basi permanenti per affiancare l'esercito nazionale. I talebani dal canto loro pongono come condizione per l'avvio dei colloqui il ritiro immediato delle truppe. La situazione è di stallo ma nello scenario irrompe l'India, che teme di essere coinvolta all'interno del proprio territorio da uno sconfinamento del fenomeno delle milizie talebane, favorite da possibili accordi da cui potrebbero trarre vantaggi. Per prevenire questo pericolo l'India lancia una strategia diplomatica che prevede trattative con il Pakistan, tradizionale avversario. La ripresa dei rapporti tra i due stati è una nota positiva nella situazione della regione ed è vista molto favorevolmente dagli Stati Uniti, che sperano di avere benefici indiretti dalla ripresa delle relazioni in un clima di distensione a distanza di due anni dagli attentati di Mumbai, dietro i quali l'India aveva visto la mano dei servizi pakistani.

lunedì 14 febbraio 2011

Alcune riflessioni sulla transizione egiziana

Le condizioni di salute di Mubarak si aggravano, secondo alcuni bollettini medici il dittatore egiziano sarebbe in coma. Se la notizia fosse vera si potrebbero interpretare i fatti degli ultimi giorni alla luce ed in funzione proprio delle condizioni mediche di Mubarak. Il capo di stato dell'Egitto, è risaputo, è affetto da una forma di neoplasia e la tarda età non ne facilita il recupero. Prima dei moti di piazza Taharir il successore designato era il figlio, tuttavia il regime non era compatto nell'accettare questa successione. Si può ipotizzare che la ragione vera della transizione sia stata l'aggravarsi delle condizioni mediche del capo supremo e non i moti di piazza? Ergo i moti di piazza sono stati indirizzati perchè la testa del regime non comandava più tutto l'apparato statale? L'Egitto è sempre stato un paese dal controllo pressante sulla vita dei cittadini e sugli oppositori, riflettendo sui recenti avvenimenti pare difficile che il malcontento, che esisteva in maniera consistente per le condizioni politiche ed economiche, sia esploso in maniera autonoma e senza imbeccata alcuna. Del resto il ruolo dell'esercito è stato determinante nella riuscita dei moti di piazza e nella caduta del regime, non vedere un qualche disegno dietro gli avvenimenti che si sono succeduti a velocità sostenuta sembra francamente improbabile. Si può ragionevolmente pensare che la soluzione attuale sia stata pianificata per evitare uno sbocco non gradito a settori dell'establishment egiziano, un passaggio quasi dolce verso un potere differente da quello di Mubarak o del suo entourage. In sostanza la protesta, che ripetiamo covava sotto la cenere, è stata innescata ad orologeria contro un potere inviso non solo al popolo. E' chiaro che l'indiziato principale sono le forze armate che ora si trovano in mano le chiavi per gestire il processo di transizione. Attualmente, quindi i militari sono il potere in Egitto e si sono ritrovati in mano questo potere in modo automatico senza colpo ferire, un poco troppo casuale per essere vero.

domenica 13 febbraio 2011

Egitto: esercito ed incognite della transizione

La pace del mondo e’ in mano alle forze armate egiziane; e’ questo che la transizione di potere da Mubarak ha di fatto stabilito: consegnare il potere al paese e con esso l’accesso ad Israele ed il rispetto degli accordi di Camp David ai detentori del potere militare egiziano. Le forze armate egiziane hanno rappresentato sotto il regime di Mubarak un ceto influente che ha goduto di parecchi favori, tuttavia il grado di collusione con il regime caduto non ha consentito un suo mantenimento al potere, troppo forte la spinta popolare, troppo poco conveniente tenere in vita una dittatura, che con l’avanzare dell’eta’ del suo leader rischiava una caduta ancor piu’ rovinosa con conseguenze nefaste per l’apparato militare. Meglio un ragionamento da realpolitik: assicurare un passaggio indolore restandone dietro come garanti. Per l’occidente che l’esercito egiziano abbia in mano le chiavi della transizione e’ un’assicurazione: la struttura portante sia dei vertici che dei livelli inferiori e’ di matrice laica e soprattutto riconoscente agli USA per il contributo annuo in contante che consente il rinnovo degli armamenti. Non esiste, quindi il pericolo di una creazione, perlomeno immediata, di uno stato anti occidentale. Cio’ per il momento placa in qualche modo anche Israele, anche se sullo sfondo il rischio della riapertura del valico che collega l’Egitto alla striscia di Gaza, richiesta proveniente da diverse parti, tra cui i Fratelli Musulmani, ha gia’ messo in stato di allerta le forze di sicurezza di Tel Aviv. Qualche dubbio in piu’ suscita in diversi osservatori la reale capacita’ della gestione della transizione verso la democrazia di un apparato che ha poca confidenza con essa; la struttura militare egiziana ha attraversato diverse fasi, dalla caduta del regno, all’alleanza con l’URSS, fino alla svolta atlantica con la sottoscrizione degli accordi di Camp David. In tutti questi passaggi le forze armate hanno sempre garantito il loro appoggio al regime in carica con il tacito assenso dato grazie alle guarentigie riconosciute, ma mai sono state un soggetto con iniziative proprie e con una autonoma direzione; hanno certo contato molto nell’establishment egiziano, ma su di un piano subalterno. Ora hanno in mano il pallino del gioco senza alcuna autorita’ politica che gli copra le spalle, sono anzi loro la principale autorita’ politica. Questo cambio di prospettiva presenta molte incognite, prima fra tutte la reale capacita’ organizzativa della gestione della transizione. Finita l’euforia della festa si dovranno mettere d’accordo le varie anime della piazza ed arrivare alle elezioni e dopo ci sara’ da valutare il gradimento del vincitore. Non solo, oltre al fronte interno, occorrera’ gestire anche il fronte internazionale, la posizione geografica dell’Egitto al confine con Israele porra’ il paese, in questa fase di incertezza, all’attenzione delle nazioni interessate, con richieste di favori e scambi di relazioni che occorrera’ gestire nella maniera migliore e possibilmente senza sbilanciarsi senza la previsione di chi uscira’ vincitore. Per il momento la soluzione e’ comunque di gran lunga la migliore, in attesa degli eventi.