Politica Internazionale

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venerdì 15 aprile 2011

L'escalation turca nel mondo islamico

L'azione diplomatica turca cerca di essere al centro della scena islamica. La strategia di Istanbul per accrescere il suo peso e la sua influenza tra i paesi musulmani continua senza sosta e si arrichisce di due nuovi episodi molto significativi. Il primo, che la pone di fronte ad Israele, riguarda la costruzione di una seconda flotta di aiuti da portare a Gaza, dopo che il primo tentativo, di qualche mese addietro, ha causato la rottura diplomatica tra i due paesi. Israele teme molto questo secondo episodio, perchè già nel primo ha avuto un grande ritorno negativo, sul piano internazionale e la Turchia gioca proprio su questo timore per portare avanti la sua politica: essere l'alfiere degli aiuti alla popolazione di Gaza, la mette sotto una luce particolarmente favorevole con l'opinione pubblica islamica. Il secondo fatto che rema nella direzione per guadagnare influenza è la concessione di un ufficio diplomatico per i Talebani ad Istanbul, in modo da favorire il dialogo verso la pacificazione sia in Afhganistan che in Pakistan. La mossa mette al centro della delicata questione Istanbul, che si pone come autorevole mediatore tra le parti, offrendo qualcosa di più che una semplice consulenza. Questi fatti, giunti ad altri esercitati nelle zone a levante e a meridione dei propri confini, pongono la Turchia sempre più fuori dall'orbita europea. Il rifuto della UE ad ammetterla nella propria organizzazione, ha obbligato la Turchia a volgere il proprio sguardo verso paesi più ben disposti, valorizzando nei loro confronti le affinità e le similitudini presenti. La capacità economica, politica ed anche militare, fa di Istanbul la più grande potenza dell'area, capace di ritagliarsi un prestigio da giocare anche su tavoli che vanno ben oltre l'importanza regionale. La crescita diplomatica turca permette di inquadrare l'errore europeo a rifiutarla come socio permanente effettivo dell'Unione Europea: un guasto da riparare al più presto.

Cosa può esserci dietro l'omicidio di Arrigoni

Il tragico omicidio del cooperante italiano Vittorio Arrigoni, chiarisce, purtroppo, la dura crisi presente tra le varie facce dei movimenti che lottano per la Palestina libera. Appare evidente che Hamas è stato scavalcato nella pratica della lotta armata da fazioni inquinate dall'ingresso di Al Qaeda nella contesa. E' chiaro che lo scopo di queste parti estreme è estremizzare al massimo la lotta, senza contemplare il dialogo con Israele. Si tratta di una tattica totalmente distruttiva, che mira a fare terra bruciata attorno al problema palestinese per esasperare al massimo gli animi; quello che emerge è l'individuazione del nemico, non solo all'esterno, Israele, ma anche all'interno, dove perfino Hamas fa la figura di movimento moderato. Chi ha l'interesse che accada una rottura senza l'opzione di ritornare indietro, quando perfino le due parti si sono dette d'accordo su di un cessate il fuoco? Non certo i palestinesi, provati da anni di guerra e privazioni continue; ma neppure gli israeliani, che ora paiono alle prese con problemi di politica internazionale ai loro confini. Non pare improbabile la presenza di una nazione straniera che trama alle spalle delle trattative, per cercare di imporre un fallimento che avrebbe ripercussioni nefaste, prima sulla regione e poi sul mondo intero. Il fallimento di Al Qaida di riuscire ad entrare dalla porta di servizio delle rivolte arabe, dove è stata di fatto emarginata, apre nuovi scenari estremi per il movimento terroristico, che non può permettersi di perdere le luci della ribalta. Ma occorre chiedersi quale è il principale alleato del massimo movimento terroristico islamico; quale è la nazione che ha più da perdere, con la probabile instaurazione delle democrazie nei paesi arabi ed infine qual'è il principale nemico dichiarato di Israele. L'evoluzione della politica nei paesi arabi, con la probabile, anche se faticosa, affermazione di sistemi democratici, pone nell'angolo la dittatura teocratica iraniana, che non vede di buon occhio, per diverse ed ovvie ragioni, essere uno degli ultimi baluardi dell'estremismo islamico. Lo stato di isolamento può essere deleterio per il regime di Teheran, già oggetto di rivolte interne, finite solo perchè soffocate nel sangue. La piega presa dagli eventi costringe a stringere in maniera sempre più serrata l'alleanza con Al Qaida, e ciò costituisce un ben triste destino, perchè mette l'Iran ai margini del panorama internazionale. Forzare la mano potrebbe essere l'estremo tentativo di catalizzare ancora i pochi consensi in grado di essere addensati attorno ad un ideale di violenza. La distruzione di Israele, ancorchè impossibile, risulta, in certi ambienti, un obiettivo ancora capace di mobilitare favori.

giovedì 14 aprile 2011

L'ivoiritè valore civico determinante in Costa d'Avorio

Con l'arresto di Ggagbo la questione ivoriana è tutt'altro che conclusa. Il lavoro di pacificazione nazionale che toccherà al presidente legittimamente eletto Ouattara, sarà ancora più difficile proprio per la difficile e cruenta conclusione del confronto tra i due candidati. La questione ivoriana è rappresentativa ed è un caso scuola per tutto il continente africano. La costruzione dello stato della Costa d'Avorio è dovuta in gran parte al presidente Boigny, in carica dal 1960 al 1993, inventore dell'ivoiritè, un concetto rivoluzionario e fondamentale su cui fondare la coesione sociale dello stato. La costruzione degli stati africani, in epoca post coloniale, è stata spesso un affare raffazzonato, portato avanti con strumenti confusi e contraddittori. Passato infatti il primo periodo di euforia, conseguente alla nascita della nuova nazione, i governanti dei nuovi paesi africani si trovarono a dirimere questioni, spesso violente, basate sull'appartenenza tribale ed etnica. Le profonde divisioni hanno sovente portato a guerre interminabili e facili strumentalizzazioni da parte degli stati ex colonialisti, che sfruttavano questa instabilità per carpire le ingenti risorse presenti sui territori, che di fatto non venivano gestite. In questo panorama la Costa d'Avorio ha sempre rappresentato un caso a se stante, nonchè un esempio da seguire. Fondamentale è stato, per lo sviluppo pacifico dello stato, il superamento del valore etnico a favore di quello di cittadinanza, applicabile sia dal punto di vista politico che culturale. La rivoluzionarietà di questo concetto ha permesso alla Costa d'Avorio di essere un paese in pace con se stesso e di prosperare grazie alla sua principale fonte di ricchezza: il cacao. Successivamente il concetto di ivoirité è stato stravolto, prendendo a pretesto il grande flusso migratorio, causato proprio dalla stabilità del paese, perchè non lo si è voluto estendere ai nuovi cittadini di provenienza di altra nazione. Questo stravolgimento si è traslato anche in politica, oltre che nel sociale, diventando la principale fonte di contrasto tra i due candidati presidenziali. L'estremizzazione dell'ivoiritè ha permesso ha Ggagbo di dirigere la rabbia politica contro il suo avversario, fatto passare come mandatario di potenze straniere. Tuttavia la propaganda del presidente uscente non ha pagato, il senso di ivoiritè, così radicato nella popolazione ha determinato il voto a favore di Outtara.

Unione Europea: pericolo di disgregazione

Il malessere che corre in Europa produce sintomi preoccupanti per il futuro dell'unione. Gli euroscettici, pur essendo una minoranza, prendono campo grazie alle divisioni in seno all'istituzione ed anche per le mancanze oggettive di Bruxelles. La crisi economica ha aperto le prime ferite, l'incapacità di governare le difficoltà e di proporre alternative in grado di turare le falle giunta alla mancanza di fare sistema, ha risvegliato dissidi che parevano sopiti. I rigidi paletti imposti, con l'intento di fermare l'inflazione e costruire bilanci in linea ai parametri europei, hanno cozzato contro gli intenti dei politici che hanno bisogno di risultati immediati con cui placare gli elettori. La necessità di risultati subitanei è in contrasto con la velocità delle trasformazioni economiche nell'ambito del mondo globalizzato; in questa ottica non c'è tempo per programmi di lungo periodo, su cui, invece si fonda, giustamente, la costruzione dei piani economici europei. In questi spazi di euroscetticismo c'è posto per gli speculatori, cioè coloro che puntano ad un uso flessibile della svalutazione della moneta per giocare sui guagni delle esportazioni; questa era una politica comune prima dell'euro, la svalutazione selvaggia consentiva risultati immediati per la politica, per i quali la nostalgia non è mai scemata. Ma la situazione è precipitata con il problema libico, a quel punto sono venuti fuori tutti i nervi scoperti dell'Europa. La voglia di protagonismo diplomatico e militare di alcuni stati membri, che hanno travalicato gli organismi centrali europei, peraltro molto lenti a reagire, ha messo letteralmente il dito nella piaga sulle divisioni delle vedute circa la politica estera. Questo è dovuto anche allo scarso controllo delle istituzioni centrali ed al loro scarso potere di indirizzo; questa lacuna, mai colmata, ha permesso, alla prima occasione, l'emersione dei forti contrasti sulla azione diplomatica. L'euroscetticismo pare una caratteristica comune più accomunabile agli schieramenti partitici di destra o di centrodestra di tutto il panorama politico europeo; queste forme partitiche, spesso alleate con formazioni localistiche mal sopportano il ferreo e rigido controllo proveniente da Bruxelles, che vivono come una vera e propria limitazione alla loro azione di governo o di indirizzo; questa scarsa considerazione per l'unione europea deriva dal poco convincimento europeistico e dalla atavica diffidenza verso le istituzioni centralizzate. I momenti di crisi, sia economica che politica, giocano a favore di questi euroscettici, che hanno buon gioco a rimarcare le deficenze dell'azione europea. Tuttavia immaginare una europa disunita ed addirittura senza più la moneta comune, pare molto difficile; il processo di integrazione europea è andato troppo avanti per essere troncato; ma la diffidenza prende campo e questo può causare malanni notevoli. Bruxelles deve imprimere una accelerata alla propria azione, senza una maggiore visibilità ed una azione più incisiva, il processo di disgregazione avrà sempre più presa.

La dottrina Le Pen su UE, NATO ed euro

Marine Le Pen ha esposto la propria dottrina e le sue intenzioni in caso di elezione a Presidente francese. Molto ruota intorno alle problematiche internazionali, le questioni NATO, UE ed euro. In questi giorni sale il borsino degli euroscettici nel vecchio continente, sopratutto da destra pare scemare il convincimento dell'utilità della organizzazione europea, sono bastate le prime crepe venute alla luce per mettere in crisi un lavoro di decenni. Se così stanno le cose l'andamento è nettamente in controtendenza, in un ambiente globalizzato, dove gli stati tentano nuove forme di unione, pare francamente strano che l'unione più anziana mostri segni di stanchezza. La Le Pen, parte dall'euro per aprire la sua strategia di smarcaggio dalla UE, propone una politica con tempi lunghi, ma che alla fine porti alla fuoriuscita dalla moneta unica per riproporre il franco. Niente di nuovo è un vecchi tarlo di certa destra, sfuggire ai rigidi parametri della UE, per giocare sulla flessibilità della propria moneta, per adeguare il valore all'andamento economico, in un quadro fortemente instabile ma di completa autogestione. La mossa, a breve termine, darebbe certamente risultati, ma metterebbe in pericolo l'intera stabilità continentale. Uscire dall'euro sarebbe solo un primo segnale per la UE, è vero che c'è già il Regno Unito che ha mantenuto la propria moneta, ma il segnale politico sarebbe devastante. Ma la Francia ha già dimostrato di soffrire poco anche i lacci politici di Bruxelles, l'atteggiamento di Sarkozy nella guerra libica, la dice lunga sul sentimento generale che alberga a Parigi; Le Pen interpreta bene questi sentimenti e li estremizza, cercando di andare a colpire il cuore dell'elettorato. Per completare il quadro la candidata dell'estrema destra, etichetta peraltro rifiutata, annuncia anche l'uscita dalla NATO; è un chiaro tentativo di cavalcare la strada aperta già dall'attuale presidente francese e di scavalcarlo a destra, la grandeur francese fa sempre presa sul popolo d'oltralpe. Le Pen sta intrepretando le pulsioni di quella parte della società francese insofferente ai paletti delle organizzazioni internazionali a cui aderisce la Francia, perchè convinta che Parigi con le mani più libere potrebbe avere maggiori opportunità di gestire le situazioni e trarne maggiori vantaggi. C'è una parte di colpa in Bruxelles, se questi sentimenti prendono campo, l'assenza di interventi veloci e di una politica certa nella propria direzione ha spesso determinato situazioni ingessate e non all'altezza dell'importanza dei casi su cui decidere: se si vuole evitare che il sentimento antieuropeista si allarghi è necessario correre da subito ai ripari.

lunedì 11 aprile 2011

La Cina accusa gli USA del mancato rispetto dei diritti umani

La Cina, messa sotto pressione per le ripetute violazioni dei diritti umani, gioca la carta dell'antiamericanismo per distogliere da se stessa le attenzioni mondiali, dopo il recente incremento della repressione interna, nel timore di manifestazioni anti governative, come successo nel mondo arabo. La strategia cinese punta il dito sugli USA, che si ergono a giudice supremo delle violazioni dei diritti umani in casa d'altri, senza ammettere le loro violazioni. Quello che la Cina accusa è di utilizzare l'argomento dei diritti umani col fine di ingerire negli affari interni degli altri stati. L'argomentazione, pur avendo il sapore di vecchio strumento anti imperialista, ha un fondo di verità: il comportamento degli USA nelle guerre afghana ed iraqena non è stato adamantino e probabilmente gli episodi e l'esistenza stessa di Guantanamo, non depongono a favore degli Stati Uniti. Quello che è singolare che la critica venga mossa soltanto agli USA, quando si potevano accusare anche altri paesi, che condannano la Cina, ma non sono altrettanto trasparenti. La verità più probabile è che dietro questa presa di posizione, si celi l'inizio di una battaglia tra quelle che sono ormai le due più grandi potenze della terra. Citare il mancato rispetto dei diritti umani da parte degli statunitensi permette inoltre di aggregare una vasta platea internazionale, che in nome dell'antiamericanismo, si può trovare sotto lo stesso ombrello nonostante differenze rilevanti. Resta il fatto che la Cina ha la coda di paglia sull'argomento e non è certo il soggetto che può permettersi critiche verso qualsivoglia stato. Il livello di repressione di questi giorni dimostra come il gigante asiatico sia in difficoltà al suo interno ed ha bisogno che i riflettori internazionali si spengano al più presto per meglio tacitare il dissenso.

La Lega Araba chiederà la zona di non volo su Gaza

La Lega Araba chiederà al consiglio di sicurezza dell'ONU la creazione di una zona di non volo, analoga a quella istituita sulla Libia, per la striscia di Gaza, con l'intento di proteggere i civili palestinesi dalle ritorsioni dell'aviazione israeliana praticate contro i lanci di razzi effettuati da Hamas. La misura richiesta mira a bilanciare l'azione diplomatica della Lega Araba, che è stata oggetto di critiche da alcune parti dell'opinione pubblica araba, per l'appoggio alla zona di non volo libica che in realtà favorirebbe le potenze occidentali. Per accreditarsi le simpatie dei popoli arabi la Palestina è sempre un punto su cui contare, la richiesta all'ONU, permette alla Lega Araba di fare bella figura a costo zero, dato che difficilmente la richiesta verrà accolta. Se le intenzioni sono serie occorrerà vedere quali azioni la Lega Araba metterà in piedi in caso di rifiuto. Va detto che la richiesta non appare iniqua, se l'istituzione della zona di non volo è stata fatta in Libia, per proteggere la popolazione civile, non si vede perchè, attenendosi alla stretta logica del buon senso e non alla real politik delle nazioni unite, non debba valere anche per i civili della striscia di Gaza. Inoltre il momento per questa richiesta appare molto favorevole, giacchè Israele ed Hamas sembrano intenzionati a frimare un cessate il fuoco. Tuttavia un riconoscimento ufficiale in sede ONU della necessità di una zona di non volo su Gaza sarebbe un brutto colpo per la diplomazia israeliana, perchè sancirebbe l'effetiva sproporzione delle ritorsioni dell'aviazione di Tel Aviv, rispetto all'atto di offesa. Per questo motivo pare oggettivamente difficile che gli USA diano l'assenso alla richiesta della Lega Araba. Ma in caso di rifuto, potrebbe aprirsi un fronte diplomatico di difficiel gestione sia per gli USA che per Israele, che rischierebbe di compattare diverse nazioni che pensano iniquo il trattamento riservato ai palestinesi. In più c'è la questione libica, che non pare essere avviata ad una soluzione rapida, se la Lega Araba facesse mancare il proprio assenso alla zona di non volo sulla Libia, verrebbero meno le condizioni favorevoli per le potenze occidentali impegnate nel conflitto. Questa richiesta, quindi, rischia di aprire ferite di non poco conto nei rapporti internazionali, su cui è molto difficile fareprevisioni.