Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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lunedì 20 giugno 2011
Isrele mette in pericolo il rattato di Oslo
Israele ha paura del riconoscimento dell'ONU per la Palestina. Mentre si avvicina la data della discussione per l'ingresso nelle Nazioni Unite della Palestina, Tel Aviv teme che il processo di riconoscimento internazionale inneschi una azione irreversibile che la costringa ad una trattativa da posizione di svantaggio. La battaglia per ora è tutta diplomatica, ma Israele mostra un timore significativo e si agita come una belva ferita. La minaccia di disconoscere il trattato di Oslo, segna un punto critico fino ad ora mai raggiunto. Intanto brilla il silenzio USA, che pur lavorando sottotraccia, sul piano pubblico ostenta una distanza che ha una sola valenza: Israele non gode dell'appoggio del suo maggior alleato sullka questione. Il governo in carica a Tel Aviv sta isolando il paese in un momento particolarmente delicato, i sommovimenti politici ai suoi confini consiglierebbero una tattica contrassegnata da maggiore cautela, ma la direzione presa va nel senso opposto. Stressare la situazione sul piano internazionale, può costringere l'intera scena a schierarsi dalla parte della Palestina, che in fondo richiede, solo un riconoscimento internazionale, praticamente a costo zero. La strategia rigida di Israele non può che essere perdente, sia che la Palestina ottenga il riconoscimento, sia che non l'ottenga, in questo secondo caso l'atto formale sarà solo rinviato, ma la discussione che ne potrebbe discendere potrebbe provocare danni ancora maggiori per Tel Aviv, come dimostra la pressione di questi giorni di soggetti sovranazionali come la Lega araba. Ad un osservatore esterno appare lampante come il riconoscimento palestinese, sia ormai un atto dovuto e costituisca un primo fondamentale passo nel processo di pacificazione. Il problema, a questo punto è che il governo in carica in Israele non voglia realmente regolare le cose, ma se così fosse sarebbe meglio chiarirlo del tutto, con tutte le conseguenze del caso. Infatti anche sul fronte interno l'opposizione sta montando e la partita è ancora tutta aperta.
sabato 18 giugno 2011
L'Italia ancora in Libia?
La riunone del partito della Lega Nord, componente del governo italiano, potrà decidere le prossime mosse della politica estera italiana. Una delle minacce principali, dopo le sconfitte nelle elezioni delle amministrative e dei referendum, è stata quella di togliere i fnanziamenti per la guerra in Libia, alla quale l'Italia partecipa nella coalizione dei volenterosi. Quale membro della NATO, Roma è stata praticamente obbligata a partecipare, ma con scarsa convinzione ed i maggiori oppositori erano proprio nelle fila della Lega Nord. Il risultato elettorale negativo ha accelerato la situazione, la Lega pensa che per recuperare il suo elettorato perduto, uno dei mezzi sia proprio il taglio delle spese militari contingenti, per girare la voce di bilancio verso capitoli più spendibili in chiave elettorale. Non è un mistero che proprio dalla base del partito siano arrivati ripetuti solleciti per un uso più oculato delle risorse. Questo gesto sarebbe significativo in chiave interna, ma condannerebbe il già compromesso prestigio internazionale del bel paese. Un'Italia che si ritira dalla coalizione, per meri problemi elettorali, scivolerebbe nel punto più basso della propria credibilità. La questione è importante, sopratutto se si pensa che con la Libia, il rapporto italiano è privilegiato, abbandonare la contesa vorrebbe dire precludersi ogni futuro rapporto con un nuovo governo nato dalla parte ribelle. Inoltre sono sul piato i rapporti con gli USA, che non tollererebbero uno sganciamento repentino. Per Berlsconi il problema è scottante, si trova letteralmente tra l'incudine ed il martello.
giovedì 16 giugno 2011
L'asse Mosca-Pechino
"La comunità internazionale può portare un aiuto significativo per non lasciare deteriorare la situazione, ma nessuna forza straniera si deve ingerire negli affari interni delle nazioni". Questa è la dichiarazione congiunta di Russia e Cina, sottoscritta da Dmitri Medvedev e Hu Jintao, durante la visita del premier cinese a Mosca. I due paesi sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU e la dichiarazione rappresenta più di una dichiarazione di intenti, si tratta di una pietra tombale quasi definitiva, sulle speranze di risolvere, per via militare, tramite la benedizione dell'ONU, le crisi che si stanno man mano affacciando nel teatro internazionale. Cina e Russia auspicano l'adozione di mezzi che passino solo per la via pacifica per risolvere i conflitti. E' palese che questo mezzo sia il migliore ma non sempre la via del negoziato pare percorribile. D'altra parte la dottrina abbracciata da Cina e Russia, riguardo alla politica internazionale, non contempla, come già molte volte ribadito, l'ingerenza degli affari interni dei paesi coinvolti. La posizione non è contestabile e rappresenta un legittimo modo di rapportarsi con altri stati, d'altro canto, però, il veloce cambiamento degli assetti del panorama internazionale, impone anche, specialmente alle organizzazioni internazionali, ed in particolar modo all'ONU, una risposta che richiede sempre di più il requisito della rapidità. Talvolta bloccare in lunghe ed estenuanti trattative, situazioni particolarmente e potenzialmente esplosive può essere molto pericoloso. La conseguenza immediata di questa decisione sino-russa, sarà l'impossibilità di ricorrere all'ombrello ONU, come copertura dell'intervento militare, ciò provocherà, se e quando si renderà necessario, che i protagonisti dovranno agire in proprio. Questo fatto renderà senz'altro più complicate le relazioni internazionali e si porrà sempre più frequentemente la domanda sull'utilità della stessa ONU. Infatti l'atteggiamento di Pechino e Mosca blocca sul nascere lo spazio di manovra militare delle Nazioni Unite. Con questo fatto non sembra più rinviabile una riforma dell'ONU, come già richiesto dalla Merkel, in modo da garantire una indipendenza politica e di manovra effettiva.
L'ONU denuncia la Siria
L'ONU denuncia pubblicamente la repressione siriana. Sono state infatti arrivate numerose denunce, riguardo a torture ed uccisioni, presso l'ufficio dei diritti umani delle Nazioni Unite. A rivolgersi all'ufficio dell'ONU sono stati diversi testimoni e molte vittime delle forze di sicurezza siriane. Secondo queste denunce i morti sarebbero 1.100 ed i detenuti oltre 10.000. Tra i morti numerosi si contano i donne e bambini. L'accanimento delle forze siriane è stato tale anche verso i feriti, impedendo loro di essere soccorsi e curati dal personale medico. Il regime siriano ha colpito diversi civili disarmati mediante l'uso di cecchini posti sui tetti di palazzi pubblici in zone molto popolate. Negli ultimi giorni sono entrati in azione anche elicotteri, che hanno colpito dal cielo, specialmente nella città di Jisr al Shughur. Intanto continua la fuga verso il territorio turco di diversi profughi siriani, che sono costretti alla fuga per potere salva la vita. Sul fronte dell'informazione continua il divieto del regime per i giornalisti stranieri, che non possono documentare le violenze di Assad. Nel frattempo, a Damasco il governo ha organizzato una manifestazione imponente di sostegno al regime, richiamando nelle vie principali un gran numero di persone. La strategia del governo siriano è di addebitare la situazione del paese a gruppi terroristici che agirebbero su ispirazione straniera. La presa ufficiale dell'ONU pone ora la Siria in una posizione più scomoda, perchè pone all'attenzione del Consiglio di sicurezza la situazione nel paese. Pare, tuttavia, difficile che si arrivi, nell'immediato, ad una risoluzione che preveda l'uso della forza, come per la LIbia. Russia e Cina, già bruciate, per la loro astensione, che ha garantito l'intervento militare, sono sempre più restie ad entrare nelle sfere di interesse interno di altri stati ed il prolungato impegno libico delle forze occidentali, non fa che giocare a favore del regime di Assad.
martedì 14 giugno 2011
Hezbollah al governo in Libano
Hezbollah è il socio di maggioranza del nuovo governo del Libano. La notizia risulta a tutti gli effetti un grosso intralcio per la pace e la stabilità sia del paese che della regione. Hezbollah è presente nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata dagli USA e dalla UE. Il movimento rappresenta una milizia armata di orientamento scita. Significativo che il primo governo estero a presentare le proprie felicitazioni sia stato quello siriano, direttamente per bocca del Presidente Assad. Nonostante le dichiarazioni di prassi, che hanno affermato l'unitarietà del governo come esecutivo di tutto il popolo libanese, è da subito apparso evidente, che quello costruito non è un organo amministrativo rappresentante di tutte le parti, sopratutto religiose del paese, ed infatti immediatamente dopo la dichiarazione dell'insediamento, si sono registrati disordini ad opera, sopratutto delle minoranze religiose, che non si sono sentite abbastanza rappresentate. Quello che si prospetta è un paese con un governo allineato sulle posizioni oltranziste iraniane, nemico dichiarato di Israele e filo siriano. Sul piano interno vi è il concreto pericolo che il Libano possa rivivere le cruente lotte intestine che hanno contrassegnato il suo recente passato. Le dimostrazioni scattate subito dopo l'insediamento del governo, rischiano di essere solo un piccolo assaggio del confronto che si potrà scatenare. Difficile credere che Hezbollah non cederà al metodo, per forza di cose, di usare il pugno di ferro contro ogni forma di opposizione. Ma è sul piano internazionale che si sollevano ancora maggiori preoccupazioni: l'andamento della repressione siriana, dove elementi di Hezbollah sono stati segnalati, insieme con i Pasdaran iraniani, come feroci interpreti del duro metodo di Assad contro i civili oppositori, il crescente protagonismo iraniano sul teatro regionale, che di Hezbollah è finanziatore, ed infine il rigido atteggiamento israeliano sul tema della creazione dello stato palestinese, rischiano di essere componenti micidiali di un cocktail, cui si aggiunge il governo Hezbollah in Libano, che ha tutte le premesse per causare l'esplosione della situazione dell'intera situazione medio orientale. Lo scenario che si prefigura per il Libano è quello di andare verso una alleanza sempre più stretta con Siria ed Iran, in un abbraccio mortale per il paese dei cedri. E' inevitabile a questo punto che Israele ed USA ammassino sempre più armamenti sulle frontiere di Tel Aviv e paradossalmente, anche e nonostante i conflitti sotterranei che corrono tra americani ed israeliani, per lo stato palestinese, Hezbollah al governo del Libano, può essere un fattore di riavvicinamento tra le due amministrazioni, perchè nemico conclamato dei due stati.
lunedì 13 giugno 2011
La Turchia pensa ad un intervento militare in Siria
La Turchia starebbe considerando l'opzione militare al proprio confine con la Siria. A causa delle pesanti ritorsioni contro i manifestanti, molte persone hanno passato i confini con la Turchia per sfuggire alle violenze del regime siriano, la questone è di primaria importanza, perchè Ankara ha praticamente una guerra ai suoi confini, che rischia di destabilizzare la regione con ripercussioni proprio sul paese del Bosforo. Un primo effetto sono, appunto i tanti campi profughi nati sul suolo turco per accogliere i fuggitivi siriani, ormai allo stremo per la feroce repressione di Damasco. La Tutrchia ha più volte sollecitato riforme radicali ad Assad per risolvere le questioni rivendicate dai manifestanti, ma la soluzione praticata dal governo siriano è andata nella direzione opposta. Fin dalle prime fasi della primavera araba, la Turchia è stata eletta a modello per le nascenti democrazie, sia per la propria capacità di conciliare la democrazia con la religione islamica, sia per il prestigio regionale guadagnato, grazie ad un evidente progresso economico ed a una sempre maggiore influenza politica, sopratutto nella regione. Va detto che i principi ispiratori della politica estera turca sono stati definiti neo ottomani, proprio per l'azione centrale che Ankara sta compiendo nella regione. Ora in forza di questo indirizzo di politica internazionale, la Turchia non può tollerare una sempre crescente violenza sul proprio uscio di casa. La minaccia di un intervento militare in territorio siriano ha, però, delle implicazioni che vanno aldila dell'ambito puramente regionale del teatro di crisi. Il nocciolo della questione è l'appartenenza turca alla NATO, dove riveste un ruolo cruciale proprio per l'area su cui si estende il suo territorio. In caso di risposta siriana, ancor peggio appoggiata da forze armate iraniane, sulla cui presenza in territorio siriano, si hanno forti sospetti, quale sarebbe l'escalation potenziale della vicenda? A quel punto ogni scenario dal più morbido al peggiore possibile potrebbe verificarsi.
sabato 11 giugno 2011
La Cina sempre più intollerante
Il problema dell'opposizione scuote la Cina. Il granitico Partito Comunista, ormai al potere da novanta anni, pare intenzionato a proseguire il suo dominio, sempre più contrastato, continuando a soffocare ogni piccola forma di dissidenza. La costituzione cinese, prevede per le elezioni locali, anche la possibilità di presentarsi al di fuori dell'organizzazione partitica a patto di non essere troppo fuori sintonia con le direttive vigenti. Tuttavia l'avvento di internet ha allargato la possibilità di comunicare il proprio pensiero nella rete, creando una pericolosa falla nel sistema, non più impermeabile, della rigida burocrazia cinese. L'apparato, in allarme, ha subito vietato questi micro blog, ritenuti, certamente a ragione, potenzialmente molto pericolosi. Il governo cinese ha imparato subito la lezione proveniente dalla primavera araba, dove il principale veicolo della protesta è stato proprio internet. Inoltre per ribadire, anche a livello politico che in Cina non vi è alcuna base giuridica per i cosiddetti candidati indipendenti, anche dal Congresso Nazionale del Popolo e dal periodico del Partito Comunista si sono levate voci per sottolineare questo assunto. L'espansione del livello di benessere ha comunque sedato gran parte della società cinese, contribuendo ad addormentare la coscienza civile del paese. La tattica pianificata dal Partito Comunista ha previsto, che con la diffusione dei beni le persone dovevano essere contente e non dovevano avere dei dubbi di sorta, così la via del capitaismo socialista avrebbe potuto proseguire, senza gli intoppi dei diritti sociali. Ma l'industrializzazione, ed anche la terziarizzazione, ha provocato la nascita di urgenze e bisogni che il monolite del partito aveva fino ad allora soffocato facilmente. Lo scambio e la circolazione delle idee hanno generato la nascita, seppure in parti minoritarie, ma sempre crescenti, della popolazione, di una coscienza nuova nell'ambiente cinese, i cui prodromi si erano verificati già con Tienammen, seppure solo nell'ambito studentesco. Era quella una Cina, comunque distante anni luce da quella attuale, dove le idee di contestazione potevano nascere e di fatto erano confinate, solo nelle aree della coltivazione del sapere. L'accesso sempre crescente ad informazioni prima irrangiungibili ha rivoluzionato l'approccio con la popolazione anche da parte dell'organizzazione governativa, che ha dovuto inasprire la guerra alla dissidenza, spesso con leggi e provvedimenti iniqui, che hanno sollevato la protesta e l'indignazione della comunità internazionale. Tuttavia questo inasprimento significa che il potere teme sempre di più che il proprio monopolio venga meno, ma anzichè praticare aperture, anche piccole, preferisce restringere ancora di più quelle minime occasioni di dissenso, prima tollerate, perchè ottenebrato da una paura fisica di esserne travolto.
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