Politica Internazionale

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mercoledì 9 novembre 2011

Se Iran e Pakistan si avvicinano

Dentro le pieghe del rapporto AIEA ci sarebbe la constatazione della collaborazione di tecnici pachistani con il governo iraniano per la costruzione della atomica della repubblica islamica. Se ciò fosse vero sarebbe una ulteriore incrinatura nel rapporto fiduciario, peraltro già pesantemente compromesso, tra USA e Pakistan. Avere fornito conoscenza diretta sull'argomento nucleare a Teheran, pone Islamabad in una posizione ancora più ambigua sulla propria lealtà ed anche convinzione nei confronti della lotta al terrorismo islamico. Il fatto, d'altronde, non rappresenta un fulmine a ciel sereno, ma corona una lunga serie di sospetti fondati su comportamenti ambigui da parte delle strutture governative pachistane. La protezione fornita alla rete terroristica Haqqani, la presenza sul suolo pachistano di Osama Bin Laden, i comportamenti dubbi dei servizi segreti, il progressivo avvicinamento alla Cina come alleato di primo piano sui temi economici, avevano collocato il Pakistan in una posizione di alleato non troppo affidabile per gli obiettivi americani, sopratutto nell'ottica della guerra afghana e quindi sul tema della lotta al terrorismo. Anche i recenti dissidi tra Kabul ed Islamabad, provocati dall'accusa afghana, condivisa dagli USA, di fornire protezione materiale alle bande talebane nelle montagne pakistane al di la della frontiera dell'Afghanistan, hanno contribuito ad un ulteriore deterioramento dei rapporti, nonostante tutti i tentativi americani di un recupero su posizioni più favorevoli per gli USA, con trattative condotte anche in prima persona dal Segretario di stato Hillary Clinton. Ma la collaborazione con l'Iran, su di una questione ritenuta di fondamentale importanza per gli USA, come il programma di armamento atomico di Teheran, batte tutti gli screzi precedenti e mette il Pachistan in una posizione con una forte connotazione negativa, che appare sempre più una vera e propria scelta di campo. Se questa è la strada intrapresa da Islamabad, per gli USA si tratterà di rivedere i propri piani nella guerra afghana, in particolare, e nella lotta al terrorismo islamico in generale. Senza più essere l'alleato ritenuto di importanza strategica fondamentale, il Pachistan può diventare apertamente nemico degli Stati Uniti, dai quali riceve ancora sostanziosi finanziamenti? La questione non è irrilevante, anzi, se il Pakistan sceglie, nonostante lo sfoggio continuo di atteggiamenti più che ambigui, di passare dalla parte di campo opposta agli USA può incorrere in una serie di rappresaglie che possono arrivare fino al vero e proprio scontro armato. Le truppe USA sono già al confine, impegnate nella guerra afghana ed hanno più volte sconfinato in territorio pachistano proprio per mancanza di fiducia nel governo di Islamabad. L'avere fornito aiuto all'Iran, proprio sulla questione dell'arma atomica non può che apparire come una aperta provocazione verso Washington, che rappresenta il culmine del deterioramento del rapporto tra i due stati. Difficile che lo strappo venga ricucito, ma ciò apre la strada a nuovi scenari e nuovi equilibri nella lotta la terrorismo, che potrebbero determinare l'entrata in campo di nuovi soggetti finora rimasti ai margini del campo. Se per l'Iran non si tratta di un vero e proprio ingresso, perchè ha sempre agito dietro le linee fornendo aiuti materiali e finanziari al terrorismo islamico, più difficile capire l'atteggiamento della Cina, che entrando nel mercato pachistano, non può limitarsi alla solita dottrina che contraddistingue la sua politica degli esteri e che è, sostanzialmente quella di non ingerirsi negli affari interni di un paese. Per ora, grazie alla forte repressione interna il fenomeno fondamentalista islamico è rimasto circoscritto nei confini cinesi, ma se Islamabad dovesse schierarsi apertamente con Teheran, nessuno sarebbe al sicuro dal contagio a macchia d'olio che potrebbe svilupparsi. Una alleanza tra Iran e Pakistan potrebbe significare anche la ulteriore radicalizzazione della visione islamica in senso estremista, uno sviluppo ancora più pericoloso sotto tutti i punti di vista per i rapporti con e tra gli stati islamici, anche quelli più moderati.

martedì 8 novembre 2011

Iran: quello che il rapporto AIEA può provocare

Intorno all'atteso rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), ruotano questioni vitali per la stabilità mondiale. Se, come sembra verrà affermato, l'Iran sarà considerato in grado di costruire la bomba atomica, cosa per altro smentita da Teheran, si andranno a creare situazioni particolarmente pericolose, specialmente ricordando l'esperienza immediatamente antecedente alla dichiarazione della guerra all'Iraq, proprio per il motivo della possibile presenza, poi smentita, di armamenti nucleari. Ad aggravare il clima di tensione la notizia della presenza di tecnici nordcoreani e pachistani, che avrebbero collaborato con l'Iran, fornendo la propria conoscenza, per la costruzione dell'ordigno nucleare. Tuttavia il timore è che il rapporto si basi su conclusioni deduttive e non accertate, risultanti anche dal comportamento non chiaro del governo iraniano verso i tecnici dell'AIEA. Ma per Israele ciò sarebbe sufficiente per alimentare lo stato di crescente preoccupazione presente nel paese e che potrebbe essere la causa di una risposta armata preventiva contro Teheran. Per l'AIEA si tratta di una grossa responsabilità giacchè quello che verrà scritto sul suo rapporto potrebbe causare un conflitto ben più pericoloso di quello iraqeno, ma anche presentando una relazione veritiera, che esprima e tenga conto di tutte le difficoltà di una analisi completa e certa, può rappresentare il pericolo di una strumentalizzazione di quanto esposto, sia da una parte che dall'altra. Malgrado le pressioni di Israele, che ben difficilmente vorrà attaccare obiettivi iraniani senza l'approvazione americana, la tendenza del governo di Obama è quella di puntare ancora sulla via diplomatica, lasciando la soluzione armata come ultima opzione percorribile. Una possibile strada è quella di esercitare ancora maggiore pressione tramite l'utilizzo di sanzioni internazionali mediante il coinvolgimento ulteriore di nuovi stati. Il pensiero dell'amministrazione di Washington è che le sanzioni fin qui praticate siano state troppo blande e non abbiano sortito gli effetti per cui sono state dichiarate, quindi non è stato lo strumento ad essere inefficace ma le modalità di applicazione che non hanno saputo creare una difficoltà economica oggettiva al regime iraniano. A differenza della lettura israeliana del rapporto AIEA, secondo gli USA l'interpretazione corretta deve essere in grado di coinvolgere Russia e Cina nell'adesione alle sanzioni contro l'Iran, per sanzionare la Repubblica islamica ad una condanna più estesa, proprio da parte di quei paesi, come appunto Mosca e Pechino, che hanno maggiori legami economici con Teheran. La tattica di Obama è chiara, anche se vista in ottica dell'imminente campagna elettorale delle presidenziali americane. Il Presidente uscente vuole continuare ad essere accreditato come il soggetto che ha cambiato la tattica fondamentale della politica estera USA, prediligendo il dialogo alle prove di forza, tuttavia per gran parte dell'elettorato questo atteggiamento potrebbe essere visto come segnale di debolezza nei confronti di un nemico storico degli Stati Uniti.

La Merkel ed i cambiamenti del movimento conservatore

La cancelliera tedesca Merkel prevede un decennio per ristabilire la situazione economica mondiale. Un decennio che sarà ricco di sacrifici per riequilibrare la politica finanziaria degli stati, dove, da chi più, da chi meno, è stata abusata la leva del debito a fronte di minori entrate. La politica finanziaria delle nazioni incentrata sull'accumulo del debito pubblico è arrivata alla fine, soltanto il contenimento della spesa pubblica si può evitare il dissesto finanziario. Sembra una ovvietà ma non la è. Mettere dei freni certi e sicuri, fissati con modalità condivise a livello sovrastatale è ormai l'unica strada per combattere la crisi, anche a costo di andare contro quelle ovvie tendenze, espresse dai movimenti nazionalistici e localistici, insieme in una inedita alleanza, che vedono questi provvedimenti come una invasione della sovranità nazionale. Ciò è tanto più valido per l'Europa, che si è dotata di una una unione, appunto sovranazionale, ma non solo. Nell'insieme globale di economia e finanza certe regole devono essere recepite da tutti gli attori presenti sulla scena, meglio ancora se controllati ed assistiti da istituzioni terze. Ecco allora che il ruolo di una istituzione di governo e garanzia dell'economia mondiale si rende sempre più necessario, per evitare crolli pericolosi che vadano a riverberarsi su stati e soggetti più sani. Il momento impone una cura drastica ma nel futuro sarà sempre più indispensabile prevenire e su questa modalità non pochi saranno gli scontri alimentati da quei soggetti tesi ad arricchirsi con la speculazione e l'emissione di titoli tossici nel sistema. Per fare questo occorre agire sulle banche, che sono gli attori in prima linea nel processo e sono spesso state protagonisti negativi, tuttavia il loro ruolo è irrinunciabile, secondo la Merkel, per l'economia, giacchè senza credito si crea disoccupazione e alterazione degli equilibri sociali. Quello che va rivisto è il meccanismo perverso dal quale gli istituti bancari traggono il loro guadagno, mentre ne va esaltato il ruolo sociale, che non deve esaurirsi in vistose sponsorizzazioni di eventi, ma deve essere interpretato in maniera etica in modo da assicurare il giusto guadagno all'istituto contemporaneamente al favorire lo sviluppo armonico dell'economia, sia a livello locale che globale. La cancelliera Merkel, in sostanza partendo da posizioni di destra, seppure una destra moderna e tutt'altro che populista e classista, sfonda a sinistra con temi cari a partiti e movimenti che dovrebbe avversare. Uno per tutti l'introduzione del salario minimo garantito. Questo significa una presa d'atto, ulteriore nel mondo della politica, del fallimento delle teorie liberiste, che contrastavano qualunque forma di controllo sul mercato, portandoci al tragico punto in cui siamo. Ma significa anche l'elaborazione di nuovi concetti all'interno del movimento conservatore capace di fare maggiore tendenza nel mondo: quello tedesco. La necessità di una condivisione dei costi della crisi in maniera proporzionale va in quel senso e sottintende ad una revisione quasi completa dei caposaldi economici dei partiti conservatori che sapranno avere l'adeguata apertura mondiale. Ciò non può che essere letto in maniera positiva per la totalità del confronto politico perchè allarga di gran lunga, rispetto ad ora, il terrreno di incontro sul quale sviluppare e prendere le decisioni che condizioneranno il futuro. D'altronde ad aprire questa strada è stato un altro tedesco illustre: Benedetto XVI, che ha condannato apertamente i guasti del liberismo economico.

lunedì 7 novembre 2011

Türkei diplomatische Drehscheibe zwischen Afghanistan und Pakistan

Es gibt zwei sich ergänzende Bedürfnisse, die Herzen der afghanischen Friedensprozess in Richtung Istanbul zu bewegen.
Auf der einen Seite, als der wachsende Bedarf der Vereinigten Staaten, um aus einer Situation befreien reif für so viele Männer und Mittel einsetzen, sowohl für die eigentliche Wirklichkeit Aghani Themen, sowohl aus Gründen der nationalen amerikanischen Politik. Auf der anderen Seite steht die zunehmende Sichtbarkeit und Bedeutung der Forschung, vor allem regional, sondern auch auf höherer Ebene, der Türkei, die sich selbst als der Prinz in Person zu etablieren sucht. Für die USA, von denen die Türkei ist ein treuer Verbündeter und mit wem die Beziehungen ausgezeichnet sind, ist die Lösung eine Art Delegation nach Istanbul, um für eine Verhandlungslösung in dem schwierigen Prozess des Wiederaufbaus in Afghanistan zu suchen. Der Eingang zu dem diplomatischen Parkett afhana die Frage nach der Türkei, in offizieller Weise, nach einer U-Bahn-Aktivität, die Istanbul nicht für einige Zeit verschmäht, aber jetzt hat fast die Bedeutung von einer Stiftung aus Washington. Der türkische Außenminister Ahmet Davutoglu, in der Tat ausdrücklich zu definieren “Process of Istanbul”, der Gipfel, die durch so viele wie 29 Ländern Anfang November besucht war und versucht hat, Maßnahmen, die das Vertrauen in die Region wiederherstellen können identifizieren. Die USA werden über die Rolle von Istanbul als eines der führenden Länder in der Region, eine Position, dass die türkische Regierung ist es gelungen, eine kluge Politik zu schnitzen, und auch in gewissem Sinne, gezwungen durch die Unfähigkeit der Europäischen Union beitreten zu verlassen. Der Blick nach Osten war nicht eine Wahl, die schließlich als erfolgreich erwiesen für Istanbul, dank mehr gemeinsam mit ihren Nachbarn. Türkei und hinter den Kulissen natürlich die Vereinigten Staaten konzentriert Zusammenarbeit mit Kabul in Fragen der Sicherheit und Zusammenarbeit in der Wirtschaft in einer Art und Weise genau die gleichen, die nicht werfen sollten Zweifel an der Verdacht der Einmischung in die inneren Angelegenheiten Afghanistans. Das Problem für die Verwirklichung dieser Ziele ist die Variable des Terrorismus und die Beziehungen zwischen Kabul und Islamabad, hinter dem sich die Schatten von Amerika, die nach Pakistan unterstellt Webstühle, nicht nur nicht genug tun an dieser Front, sondern auch einige Nachsicht mit haben radikalen Gruppen und die Taliban. Allerdings hat die türkische Präsenz im Herzen der Verhandlungen bereits positive Veränderungen mit sich gebracht, in der Tat die Schaffung eines trilateralen Ausschuss direkt aus Afghanistan, Pakistan und der Türkei auf das Attentat gegen Burhanuddin Rabbani, der Präsident des Hohen Rates für den Frieden in Afghanistan, getötet in Untersuchung einem Selbstmordanschlag in Kabul am 20. September letzten Jahres, kann bedeuten, wesentliche Fortschritte auf der Ebene des Dialogs zwischen Kabul und Islamabad. Die türkische Politik kann daher vorteilhaft sein, die Stabilität der Hand, den Betrieb ohne Entfaltung Krieg, von dem er hätte auch die militärischen Fähigkeiten, sondern vorrangig für humanitäre Hilfe und sucht dadurch zu Krediten des Landes islamischen Dialog zu gewinnen.

La Turchia fulcro diplomatico tra Afghanistan e Pakistan

Ci sono due necessità complementari che spostano il fulcro del processo di pace afghano verso Istanbul.
Da una parte la necessità sempre crescente degli Stati Uniti di sganciarsi da una situazione ritenuta matura per impiegare una tale quantità di uomini e mezzi, sia per le questioni intrinseche alla realtà aghana, sia per ragioni di politica interna americana. Dall'altra vi è la sempre maggiore ricerca di visibilità e di importanza, sopratutto regionale, ma anche a livello maggiore, della Turchia, che cerca di imporsi come soggetto principe nell'area. Per gli USA, di cui la Turchia è un fedele alleato e con cui i rapporti sono ottimi, la soluzione costituisce una sorta di delega ad Istanbul per la ricerca di una soluzione negoziale nel difficile processo della ricostruzione afghana. L'entrata nell'agone diplomatico della questione afhana della Turchia, in maniera ufficiale, segue una attività sotterranea che Istanbul non ha disdegnato da diverso tempo, ma che ora assume quasi la rilevanza di una investitura da parte di Washington. Il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu, infatti ha definito espressamente "Processo di Istanbul", il vertice a cui hanno partecipato ben 29 paesi all'inizio di Novembre e che ha cercato di individuare provvedimenti in grado di ridare fiducia alla regione. Gli USA si affidano al ruolo di Istanbul quale paese leader della regione, posizione che il governo turco ha saputo ritagliarsi con una politica avveduta ed anche, in un certo senso, obbligata dall'impossibilità di entrare nell'Unione Europea. Guardare ad oriente è stata una non scelta che, alla fine, si è rivelata vincente per Istanbul, anche grazie alle maggiori affinità con i popoli vicini. La Turchia e dietro le quinte senz'altro gli Stati Uniti incentrano la collaborazione con Kabul sulla cooperazione nei temi della sicurezza e dell'economia in una maniera assolutamente paritaria, che non deve generare dubbi su eventuali sospetti di ingerenza negli affari interni dell'Afghanistan. Il problema per raggiungere tali obiettivi è la variabile del terrorismo ed i rapporti tra Kabul ed Islamabad, dietro cui si staglia l'ombra americana, che imputa al Pakistan, non soltanto di non fare abbastanza su questo fronte, ma addirittura di avere delle connivenze con i gruppi radicali e le milizie talebane. Tuttavia la presenza turca nel cuore delle trattative ha già portato variazioni positive, infatti la creazione di una commissione trilaterale composta proprio da Afghanistan, Pakistan e Turchia per investigare sull'attentato contro Burhanuddin Rabbani, presidente dell’alto Consiglio per la pace afghano, ucciso in un attacco suicida il 20 settembre scorso a Kabul, può significare un sostanziale avanzamento sul piano del dialogo tra Kabul ed Islamabad. La politica turca può, quindi, portare benefici evidenti alla stabilità dell'area, operando senza dispiegamento bellico, di cui pure avrebbe anche le capacità militari, ma privilegiando gli aiuti umanitari e cercando in tal modo ad accreditarsi come il paese islamico del dialogo.

sabato 5 novembre 2011

Il ruolo stabilizzatore della Cina

La stretta a cui è sottoposta l'economia occidentale preoccupa il gigante asiatico; infatti la Cina, proprio durante i lavori in corso del G20, decide di rivalutare la propria moneta. Questa mossa è una vera e propria offerta di collaborazione diplomatica per alleviare le tensioni commerciali con l'occidente, ed in special modo degli USA, che hanno più volte accusato Pechino di mantenere in maniera artificiale il valore basso della valuta cinese per incrementare le esportazioni delle merci del dragone asiatico. La rivalutazione della moneta cinese ha come obiettivo di prevenire le critiche dell'occidente, anche se spesso questa manovra è usata durante le manifestazioni internazionali per deviare la luce dei riflettori sulla Cina, questa volta a farla da padrone pare il timore di Pechino, di un blocco della esportazione delle merci verso i mercati più ricchi. Infatti, stante l'attuale situazione di crisi, la possibilità di una instaurazione di dazi e tariffe doganali più elevate preoccupa e non poco il governo cinese. Queste ragioni vengono sommate al fatto dei problemi dell'eurozona dove l'investimento cinese ammonta a circa 550 miliardi di dollari USA, di cui almeno 75 miliardi investiti nei titoli italiani, particolarmente sotto osservazione. Una contrazione dei consumi nell'eurozona è vissuta come un fatto tragico per le esportazioni cinesi, che ne sono ben consapevoli ed infatti si sono detti disponibili ad ulteriori investimenti fino a 100 miliardi di dollari nel fondo salva-stati elaborato in sede UE. Anche se la notizia del referendum greco ha portato qualche perplessità sulle intenzioni cinesi, la strada individuata sembra l'unica percorribile per il mantenimento delle quote di mercato su cui Pechino fonda la propria esistenza, in materia economica globale. Anche perchè il pericolo che più spaventa Pechino è la deflazione, che può venire combattuta soltanto con l'apertura concreta di nuove opportunità per il rilancio sia del lavoro e di conseguenza dei consumi, situazioni che, perchè si verifichino, necessitano, appunto della rivalutazione dello yuan. Ma nel breve periodo il pericolo si chiama invece inflazione, che potrebbe essere innescata proprio a causa dell'aumento del valore della divisa cinese e che potrebbe provocare un aumento dei prezzi e l'impoverimento dei lavoratori occidentali, incapaci così di accedere all'acquisto delle merci cinesi. E' una situazione in divenire che ha bisogno di aggiustamenti continui e ritocchi anche minimi per non alterare troppo gli equilibri globali del sistema. Alla fine quello che emerge è il ruolo sempre maggiore della Cina come stabilizzatore del mercato mondiale, anche se è una stabilizzazione che tende, giocoforza al proprio vantaggio, maggioritario ma non esclusivo, dato il legame venutosi a creare con il mercato globalizzato, dove i destini comuni delle nazioni sono legati tra di loro a filo doppio. Se la Cina, forte della propria ingente liquidità, decide di giocare il proprio ruolo di leader mondiale nella maniera giusta, possono aprirsi scenari favorevoli per tutti per uscire dalla crisi, anche se è scontato che a rinunciare maggiormente ai privilegi fin qui acquisiti dovranno essere quei paesi, sopratutto occidentali, che hanno vissuto al di sopra delle loro potenzialità, cedendo quote a vantaggio di quei paesi emergenti forti di fondamentali in crescita in grado di garantire maggiore stabilità al sistema nel suo complesso.

venerdì 4 novembre 2011

Cosa potrebbe nascondere il ritiro delle truppe USA?

L'accelerata del ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan e dall'Iraq, con situazioni tutt'altro che risolte, sono state lette più volte in chiave dell'appuntamento elettorale USA in programma nel 2012. Tuttavia l'accelerata sulla questione iraniana, potrebbe consentire una lettura differente del movimento delle truppe a stelle e strisce. Se l'obiettivo iraniano dovesse essere veramente percorso, la necessità bellico operativa diventerebbe ingente, non basterebbe soltanto una flotta di droni, ma la possibile evoluzione di un conflitto localizzato nel medio oriente prevederebbe scenari diversi: dall'impiego di armi convenzionali ad armi tattiche dispiegate lungo le frontiere. Uno scenario possibile è un attacco che parta con lanci missilistici da Israele congiunto a bombardamenti aerei sugli obiettivi ritenuti sensibili presenti in Iran, rappresentati dalle aree che potrebbero racchiudere i siti dello sviluppo nucleare. Superata questa prima fase è impensabile che Teheran non risponda all'attacco, ad una immediata risposta con bombardamento missilistico con obiettivo Israele potrebbe seguire l'impiego di forze terrestri con il passaggio della frontiera iraqena. In quest'ottica l'abbandono dell'Iraq da parte USA rappresenterebbe un suicidio militare, a meno che non sia una tattica per attirare l'esercito di Teheran nel territorio iraqeno; tale tattica necessiterebbe di una grande quantità di effettivi che potrebbero fare base in Arabia Saudita, paese da cui fare partire l'eventuale controffensiva. Lo scopo sarebbe abbattere il regime iraniano, ciò permetterebbe di eliminare il principale supporto ai grandi network del terrore basati sull'integralismo islamico ed appoggiati principalmente proprio da Teheran, secondo numerosi analisti occidentali. Ma l'esito non sarebbe così scontato e potrebbe degenerare o in una estenuante guerra di posizione o peggio potrebbe aprirsi anche un tragico scenario nucleare su scala regionale. E' una prospettiva che sfiora previsioni apocalittiche e che deve servire da monito ad azioni avventate, il pericolo di un conflitto su tale scala rischia di alterare tutti gli equilibri mondiali, andando a sovvertire ben più di quello che la crisi economica attuale sta provocando. L'opzione militare è la soluzione che deve essere assolutamente evitata, ma i protagonisti intorno al tavolo non sono dei più affidabili, sia il premier israeliano, che quello iraniano, non paiono propensi ad una qualche soluzione concordata, calati come sono nella parte dell'uomo forte; ed anche Obama e Cameron, non danno sufficienti garanzie presi come sono dalla necessità di deviare l'attenzione dai problemi interni, con la focalizzazione su un argomento di politica estera tale da distrarre l'attenzione della propria opinione pubblica. Non resta che sperare in una qualche azione dell'ONU, che agisca in modo di prevenire quello che potrebbe essere un conflitto capace di paralizzare l'intero pianeta.