Es gibt zwei sich ergänzende Bedürfnisse, die Herzen der afghanischen Friedensprozess in Richtung Istanbul zu bewegen.
Auf der einen Seite, als der wachsende Bedarf der Vereinigten Staaten, um aus einer Situation befreien reif für so viele Männer und Mittel einsetzen, sowohl für die eigentliche Wirklichkeit Aghani Themen, sowohl aus Gründen der nationalen amerikanischen Politik. Auf der anderen Seite steht die zunehmende Sichtbarkeit und Bedeutung der Forschung, vor allem regional, sondern auch auf höherer Ebene, der Türkei, die sich selbst als der Prinz in Person zu etablieren sucht. Für die USA, von denen die Türkei ist ein treuer Verbündeter und mit wem die Beziehungen ausgezeichnet sind, ist die Lösung eine Art Delegation nach Istanbul, um für eine Verhandlungslösung in dem schwierigen Prozess des Wiederaufbaus in Afghanistan zu suchen. Der Eingang zu dem diplomatischen Parkett afhana die Frage nach der Türkei, in offizieller Weise, nach einer U-Bahn-Aktivität, die Istanbul nicht für einige Zeit verschmäht, aber jetzt hat fast die Bedeutung von einer Stiftung aus Washington. Der türkische Außenminister Ahmet Davutoglu, in der Tat ausdrücklich zu definieren “Process of Istanbul”, der Gipfel, die durch so viele wie 29 Ländern Anfang November besucht war und versucht hat, Maßnahmen, die das Vertrauen in die Region wiederherstellen können identifizieren. Die USA werden über die Rolle von Istanbul als eines der führenden Länder in der Region, eine Position, dass die türkische Regierung ist es gelungen, eine kluge Politik zu schnitzen, und auch in gewissem Sinne, gezwungen durch die Unfähigkeit der Europäischen Union beitreten zu verlassen. Der Blick nach Osten war nicht eine Wahl, die schließlich als erfolgreich erwiesen für Istanbul, dank mehr gemeinsam mit ihren Nachbarn. Türkei und hinter den Kulissen natürlich die Vereinigten Staaten konzentriert Zusammenarbeit mit Kabul in Fragen der Sicherheit und Zusammenarbeit in der Wirtschaft in einer Art und Weise genau die gleichen, die nicht werfen sollten Zweifel an der Verdacht der Einmischung in die inneren Angelegenheiten Afghanistans. Das Problem für die Verwirklichung dieser Ziele ist die Variable des Terrorismus und die Beziehungen zwischen Kabul und Islamabad, hinter dem sich die Schatten von Amerika, die nach Pakistan unterstellt Webstühle, nicht nur nicht genug tun an dieser Front, sondern auch einige Nachsicht mit haben radikalen Gruppen und die Taliban. Allerdings hat die türkische Präsenz im Herzen der Verhandlungen bereits positive Veränderungen mit sich gebracht, in der Tat die Schaffung eines trilateralen Ausschuss direkt aus Afghanistan, Pakistan und der Türkei auf das Attentat gegen Burhanuddin Rabbani, der Präsident des Hohen Rates für den Frieden in Afghanistan, getötet in Untersuchung einem Selbstmordanschlag in Kabul am 20. September letzten Jahres, kann bedeuten, wesentliche Fortschritte auf der Ebene des Dialogs zwischen Kabul und Islamabad. Die türkische Politik kann daher vorteilhaft sein, die Stabilität der Hand, den Betrieb ohne Entfaltung Krieg, von dem er hätte auch die militärischen Fähigkeiten, sondern vorrangig für humanitäre Hilfe und sucht dadurch zu Krediten des Landes islamischen Dialog zu gewinnen.
Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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lunedì 7 novembre 2011
La Turchia fulcro diplomatico tra Afghanistan e Pakistan
Ci sono due necessità complementari che spostano il fulcro del processo di pace afghano verso Istanbul.
Da una parte la necessità sempre crescente degli Stati Uniti di sganciarsi da una situazione ritenuta matura per impiegare una tale quantità di uomini e mezzi, sia per le questioni intrinseche alla realtà aghana, sia per ragioni di politica interna americana. Dall'altra vi è la sempre maggiore ricerca di visibilità e di importanza, sopratutto regionale, ma anche a livello maggiore, della Turchia, che cerca di imporsi come soggetto principe nell'area. Per gli USA, di cui la Turchia è un fedele alleato e con cui i rapporti sono ottimi, la soluzione costituisce una sorta di delega ad Istanbul per la ricerca di una soluzione negoziale nel difficile processo della ricostruzione afghana. L'entrata nell'agone diplomatico della questione afhana della Turchia, in maniera ufficiale, segue una attività sotterranea che Istanbul non ha disdegnato da diverso tempo, ma che ora assume quasi la rilevanza di una investitura da parte di Washington. Il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu, infatti ha definito espressamente "Processo di Istanbul", il vertice a cui hanno partecipato ben 29 paesi all'inizio di Novembre e che ha cercato di individuare provvedimenti in grado di ridare fiducia alla regione. Gli USA si affidano al ruolo di Istanbul quale paese leader della regione, posizione che il governo turco ha saputo ritagliarsi con una politica avveduta ed anche, in un certo senso, obbligata dall'impossibilità di entrare nell'Unione Europea. Guardare ad oriente è stata una non scelta che, alla fine, si è rivelata vincente per Istanbul, anche grazie alle maggiori affinità con i popoli vicini. La Turchia e dietro le quinte senz'altro gli Stati Uniti incentrano la collaborazione con Kabul sulla cooperazione nei temi della sicurezza e dell'economia in una maniera assolutamente paritaria, che non deve generare dubbi su eventuali sospetti di ingerenza negli affari interni dell'Afghanistan. Il problema per raggiungere tali obiettivi è la variabile del terrorismo ed i rapporti tra Kabul ed Islamabad, dietro cui si staglia l'ombra americana, che imputa al Pakistan, non soltanto di non fare abbastanza su questo fronte, ma addirittura di avere delle connivenze con i gruppi radicali e le milizie talebane. Tuttavia la presenza turca nel cuore delle trattative ha già portato variazioni positive, infatti la creazione di una commissione trilaterale composta proprio da Afghanistan, Pakistan e Turchia per investigare sull'attentato contro Burhanuddin Rabbani, presidente dell’alto Consiglio per la pace afghano, ucciso in un attacco suicida il 20 settembre scorso a Kabul, può significare un sostanziale avanzamento sul piano del dialogo tra Kabul ed Islamabad. La politica turca può, quindi, portare benefici evidenti alla stabilità dell'area, operando senza dispiegamento bellico, di cui pure avrebbe anche le capacità militari, ma privilegiando gli aiuti umanitari e cercando in tal modo ad accreditarsi come il paese islamico del dialogo.
Da una parte la necessità sempre crescente degli Stati Uniti di sganciarsi da una situazione ritenuta matura per impiegare una tale quantità di uomini e mezzi, sia per le questioni intrinseche alla realtà aghana, sia per ragioni di politica interna americana. Dall'altra vi è la sempre maggiore ricerca di visibilità e di importanza, sopratutto regionale, ma anche a livello maggiore, della Turchia, che cerca di imporsi come soggetto principe nell'area. Per gli USA, di cui la Turchia è un fedele alleato e con cui i rapporti sono ottimi, la soluzione costituisce una sorta di delega ad Istanbul per la ricerca di una soluzione negoziale nel difficile processo della ricostruzione afghana. L'entrata nell'agone diplomatico della questione afhana della Turchia, in maniera ufficiale, segue una attività sotterranea che Istanbul non ha disdegnato da diverso tempo, ma che ora assume quasi la rilevanza di una investitura da parte di Washington. Il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu, infatti ha definito espressamente "Processo di Istanbul", il vertice a cui hanno partecipato ben 29 paesi all'inizio di Novembre e che ha cercato di individuare provvedimenti in grado di ridare fiducia alla regione. Gli USA si affidano al ruolo di Istanbul quale paese leader della regione, posizione che il governo turco ha saputo ritagliarsi con una politica avveduta ed anche, in un certo senso, obbligata dall'impossibilità di entrare nell'Unione Europea. Guardare ad oriente è stata una non scelta che, alla fine, si è rivelata vincente per Istanbul, anche grazie alle maggiori affinità con i popoli vicini. La Turchia e dietro le quinte senz'altro gli Stati Uniti incentrano la collaborazione con Kabul sulla cooperazione nei temi della sicurezza e dell'economia in una maniera assolutamente paritaria, che non deve generare dubbi su eventuali sospetti di ingerenza negli affari interni dell'Afghanistan. Il problema per raggiungere tali obiettivi è la variabile del terrorismo ed i rapporti tra Kabul ed Islamabad, dietro cui si staglia l'ombra americana, che imputa al Pakistan, non soltanto di non fare abbastanza su questo fronte, ma addirittura di avere delle connivenze con i gruppi radicali e le milizie talebane. Tuttavia la presenza turca nel cuore delle trattative ha già portato variazioni positive, infatti la creazione di una commissione trilaterale composta proprio da Afghanistan, Pakistan e Turchia per investigare sull'attentato contro Burhanuddin Rabbani, presidente dell’alto Consiglio per la pace afghano, ucciso in un attacco suicida il 20 settembre scorso a Kabul, può significare un sostanziale avanzamento sul piano del dialogo tra Kabul ed Islamabad. La politica turca può, quindi, portare benefici evidenti alla stabilità dell'area, operando senza dispiegamento bellico, di cui pure avrebbe anche le capacità militari, ma privilegiando gli aiuti umanitari e cercando in tal modo ad accreditarsi come il paese islamico del dialogo.
sabato 5 novembre 2011
Il ruolo stabilizzatore della Cina
La stretta a cui è sottoposta l'economia occidentale preoccupa il gigante asiatico; infatti la Cina, proprio durante i lavori in corso del G20, decide di rivalutare la propria moneta. Questa mossa è una vera e propria offerta di collaborazione diplomatica per alleviare le tensioni commerciali con l'occidente, ed in special modo degli USA, che hanno più volte accusato Pechino di mantenere in maniera artificiale il valore basso della valuta cinese per incrementare le esportazioni delle merci del dragone asiatico. La rivalutazione della moneta cinese ha come obiettivo di prevenire le critiche dell'occidente, anche se spesso questa manovra è usata durante le manifestazioni internazionali per deviare la luce dei riflettori sulla Cina, questa volta a farla da padrone pare il timore di Pechino, di un blocco della esportazione delle merci verso i mercati più ricchi. Infatti, stante l'attuale situazione di crisi, la possibilità di una instaurazione di dazi e tariffe doganali più elevate preoccupa e non poco il governo cinese. Queste ragioni vengono sommate al fatto dei problemi dell'eurozona dove l'investimento cinese ammonta a circa 550 miliardi di dollari USA, di cui almeno 75 miliardi investiti nei titoli italiani, particolarmente sotto osservazione. Una contrazione dei consumi nell'eurozona è vissuta come un fatto tragico per le esportazioni cinesi, che ne sono ben consapevoli ed infatti si sono detti disponibili ad ulteriori investimenti fino a 100 miliardi di dollari nel fondo salva-stati elaborato in sede UE. Anche se la notizia del referendum greco ha portato qualche perplessità sulle intenzioni cinesi, la strada individuata sembra l'unica percorribile per il mantenimento delle quote di mercato su cui Pechino fonda la propria esistenza, in materia economica globale. Anche perchè il pericolo che più spaventa Pechino è la deflazione, che può venire combattuta soltanto con l'apertura concreta di nuove opportunità per il rilancio sia del lavoro e di conseguenza dei consumi, situazioni che, perchè si verifichino, necessitano, appunto della rivalutazione dello yuan. Ma nel breve periodo il pericolo si chiama invece inflazione, che potrebbe essere innescata proprio a causa dell'aumento del valore della divisa cinese e che potrebbe provocare un aumento dei prezzi e l'impoverimento dei lavoratori occidentali, incapaci così di accedere all'acquisto delle merci cinesi. E' una situazione in divenire che ha bisogno di aggiustamenti continui e ritocchi anche minimi per non alterare troppo gli equilibri globali del sistema. Alla fine quello che emerge è il ruolo sempre maggiore della Cina come stabilizzatore del mercato mondiale, anche se è una stabilizzazione che tende, giocoforza al proprio vantaggio, maggioritario ma non esclusivo, dato il legame venutosi a creare con il mercato globalizzato, dove i destini comuni delle nazioni sono legati tra di loro a filo doppio. Se la Cina, forte della propria ingente liquidità, decide di giocare il proprio ruolo di leader mondiale nella maniera giusta, possono aprirsi scenari favorevoli per tutti per uscire dalla crisi, anche se è scontato che a rinunciare maggiormente ai privilegi fin qui acquisiti dovranno essere quei paesi, sopratutto occidentali, che hanno vissuto al di sopra delle loro potenzialità, cedendo quote a vantaggio di quei paesi emergenti forti di fondamentali in crescita in grado di garantire maggiore stabilità al sistema nel suo complesso.
venerdì 4 novembre 2011
Cosa potrebbe nascondere il ritiro delle truppe USA?
L'accelerata del ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan e dall'Iraq, con situazioni tutt'altro che risolte, sono state lette più volte in chiave dell'appuntamento elettorale USA in programma nel 2012. Tuttavia l'accelerata sulla questione iraniana, potrebbe consentire una lettura differente del movimento delle truppe a stelle e strisce. Se l'obiettivo iraniano dovesse essere veramente percorso, la necessità bellico operativa diventerebbe ingente, non basterebbe soltanto una flotta di droni, ma la possibile evoluzione di un conflitto localizzato nel medio oriente prevederebbe scenari diversi: dall'impiego di armi convenzionali ad armi tattiche dispiegate lungo le frontiere. Uno scenario possibile è un attacco che parta con lanci missilistici da Israele congiunto a bombardamenti aerei sugli obiettivi ritenuti sensibili presenti in Iran, rappresentati dalle aree che potrebbero racchiudere i siti dello sviluppo nucleare. Superata questa prima fase è impensabile che Teheran non risponda all'attacco, ad una immediata risposta con bombardamento missilistico con obiettivo Israele potrebbe seguire l'impiego di forze terrestri con il passaggio della frontiera iraqena. In quest'ottica l'abbandono dell'Iraq da parte USA rappresenterebbe un suicidio militare, a meno che non sia una tattica per attirare l'esercito di Teheran nel territorio iraqeno; tale tattica necessiterebbe di una grande quantità di effettivi che potrebbero fare base in Arabia Saudita, paese da cui fare partire l'eventuale controffensiva. Lo scopo sarebbe abbattere il regime iraniano, ciò permetterebbe di eliminare il principale supporto ai grandi network del terrore basati sull'integralismo islamico ed appoggiati principalmente proprio da Teheran, secondo numerosi analisti occidentali. Ma l'esito non sarebbe così scontato e potrebbe degenerare o in una estenuante guerra di posizione o peggio potrebbe aprirsi anche un tragico scenario nucleare su scala regionale. E' una prospettiva che sfiora previsioni apocalittiche e che deve servire da monito ad azioni avventate, il pericolo di un conflitto su tale scala rischia di alterare tutti gli equilibri mondiali, andando a sovvertire ben più di quello che la crisi economica attuale sta provocando. L'opzione militare è la soluzione che deve essere assolutamente evitata, ma i protagonisti intorno al tavolo non sono dei più affidabili, sia il premier israeliano, che quello iraniano, non paiono propensi ad una qualche soluzione concordata, calati come sono nella parte dell'uomo forte; ed anche Obama e Cameron, non danno sufficienti garanzie presi come sono dalla necessità di deviare l'attenzione dai problemi interni, con la focalizzazione su un argomento di politica estera tale da distrarre l'attenzione della propria opinione pubblica. Non resta che sperare in una qualche azione dell'ONU, che agisca in modo di prevenire quello che potrebbe essere un conflitto capace di paralizzare l'intero pianeta.
giovedì 3 novembre 2011
L'Eritrea accusata di manovrare Al-Shabab
Con le operazioni militari in corso in Somalia contro gli estremisti islamici di Al-Shabab anche la situazione diplomatica della regione subisce dei contraccolpi. Il governo Eritreo è stato accusato di essere dietro al movimento integralista grazie all'elargizione di finanziamenti e forniture militari che consentono azioni militari sia in Somalia, che contro il Kenya. L'accusa ha un fronte molto vasto e comprende gran parte della comunità internzionale. Le accuse sarebbero supportate dal fatto di avere intercettato una spedizione di armi probabilmente partita da Asmara ed individuata a Baidoa, città somala a circa 250 chilometri da Mogadiscio.
Malgrado la smentita ufficiale del governo eritreo, che afferma di perseguire la pace e la stabilità nel Corno d'Africa, esistono precedenti che legano l'Eritrea ad Al-Shabab fin dal 2008 quando vi erano, all'interno dei confini eritrei, campi di addestramento militare, dove i componenti di Al-Shabab erano addestrati all'uso degli esplosivi ed alla realizzazione di attentati suicidi. Anche un rapporto dell'ONU, redatto dal gruppo di monitoraggio su Somalia ed Eritrea, individuava Asmara come finanziatore delle milizie islamiche attraverso la propria ambasciata in Kenya. Le manovre dell'esercito di Nairobi in terra somala, ufficialmente in rappresaglia ai rapimenti fatti alla frontiera da Al-Shabab, hanno ancora di più intensificato le accuse, da parte dell'opinone pubblica internazionale, contro il paese eritreo, ritenuto, alla fine, una delle fonti proncipali di destabilizzazione della regione. Da parte sua il Kenya, su questo aspetto, ha preferito mantenere un basso profilo, preferendo non impegnare l'azione diplomatica in questo momento dove sono protagoniste le armi. Una delle ragioni preminenti dell'atteggiamento eritreo si deve probabilmente individuare negli annosi contrasti con l'Etiopia; riuscire a manovrare Al-Shabab permette di attivare una sorta di Golden share sulla stabilità del Corno d'Africa , la questione è che si è travalicato i confini andando a toccare un paese come il Kenya dove esistono investimenti francesi e che gode dell'alleanza americana, inntenzionata a combattere ogni possibile alleato di Al Qaeda. Anche l'emergenza umanitaria sfruttata da Al-Shabab per dirigere le migrazioni bibliche verso il Kenya ed impedire gli aiuti umanitari, può essere vista ora sotto una diversa angolazione, se si pensa all'influenza di Asmara sulle milizie islamiche. Se ciò dovesse essere appurato l'Eritrea rischia di entrare nel mirino della lotta al terrorismo, si da parte dell'ONU, che della NATO; in quel caso l'apertura di un nuovo fronte non sarebbe una ipotesi tanto remota.
Malgrado la smentita ufficiale del governo eritreo, che afferma di perseguire la pace e la stabilità nel Corno d'Africa, esistono precedenti che legano l'Eritrea ad Al-Shabab fin dal 2008 quando vi erano, all'interno dei confini eritrei, campi di addestramento militare, dove i componenti di Al-Shabab erano addestrati all'uso degli esplosivi ed alla realizzazione di attentati suicidi. Anche un rapporto dell'ONU, redatto dal gruppo di monitoraggio su Somalia ed Eritrea, individuava Asmara come finanziatore delle milizie islamiche attraverso la propria ambasciata in Kenya. Le manovre dell'esercito di Nairobi in terra somala, ufficialmente in rappresaglia ai rapimenti fatti alla frontiera da Al-Shabab, hanno ancora di più intensificato le accuse, da parte dell'opinone pubblica internazionale, contro il paese eritreo, ritenuto, alla fine, una delle fonti proncipali di destabilizzazione della regione. Da parte sua il Kenya, su questo aspetto, ha preferito mantenere un basso profilo, preferendo non impegnare l'azione diplomatica in questo momento dove sono protagoniste le armi. Una delle ragioni preminenti dell'atteggiamento eritreo si deve probabilmente individuare negli annosi contrasti con l'Etiopia; riuscire a manovrare Al-Shabab permette di attivare una sorta di Golden share sulla stabilità del Corno d'Africa , la questione è che si è travalicato i confini andando a toccare un paese come il Kenya dove esistono investimenti francesi e che gode dell'alleanza americana, inntenzionata a combattere ogni possibile alleato di Al Qaeda. Anche l'emergenza umanitaria sfruttata da Al-Shabab per dirigere le migrazioni bibliche verso il Kenya ed impedire gli aiuti umanitari, può essere vista ora sotto una diversa angolazione, se si pensa all'influenza di Asmara sulle milizie islamiche. Se ciò dovesse essere appurato l'Eritrea rischia di entrare nel mirino della lotta al terrorismo, si da parte dell'ONU, che della NATO; in quel caso l'apertura di un nuovo fronte non sarebbe una ipotesi tanto remota.
Israel, with U.S. and UK consider the possibility of an attack on Iran
The possibility of a war against Iran is mounting considerably. Israel would gain the support of U.S. and UK for a possible military action, which may be realized in a possible missile attack against Iranian missile installations. The next date in November of eight is considered a milestone in the definition of the crisis: in fact on that date the IAEA will announce its report on the progress of Iran's nuclear program and any content considered negative might raise the likelihood of a conflict. Israel officially considers the presence of nuclear weapons in the military arsenal of Tehran, is a direct danger to Tel Aviv and in general for the western world. On this basis, Netanyahu is committed to the belief of Israeli institutions to have a free hand in case the decision to employ military force prevails, however, public opinion is divided on the issue and recent surveys, only 41% of the population fully supports the Decision war. This underlines the awareness of the Israeli attack on the objective difficulties of the Islamic Republic, because of the knowledge of the military force available to Iran, fully able to provide appropriate responses on the military in case of attack. It should, however, dwell on the reasons for this escalation, if the concerns about Iran's nuclear weapons are real or if there are other reasons to justify such a going concern, even from the USA. For the last time the Israeli government were marked by setbacks and at international level than on the inner. The issue of Palestinian recognition of the UN, with the undoubted diplomatic success of Abu Mazen came to the growing success of the phenomenon of "indignados" Israelis have obfuscated in a decisive manner the approval of the Prime Minister in Tel Aviv, which increasingly sees its image blurred. The method of raising the voltage to the level of alert is a constant of political Netanyahu, who depends on the liking of the extreme parts of the country trying to gain credit as a strong man of the reasons Israel. Focusing on Iran means, at this time, shift the attention from the Palestinians, such as the construction of settlements, which many have resulted in convictions on the world stage. Push on the vulnerabilities of the West Iranian armament means broadening the issue to a wider pool of interest, enabling it to regain sympathies to the Israeli cause. In the same way the U.S. and the UK looking for the traditional foreign policy objective way to hide the difficulties internally. The feeling, however, is that this time is exaggerating the issue, subject to the hazard dell'ordigno nuclear power in the hands of the Islamic state, these threats could give Iran an excuse not to launch military action in fine style, but to choose for minor maneuvers, but still potentially dangerous for peace in the region. Iran is a dangerous opponent, and certainly a danger to peace, but that is no excuse to speak openly of military attack, getting the result to exasperate the minds of the Arab population, especially of what Tehran vedein an aggregator of its instances. To combat the Iranian regime is more convenient to insist on sanctions and diplomatic isolation, trying to destabilize the dictatorship from within. Iran to use for any purpose that ultimately are more propaganda than anything else is irresponsible and incompetent to be especially: one more proof of the non-suitability of the assignment that Netanyahu is playing.
Israele, con USA e Regno Unito considerano la possibilità di un attacco all'Iran
La possibilità di un conflitto contro l'Iran sta montando considerevolmente. Israele avrebbe ottenuto l'appoggio di USA e Regno Unito per una eventuale azione militare, che potrebbe concretizzarsi in un possibile attacco missilistico contro le installazioni dei missili iraniani. La data dell'otto novembre prossimo è ritenuta una tappa fondamentale per la definizione della crisi: infatti in quella data l'AIEA renderà noto il proprio rapporto sull'avanzamento del programma nucleare iraniano ed eventuali contenuti ritenuti negativi potrebbero alzare la probabilità di un conflitto. Israele, ufficialmente ritiene che la presenza di armi atomiche nell'arsenale militare di Teheran, costituisca un pericolo diretto per Tel Aviv ed in generale per il mondo occidentale. Su queste basi Netanyahu è impegnato nel convincimento delle istituzioni israeliane per avere mano libera nel caso la decisione di impiegare la forza militare prevalga, tuttavia l'opinione pubblica è divisa sulla questione e da recenti sondaggi, soltanto il 41% della popolazione appoggerebbe in pieno la decisione bellica. Ciò sottolinea la presa di coscienza degli israeliani sulle difficoltà oggettive di un attacco alla Repubblica Islamica, proprio per la conoscenza della forza militare di cui dispone l'Iran, pienamente in grado di dare risposte adeguate sul piano militare in caso di attacco. Occorre però soffermarsi sulle motivazioni di questa escalation, se i timori per l'arsenale atomico iraniano sono concreti o se vi sono altre ragioni che vadano a giustificare una tale attenzione, anche da parte USA. Per il governo israeliano gli ultimi tempi sono stati caratterizzati da sconfitte sia sul piano internazionale che su quello interno. La questione del riconoscimento palestinese all'ONU, con l'indubbio successo diplomatico di Abu Mazen giunto al crescente successo del fenomeno degli "indignados" israeliani, hanno offuscato in maniera decisiva il gradimento del premier di Tel Aviv, che vede la propria immagine sempre più offuscata. Il metodo di alzare la tensione fino al livello di guardia è una costante dell'azione politica di Netanyahu, che punta tutto sul gradimento delle parti più estreme del paese cercando di accreditarsi come uomo forte delle ragioni israeliane. Focalizzare l'attenzione sull'Iran significa, in questo momento, spostare l'attenzione dalle questioni palestinesi, come la costruzione delle colonie, che tante condanne sul piano mondiale hanno provocato. Spingere sulla pericolosità per l'occidente dell'armamento iraniano vuole dire allargare la questione ad un bacino di interesse più ampio, che possa consentire di riguadagnare simpatie alla causa israeliana. Nello stesso modo USA e Regno Unito cercano la tradizionale strada dell'obiettivo di politica estera per nascondere le difficoltà sul piano interno. La sensazione, però è che questa volta si esageri con la questione, fatta salva la pericolosità dell'ordigno nucleare in mano allo stato islamico, queste minacce potrebbero dare una scusa all'Iran, non per avviare azioni militari in grande stile, ma per optare per manovre diversive di minore entità, ma sempre potenzialmente pericolose per la pace nella regione. L'Iran costituisce un avversario pericoloso e senz'altro un pericolo per la pace, ma questo non giustifica parlare apertamente di attacco militare, ottenendo il risultato di esasperare gli animi della popolazione araba, sopratutto di quella che vedein Teheran un aggregatore delle proprie istanze. Per combattere il regime iraniano è più conveniente insistere sulle sanzioni e sull'isolamento diplomatico, cercando di destabilizzare da dentro la dittatura. Usare l'Iran per scopi che alla fine sono più che altro propagandistici è da irresponsabili e sopratutto da incompetenti: una prova in più della mancata adeguatezza di Netanyahu all'incarico che sta ricoprendo.
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