Politica Internazionale

Politica Internazionale

Cerca nel blog

giovedì 8 dicembre 2011

Le difficoltà di Obama per la campagna elettorale

La recente sottolineatura e l'enfasi data al trattamento dei diritti del popolo omosessuale americano da parte sia di Hillary Clinton, che dello stesso Presidente Obama, significano che nell'entourage democratico c'è la necessità di marcare le differenze con gli avversari del Partito Repubblicano. E' un tentativo ben studiato di tenere le giuste distanze ideologiche in una campagna elettorale che si preannuncia appiattita in special modo sul tema economico. La necessità di coprire, nella maggior parte, ogni possibile settore del mercato dei voti, riflette uno stato di ansietà presente nei settori direttivi del partito, che cerca strade di dialogo alternative al dibattito economico. Viceversa una focalizzazione troppo accentrata sul tema dell'economia, porterebbe inevitabilmente, dato l'andamento statunitense, specialmente nell'ultimo anno, al centro della discussione rilievi troppo negativi per il Partito che esprime il Presidente in carica. Allargare le tematiche di confronto, mantenendole su temi di ampio respiro, può favorire un partito più orientato all'attenzione dei diritti civili e dello sviluppo sostenibile, che Obama ha cercato di percorrere, sebbene con alterne fortune. Tuttavia la strategia è anche difensiva, perchè mira a contenere gli effetti negativi che si sono riversati nei confronti del Presidente americano a causa del trattamento riservato ai dimostranti identificati come gli indignati americani. Le repressioni, a tratti anche efferate, di manifestanti mai violenti, hanno incrinato, anche se a distanza, l'immagine presidenziale, proprio su di un tema che, invece, doveva essere molto sentito al Partito Democratico. Obama, in questo caso ha peccato di eccesso di prudenza, per non urtare la grande finanza, non ha saputo cavalcare un movimento sociale, che nella migliore delle ipotesi non gli porterà nuovi voti. Difficile dire cosa aspettarsi dalla campagna elettorale imminente, dopo avere mancato molti degli obiettivi che si era dato, il Presidente uscente non potrà promettere più traguardi che non potrà raggiungere e non basteranno certo i successi ottenuti in campo internazionale. Nel periodo in carica del primo presidente di colore, per gli USA si è verificato un fatto totalmente inaspettato: la chiusura del grande paese americano in se stesso. I cittadini statunitensi, preda di una congiuntura economica fortemente negativa attendono misure praticabili che rialzino una economia in grande crisi, ed alle difficoltà del quotidiano sommano il fatto che gli USA non riescono più ad essere la grande potenza globale del passato. Tale aspetto psicolgicamente è di forte impatto per l'americano medio, non quello di New York, ma l'abitante dell'america profonda. Tuttavia molti aspetti giocano per la vittoria e quindi la riconferma di Obama: un Partito Repubblicano diviso, che non riesce, non solo ad esprimere un candidato comune, ma che litiga anche sui programmi, grazie alla crescente forza del movimento del Tea Party, sempre in forte contrasto con la parte tradizionale del Partito. Paradossalmente i motivi della grande forza del tea party sono gli stessi di chi critica Obama dall'interno del Partito Democratico. Ma questo segnale non è stato ancora pienamente colto dalle direzioni dei due partiti maggiori americani, ed, alla fine deciderà il risultato finale. .

mercoledì 7 dicembre 2011

Il futuro della UE ed il caso italiano

La sensazione prevalente in Italia, è che per fare una tale operazione economico finanziaria, non vi era bisogno di un governo di cotanti tecnici. Si tratta di una manovra che, al contrario di quello proclamato con così tanta enfasi, non ha nulla di egualitario, ma che impoverisce chi già faticava a districarsi tra un crescente costo della vita e l'aumento della carenza dei servizi pubblici. Almeno un poco di fantasia in più era lecito aspettarsi da chi era presentato da curricula prestigiosi e si presentava come portatore di maggiore eguaglianza, certo, nei sacrifici. Nulla di tutto questo: l'Europa dei tecnocrati ha da subito gradito questo governo ed a ruota sono andati i mercati, nessuna tutela da Bruxelles per le vessazioni imposte, anche con colpi di teatro, come le lacrime di coccodrillo della ministra che annunciava il sovvertimento della vita futura di un gran numero di lavoratori, incolpevoli dello sfascio precedente e della mancanza di soluzioni alternative del presente governo. Il tutto maturato in un colpo di stato dolce, imposto da Bruxelles, dove un governo non eletto ha preso decisioni di tale importanza, senza, oltretutto concordare nulla con le parti sociali. Siamo di fronte ad un precedente pericoloso, per la stessa vita dell'Unione Europea, che gode sempre meno del favore popolare ed inizia ad essere vista come matrigna. Quello che sta succedendo in Italia, va oltre le precedenti incursioni della UE nella vita di uno stato e rappresenta una violazione dello stesso esercizio della democrazia nell'area politica dell'euro, ma peggio ancora è che la UE non è integralmente responsabile del trattamento riservato all'Italia e non solo, ma è ostaggio essa stessa della politica esclusivamente anti deflattiva del suo socio di maggioranza: la Germania. Con un quadro simile viene meno l'essenza stessa dell'alleanza europea, ormai troppo squilibrata sui voleri e sulle esigenze di Berlino. Siamo di fronte al grado zero delle relazioni europee, se non si trova un punto da cui ripartire è veramente difficile che l'Unione riesca a procedere con rapporti così sbilanciati, il futuro è l'affermazione sempre più netta di movimenti e partiti che metteranno al centro dei loro programmi elettorali il progressivo distacco dai vincoli sempre più stringenti della UE. Se Bruxelles non comprende questo, la sua morte è già scritta; l'Unione per potere andare avanti non deve essere più essere percepita come elemento di soffocamento ma deve riaffermarsi come fonte di sviluppo concreto non solo per i grandi gruppi, ma deve portare il benessere fin sulla porta di casa delle famiglie. Gli eurocrati devono mettere riparo ai guasti generati da una gestione che ha dato troppo spazio ad un liberalismo senza contenimenti. Detto questo la questione del risanamento è essenziale proprio per le parti più deboli della società, ma non sono queste parti che ne devono sostenere, quasi esclusivamente, il costo, anche perchè non ne sono le responsabili; troppo facile andare a battere cassa dove le risorse, seppur esigue, sono certe e sicure, senza alcuna elaborazione alternativa del reperimento delle risorse, non solo da parte statale, ma sopratutto centrale, ovvero da Bruxelles, la funzione dell'Unione è monca ed apparirà sempre più calata dall'alto, suscitando una naturale avversione nel corpo elettorale nel suo insieme.

venerdì 2 dicembre 2011

L'ex capo del Mossad contro l'intervento armato verso l'Iran

L'ex capo del Mossad ha fatto delle dichiarazioni pubbliche importanti, ma ha anche scoperto l'acqua calda; infatti ha avvertito che un attacco militare contro l'Iran aprirebbe una guerra su di un teatro, almeno regionale, che andrebbe a coinvolgere anche la milizia scita libanese, Hamas, Hezbollah e la Siria. Si tratta di uno scenario credibile, anche se possibile di alcune variabili da valutare attentamente, sopratutto al di fuori del puro confronto militare, come l'atteggiamento diplomatico di paesi importanti come la Turchia, l'Egitto (dove sul piano elettorale si stanno affermando i Fratelli musulmani), che potrebbero determinare un isolamento internazionale ancora più pesante per Tel Aviv. Le dichiarazioni sembrano comunque gettare acqua sul fuoco alimentato continuamente dal governo israeliano in carica, ed evidenziano il concreto pericolo che correrebbe lo stato della stella di David in un conflitto di questa portata. La dichiarazione ha anche una portata mediatica non indifferente, perchè aggiunge una voce contraria, non scontata perchè proveniente da ambienti tradizionalmente non critici verso il governo, all'ampio panorama nazionale che si oppone ad un eventuale conflitto con l'Iran. La visione che l'ex capo del Mossad detiene circa l'argomento di una guerra regionale, in senso lato, quindi non solo per questo caso particolare, è di profonda contrarietà, in quanto una guerra del genere è giustificabile solo in caso di risposta ad attacchi diretti. La convinzione dell'ex capo del Mossad si basa sulla reale preoccupazione degli effetti che un conflitto con l'Iran potrebbe produrre sulla vita del paese e dei suoi cittadini; questo significa che gli analisti immaginano uno scenario di media o lunga durata, dove il conflitto non può essere risolto in tempi brevi, proprio per la capacità militare dell'avversario, valutata in grado di impegnare l'esercito israeliano in maniera consistente.
A destare viva preoccupazione nello stato israeliano, sono state le recenti dichiarazioni del ministro della difesa Ehud Barak che ha dichiarato di valutare in un tempo inferiore ad un anno lo spazio di manovra, per un eventuale attacco armato contro l'Iran, prima, cioè, che Teheran arrivi a disporre della tecnologia per l'atomica.
Nella questione è fondamentale anche l'azione di contenimento che sta operando Washington, fortemente contraria, in questo momento ad una azione militare di Israele, che la vedrebbe inevitabilmente coinvolta, seppure senza ne convinzione ne volontà. La situazione è tuttavia fluida, quello che si teme è una azione uniltareale di Israele, che in una fase iniziale del conflitto, potrebbe agire in modo autonomo, senza cioà alcun accordo o comunicazione, obbligando i propri alleati ad un intervento al proprio fianco non programmato ne condiviso.

La Croazia entra in Europa

L'Unione Europea apre al suo membro numero 28. Il Parlamento europeo da il via all'allargamento con un voto segnato da una maggioranza piuttosto larga, confermando la votazione con un lungo applauso tributato al Presidente del parlamento croato Luka Bebic. Il processo si concluderà definitivamente con l'ingresso ufficiale il 1 luglio 2013, preceduto dalle firme sul trattato di adesione, la cui sottoscrizione è prevista per il giorno 7 dicembre, cui dovranno seguire le ratifiche da parte di tutti gli stati memebri della UE. Ora per i parlamentari croati si apre il periodo di osservatori, prima di diventare a tutti gli effetti componenti a pieno titolo dell'assemblea sovranazionale. Dopo la Slovenia, la Croazia è il secondo paese nato dalla dissoluzione della Jugoslavia e che ha affrontato il sanguinoso conflitto che ne è seguito, ad entrare nella UE. Per Zagabria si tratta di confermare i progressi effettuati sui casi ancora aperti relativi ai crimini di guerra, collaborare in maniera ancora più fattiva con gli altri paesi UE e gli organismi comuni nella lotta contro la criminalità organizzata e continuare le riforme economiche strutturali necessarie a garantire una permanenza nel consesso europeo stabile, specialmente in questa difficile fase di congiuntura economica mondiale.

giovedì 1 dicembre 2011

Sull'Afghanistan il Pakistan interdisce i progressi di pace.

Sull'incerto futuro afghano si addensano nubi nefaste. L'errore del bombardamento NATO, che ha provocato la morte di 24 soldati pakistani, viene usato da Islamabad come scusa per non partecipare alla conferenza indetta a Bonn sul futuro dell'Afghanistan. Il problema del destino del paese di Kabul sta rapidamente assumendo, da problema regionale, una dimensione più ampia, connessa con il fattore terrorismo ed i delicati equilibri diplomatici mondiali. Non secondario il fattore del disimpegno che gli USA stanno cercando assiduamente di operare dal conflitto per ragioni sia di politica interna che finanziaria. Per queste ragioni gli USA spingono maggiormente verso una soluzione più veloce possibile condivisa del problema afghano, attraverso la collaborazione dei paesi limitrofi, tra i quali, quello che riveste maggiore importanza è proprio il Pakistan. Ad Islamabad sono consci di questo potere ed a causa dei crescenti contrasti con Washington, tendono ad usarlo sempre in maniera più massiccia. Questo comporta una immobilità nella ricerca della soluzione del problema afghano, che lascia in stato di stasi anche la situazione militare. Infatti senza l'appoggio concreto dei pakistani è impossibile sconfiggere le forze talebane che agiscono al confine tra i due stati, trovando in Pakistan rifugio e basi logistiche, fondamentali per le loro azioni belliche. La questione ruota attorno alle reali intenzioni di Islamabad sulla questione afghana, sulla quale il Pakistan non si è mai dimostrato chiaro. La sempre presente rivalità con l'India, con la quale gli USA sono sempre più vicini, ed i nuovi rapporti di alleanza con la Cina, hanno aumentato la distanza tra Washington ed Islamabad, andando a ripercuotersi proprio sulla possibilità di risoluzione del problema afghano. Nonostante questa evidente difficoltà, la conferenza di Bonn mantiene la duplice finalità sia economica che politica, intimamente legate per la risoluzione del problema complessivo. La necessità di una indipendenza economica di Kabul è un obiettivo fondamentale per invertire la situazione attuale che registra una dipendenza economica del 90% dai finanziamenti esteri. Ma il nodo fondamentale è costituito dall'aspetto politico e squisitamente pratico è la gestione di quello che seguirà allo scadere del 2014 anno in cui la responsabilità della sicurezza del paese sarà trasferita alle forze afghane. Entro quella data dovrà essere cercata una soluzione con i talebani, trovando una qualche forma di dialogo in grado di favorire una integrazione con il governo legittimo. Ed è proprio in quest'ambito che si inquadra il rapporto con il Pakistan, senza una mediazione attiva di Islamabad con le milizie talebane, il problema è destinato a non trovare una soluzione, contemplando l'estensione temporale infinita del conflitto armato sulla linea di frontiera.

mercoledì 30 novembre 2011

Una critica al ruolo della Germania nell'attuale fase di crisi

La turbolenza economica dell'europa alimenta dissidi e potenziali contrasti di ampia portata tra gli stati. Bersaglio principale è la Germania, che in forza della propria capacità economica, si è, praticamente attribuita, oltre che il ruolo guida, non sancito da alcun avallo politico democratico, anche il ruolo di moralizzatore nei confronti dei paesi in difficoltà. Il disagio verso questo atteggiamento tedesco sta montando in maniera esponenziale negli ambienti politici, sopratutto dei paesi definiti come PIGS, che oltre le misure draconiane di cui sono oggetto, dietro cui si vede chiaramente la mano tedesca, patiscono anche l'atteggiamento paternalistico proveniente da Berlino. In effetti la Germania ha intrapreso una politica a senso unico in nome del solo rigore, tralasciando la fase espansiva necessaria per la crescita. Il forte sospetto è che Berlino voglia applicare all'area euro una politica economica di questo tipo per preservare la propria crescita, rafforzando così, oltre alla propria economia, il conseguente ruolo primario in eurolandia, senza dare alcuna o poche possibilità alla crescita degli altri paesi, sacrificandoli soltanto al recupero del loro debito, misura che andrebbe così a rafforzare l'euro e quindi la stessa Germania, che avrebbe quindi un vantaggio doppio dalle misure cui intende costringere gli altri paesi. Una ipotesi del genere inquadrerebbe una alleanza sbilanciata, se non una vera e propria forma di supremazia velatamente nascosta. Se questo ragionamento è vero le alternative sono due: espulsione dall'area euro dei paesi più deboli, ipotesi praticabile fino a che non si include tra questi l'Italia, i cui effetti di una esclusione sarebbero ancora più nefasti per la moneta unica, oppure continuazione dell'attuale area con però sacrifici sempre maggiori per i pesi più deboli. Anche dal punto di vista morale, costringere le popolazioni i cui governi non sono stati all'altezza della situazione, rappresenta un abuso da parte dell'Unione Europea, che tra l'altro, ha le sue colpe concrete, grazie al proprio immobilismo di fronte al sorgere del problema; è infatti opinione diffusa che una azione subitanea, effettuata cioè in tempi più rapidi avrebbe limitato i sacrifici da imporre alle popolazioni degli stati in oggetto. La richiesta di rigore tedesca è comprensibile ma deve essere stemperata con provvedimenti con possano dare speranze concrete alle popolazioni oggetto delle misue di sacrificio, in sintesi la Germania per potere esercitare il suo ruolo di leadership deve essere quella locomotiva economica che dice di essere, ma facendone ricadere i benefici anche al di fuori dei suoi stretti confini, solo così si giustificherà ancora l'esistenza dell'euro con la prospettiva dell'unione politica in virtù di una alleanza a tutti gli effetti.

Dietro all'assalto all'ambasciata inglese

Le modalità dell'assalto all'ambasciata inglese a Teheran sono quelle già viste in Siria e peraltro, tatticamente già sperimentate, contro l'ambasciata USA, quando il presidente era Carter. Quella che appare più evidente è la similitudine con gli atti di Damasco, una vera e propria scelta di colpire le sedi di rappresentanza dei paesi ritenuti nemici. Un avvertimento chiaro a non continuare con la politica contraria verso il paese dove sono ospiti, ma non per concessione, ma in virtù di accordi internazionali liberamente sottoscritti. Sembra evidente che vi è una unica mano dietro questa strategia e non è difficile individuarla nei servizi fedeli al presidente iraniano in carica, che è anche il suggeritore che sta dietro le repressioni siriane. Purtroppo sta diventando una prassi, usata anche però in Egitto, quella di assaltare le ambasciate che dovrebbero avere assicurata la protezione del paese dove operano. Violare questo precetto del diritto internazionale mette su una brutta china qualsiasi rapporto tra stati, non assicurare l'extraterritorialità è poco meno che una dichiarazione di guerra aperta, che implica, per il paese che compie questa violazione, intraprendere una strada di isolamento praticamente scontato. Potrebbe essere una nuova modalità per rompere accordi sottoscritti in maniera ufficiale, obbligando i paesi i cui uffici diplomatici sono stati violati, ad agire in modo unilaterale chiudendo le ambasciate e, di fatto, rendere lettera morta il trattato bilaterale firmato. Sembra proprio questa la strada intrapresa dal regime iraniano: obbligare alla chiusura le ambasciate dei paesi che vengono individuati come potenziali nemici che agiscono sul territorio con modalità spionistiche. Il tutto si inquadra nella lotta al nucleare iraniano ed ai mai chiariti attentati verso scienziati locali impegnati nello sviluppo della tecnologia atomica. Che sia vero o meno l'Iran vede dietro a questi attentati il Regno Unito (e gli USA, certamente, ma non è ancora venuto il momento per affrontarli in modo così aperto) ed in più da un chiaro avvertimento agli altri stati, di cosa può aspettarli se insistono nelle sanzioni. E' il contrario di un atteggiamento conciliante, una situazione precipitata con il rapporto AIEA, ed insieme una sorta di ammissione di colpa sui reali scopi della ricerca atomica intrapresa da Teheran. In questo modo la strada è segnata: da un lato l'Iran vuole liberarsi della presenza dei diplomatici occidentali perchè tutti potenziali spie, dall'altro lato viene scelto il muro contro muro contro la comunità internazionale ed in special modo con l'occidente. Il Presidente iraniano spera ancora di potere agire contro gli USA ed i suoi alleati in virtù delle ampie discordanze che essi hanno con Cina e Russia, e sul breve periodo ha qualche ragione: in questo momento l'atteggiamento di Mosca e Pechino è di forte distanza da Washington, ed anche il nucleare iraniano è una leva da fare valere in un raggio più ampio dei rapporti tra questi colossi; ma se l'Iran riuscisse a raggiungere veramente l'obiettivo dell'atomica, anche i rapporti regionali, data la vicinanza con Cina e Russia, andrebbero per forza a cambiare. Se invece di girare le rampe dei missili verso ovest, Teheran le ruotasse verso est, la gittata degli ordigni nucleari potrebbe raggiungere facilmente i loro territori. E' una ipotesi remota, ma nessuno può prevedere l'evoluzione delle dinamiche dei rapporti tra gli stati, con la velocità dei cambiamenti, caratteristici di questa fase storica. Mosca e Pechino stanno conducendo un gioco molto pericoloso di cui potrebbero diventare a loro volta vittime, una minaccia di un'atomica in più, specialmente in mano a regimi non che non proprio garantiscono una condotta univoca, non è comunque da sottovalutare, anche per il solo fatto di potere potenzialmente variare rapporti di forza militare certi ed abbastanza definiti. L'attacco all'ambasciata inglese deve quindi fare suonare un campanello d'allarme non solo nella NATO e nell'occidente ma in tutto il consesso mondiale, sopratutto per quello che sotto intende, oltre alla gravità del fatto in sè, verso possibili negativi sviluppi per l'equilibrio mondiale.