Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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lunedì 18 luglio 2011
L'Iran invade l'Iraq per combattere i curdi
Reparti dei Pasdaran, i militari più orientati all'estremismo radicale islamico della repubblica teocratica iraniana, hanno passato il confine con l'Iraq per reprimere le azioni del PJAK partito curdo in lotta per la liberazione del Kurdistan. Il PJAK fa partire le sue azioni, terroristiche per l'Iran, contro Teheran da basi situate in territorio iraqeno al confine con la regione del Sardasht, situata nel nord ovest iraniano. Gli scontri hanno portato il controllo delle basi curde sotto la tutela dei Pasdaran, che hanno attaccato in forze. L'azione militare iraniana è una palese violazione del diritto internazionale, essendo compiuta sul territorio di un altro stato sovrano, e costituisce un pericoloso precedente nelle relazioni tra i due stati, da quando l'Iraq non è più preda della dittatura di Saddam Hussein. La presenza di militari americani sul suolo iraqeno, come alleati del governo in carica, rende la situazione ancora più esplosiva. I rapporti tra forze USA e curdi, pur non essendoci ufficialità, sono buoni dalla guerra contro Saddam, quando l'appoggio dato dai guerriglieri curdi, per la conoscenza del territorio, ai militari statunitensi, fu decisivo per la vittoria di molte battaglie. L'azione repressiva iraniana non è chiaramente diretta contro le forze USA, ma è stata dettata dalla volontà di interrompere le incursioni sul proprio territorio, sempre più numerose, da parte dei curdi. Tuttavia la possibilità che si crei un incidente tra forze americane ed iraniane deve essere stata valutata dai Pasdaran, che non hanno esitato ad attaccare fuori dai loro confini. Se i militari iraniani manterranno la loro presenza nella regione, non sono esclusi atti di ritorsione da parte delle forze iraqene.
Dove va la politica estera cinese?
Quale è il programma della politica estera cinese? Le recenti mosse di Pechino, che pure mantiene come proprio cardine quello di non volere ingerire nella politica interna dei singoli stati, vedono una tessitura a trama fitta, fatta di una realtà di accordi commerciali sempre più stringenti, con paesi in difficili rapporti con l'occidente. Non può essere un caso che l'azione cinese vada ad insinuarsi in zone lasciate scoperte da embarghi e sospettate di vicinanza, se non di collusione con il terrorismo. Quello che sembra, a prima vista, è che l'azione cinese sia esclusivamente commerciale, sempre alla ricerca di nuovi mercati con ampie potenzialità; questo è certamente il primo passo con cui si muove il gigante di Pechino, tuttavia è impossibile non leggere un programma studiato con cura, per contendere agli Stati Uniti la supremazia mondiale. Certo la Cina attua una politica meno eclatante, si tiene fuori dai conflitti mondiali e non agisce da gendarme del mondo, ma la sua azione non vieta di immaginare, che in futuro, non possa e sopratutto voglia, ritagliarsi un ruolo alternativo a Washington. Le ampie potenzialità economiche e finanziarie conferiscono alla Cina una ampiezza di manovra molto rilevante nel panorama internazionale, per Pechino il salto di qualità nell'arena diplomatica deve diventare una mossa obbligata se intende assurgere al titolo di potenza mondiale globale, non solo economica. Dal punto di vista militare la Repubblica Popolare Cinese sta attuando una grande modernizzazione dei propri armamenti, dotandosi, tra l'altro di portaerei, per dare maggiore mobilità alle proprie truppe, realizzando così strumenti essenziali per agire su teatri al di fuori dei propri confini ed avendo quindi la potenzialità di agire ed interpretare un ruolo decisivo nei conflitti internazionali. Qualche dubbio è sollevato dal fatto delle sempre più stringenti relazioni con regimi di dubbia reputazione, ma d'altro canto, la Cina stessa non è un sistema democratico e non pare in difficoltà nelle relazioni con altre dittature. E' pur vero che nelle relazioni commerciali della Cina ci sono anche democrazie e non solo occidentali, ma quello che Pechino sta facendo è di rompere l'isolamento creato come sanzione per stati ritenuti pericolosi per la pace mondiale. La visione cinese appare non sintonizzata, non solo su quella occidentale, ma anche di organizzazioni sovranazionali come l'ONU. Quella che si può aprire è una nuova stagione delle relazioni internazionali, con il sovvertimento dei rapporti fin qui cristallizzati.
domenica 17 luglio 2011
Cina ed Iran partner commerciali
L'embargo all'Iran crea nuove alleanze commerciali. La Cina, infatti, ha stretto un accordo, che riguarda più materie e che alla fine riguarderà una somma di circa quattro miliardi di dollari. Di fatto, Pechino diventa il primo partner commerciale di Teheran. L'accordo firmato riguarda forniture per l'energia, le acque, l'ambiente (con la fornitura di inceneritori), le miniere e le materie prime energetiche. L'interscambio previsto dovrebbe ammontare a circa 40 miliardi di dollari alla fine del 2011, con una previsione di arrivare fino 100 miliardi di dollari nei prossimi anni. La Cina ha saputo sfruttare gli spazi creati dell'embargo internazionale a cui e' stato sottoposto l'Iran per la ricerca nucleare, di cui si sospetta voglia fare un uso militare. Ma la valenza degli accordi supera di gran lunga il rapporto commerciale, perche' rappresentano il chiaro superamento della visione che prevedeva la centralita' dell'occidente come fonte decisionale del processo politico internazionale. L'Iran dimostra chiaramente che essere messi al bando dall'ovest del mondo non preclude piu' altre strade di sviluppo e sopratutto non determina un isolamento politico ed economico. Dal canto suo la Cina, ormai immersa nel suo ruolo di grande potenza alternativa agli USA, dimostra di essere un soggetto ormai autonomo in politica internazionale, capace di prendere decisioni autonome, anche al di fuori di quella che e' la visione dominante. Per l'Iran gli accordi commerciali con la Cina, rappresentano una vittoria diplomatica, dato che rompono l'embargo e conferiscono a Teheran la forza di proseguire sulla sua strada della sperimentazione nucleare. Sara' interessante vedere come la Cina si porra' negli inevitabili sviluppi della guerra diplomatica che, inevitabilmente si andra' a sviluppare. Resta il fatto che Pechino e' consapevole di prendersi una grossa responsabilita' andando a violare l'embergo occidentale, se verra' presa una direzione pericolosa per gli sviluppi dell'atomica iraniana, la regione mediorientale rischia di diventare una polveriera per la pace e la stabilita' del mondo intero, difficilmente disinnescabile.
Cina ed Iran partner commerciali
L'embargo all'Iran crea nuove alleanze commerciali. La Cina, infatti, ha stretto un accordo, che riguarda più materie e che alla fine riguarderà una somma di circa quattro miliardi di dollari. Di fatto, Pechino diventa il primo partner commerciale di Teheran. L'accordo firmato riguarda forniture per l'energia, le acque, l'ambiente (con la fornitura di inceneritori), le miniere e le materie prime energetiche. L'interscambio previsto dovrebbe ammontare a circa 40 miliardi di dollari alla fine del 2011, con una previsione di arrivare fino 100 miliardi di dollari nei prossimi anni. La Cina ha saputo sfruttare gli spazi creati dell'embargo internazionale a cui e' stato sottoposto l'Iran per la ricerca nucleare, di cui si sospetta voglia fare un uso militare. Ma la valenza degli accordi supera di gran lunga il rapporto commerciale, perche' rappresentano il chiaro superamento della visione che prevedeva la centralita' dell'occidente come fonte decisionale del processo politico internazionale. L'Iran dimostra chiaramente che essere messi al bando dall'ovest del mondo non preclude piu' altre strade di sviluppo e sopratutto non determina un isolamento politico ed economico. Dal canto suo la Cina, ormai immersa nel suo ruolo di grande potenza alternativa agli USA, dimostra di essere un soggetto ormai autonomo in politica internazionale, capace di prendere decisioni autonome, anche al di fuori di quella che e' la visione dominante. Per l'Iran gli accordi commerciali con la Cina, rappresentano una vittoria diplomatica, dato che rompono l'embargo e conferiscono a Teheran la forza di proseguire sulla sua strada della sperimentazione nucleare. Sara' interessante vedere come la Cina si porra' negli inevitabili sviluppi della guerra diplomatica che, inevitabilmente si andra' a sviluppare. Resta il fatto che Pechino e' consapevole di prendersi una grossa responsabilita' andando a violare l'embergo occidentale, se verra' presa una direzione pericolosa per gli sviluppi dell'atomica iraniana, la regione mediorientale rischia di diventare una polveriera per la pace e la stabilita' del mondo intero, difficilmente disinnescabile.
venerdì 15 luglio 2011
Tra India e Pakistan rapporti più distesi
Il recente attentato a Bombay ha chiarito la natura dei rapporti tra India e Pakistan. Tradizionalmente nemici i due paesi stanno attraversando un momento di distensione, sopratutto dopo l'attentato avvenuto sempre a Bombay nel 2008, quando Nuova Delhi accusò esplicitamente Islamabad di esserne il mandante. Questa volta la reazione indiana è stata differente, infatti il governo ha evitato accuratamente di incolpare chicchesia senza alcuna prova. Nonostante le dichiarazioni del ministro degli interni che ha affermato che Afghanistan e Pakistan sono il centro del terrorismo internazionale, nessun organo ufficiale ha azzardato ipotesi contro lo stato vicino. Questo perchè si è entrati in una fase nuova del rapporto tra i due stati, che non hanno timore a confrontarsi sul Kashmir, eterna fonte di contrato, ma che anzi, almeno in parte, hanno superato, concentrandosi sull'espansione del commercio bilaterale. Grazie a questo obiettivo comune, l'India è arrivata ad affermare che l'atteggiamento nei confronti indiani e del terrorismo, da parte del Pakistan, è cambiato andando sulla giusta via. Una delle ragioni del mutato atteggiamento indiano è l'inserimento nell'area della Cina, che ha stretto accordi con Islamabad. Per l'India, Pechino è uno dei principali avversari economici e se per contrastarlo serve la distensione con il Pakistan è opportuno attuarla. Questo pragmatismo ha comunque degli effetti positivi sul piano politico tanto da far rilevare, che attualmente, Islamabad ha rapporti migliori con Nuova Delhi che con Washington, il che è molto singolare data l'alleanza, presente sulla carta, tra USA e Pakistan.
Il Sud Sudan è il 193° membro dell'ONU
Il Sud Sudan è il 193° membro delle Nazioni Unite. L'Assemblea ha approvato il nuovo membro per acclamazione, era dal 2006, con l'ammissione dello stato del Montenegro, che non vi erano nuovi ingressi. Il nuovo stato ha proclamato la sua indipendenza dal Sudan lo scorso Gennaio con un referendum, che Kartoum ha accettato in modo tutto sommato pacifico. La creazione del Sud Sudan ha avuto, però, una genesi più complicata a causa di diversi anni di guerra, conclusi con gli accordi di pace del 2005, tra le due parti del paese: il nord a maggioranza musulmana ed il sud cristiano ed animista. Il ministro sudsudanese della giustizia, Jeff Radebe, ha sottolineato come il suo paese è una eccezione nell'uso africano di mantenere le frontiere imposte dal colonialismo. In effetti questa particolarità può indicare una nuova via nella creazione di nuove entità statali da aggregati sovrani artificiali, che spesso hanno portato a diversi conflitti interni, creando e talvolta aumentando la povertà nel continente africano. Il processo di costituzione del Sud Sudan, specialmente nella sua parte conclusiva può ispirare, una nuova redistribuzione territoriale su base di appartenenza sociale (etnica e/o religiosa), senza così alimentare quello che è stata la ragione dei tanti conflitti esplosi in Africa negli scorsi anni.
giovedì 14 luglio 2011
La Lega Araba chiederà all'ONU il riconoscimento per la Palestina
La Lega Araba porterà alle Nazioni Unite la domanda di adesione della Palestina. Nabil al-Arabi il capo dell'organizzazione pan-araba, ha dato l'annuncio ufficiale alla presenza del presidente palestinese Mahmoud Abbas. Le linee guida della domanda verteranno sulla ricerca del sostegno internazionale per il riconoscimento dello stato di Palestina con capitale a Gerusalemme Est e che rientri nei confini del 1967. I palestinesi, attraverso il loro negoziatore Saeb Erekat, hanno affermato di cercare di estendere il riconoscimento del proprio stato, già accordato da 117 nazioni, con o senza il veto degli USA.
Tecnicamente la questione è importante perchè il veto degli USA, il maggiore alleato di Israele, componente del Consiglio di sicurezza dell'ONU, non può permettere l'ingresso della Palestina nel consesso delle Nazioni Unite, l'unica alternativa è l'ammissione con lo status di osservatore come Stato non membro. Questa eventualità riuscirebbe comunque ad andare contro le speranze israeliane di non arrivare neppure alla presentazione della domanda all'ONU, per non dare rilevanza internazionale al caso palestinese. L'ammissione, anche soltanto come stato non membro osservatore, darebbe comunque alla Palestina una dignità statale che fino ad ora è mancata, per contro Israele, pur non riconoscendo la Palestina come stato sovrano, si dovrà porre in maniera differente di fronte all'opinione pubblica internazionale, ogni qualvolta intendesse agire nei confronti della Palestina stessa. Dal punto di vista delle relazioni internazionali si innescherebbe un meccanismo di difficile gestione per Tel Aviv, che non avrebbe più la libertà attuale. La mossa palestinese di fatto obbligherà Israele a cercare una strategia alternativa, non più soltanto dal punto di vista militare, ma sopratutto diplomatico, evenienza, questa, che, allo stato attuale dell'arte, non pare di agevole percorribilità per le attitudini di questo governo israeliano, schiacciato tra la pressione politica dell'amministrazione Obama, che spinge per una soluzione definitiva della questione palestinese, e la paura di dove andranno a finire le primavere arabe.
Tecnicamente la questione è importante perchè il veto degli USA, il maggiore alleato di Israele, componente del Consiglio di sicurezza dell'ONU, non può permettere l'ingresso della Palestina nel consesso delle Nazioni Unite, l'unica alternativa è l'ammissione con lo status di osservatore come Stato non membro. Questa eventualità riuscirebbe comunque ad andare contro le speranze israeliane di non arrivare neppure alla presentazione della domanda all'ONU, per non dare rilevanza internazionale al caso palestinese. L'ammissione, anche soltanto come stato non membro osservatore, darebbe comunque alla Palestina una dignità statale che fino ad ora è mancata, per contro Israele, pur non riconoscendo la Palestina come stato sovrano, si dovrà porre in maniera differente di fronte all'opinione pubblica internazionale, ogni qualvolta intendesse agire nei confronti della Palestina stessa. Dal punto di vista delle relazioni internazionali si innescherebbe un meccanismo di difficile gestione per Tel Aviv, che non avrebbe più la libertà attuale. La mossa palestinese di fatto obbligherà Israele a cercare una strategia alternativa, non più soltanto dal punto di vista militare, ma sopratutto diplomatico, evenienza, questa, che, allo stato attuale dell'arte, non pare di agevole percorribilità per le attitudini di questo governo israeliano, schiacciato tra la pressione politica dell'amministrazione Obama, che spinge per una soluzione definitiva della questione palestinese, e la paura di dove andranno a finire le primavere arabe.
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