Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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lunedì 7 febbraio 2011
La debacle occidentale
Occorre fare una riflessione sul ruolo dell'occidente alla luce degli sviluppi dei recenti e meno recenti avanzamenti della situazione mondiale. Appare ormai chiaro che il ruolo centrale della parte occidentale del pianeta, fino ad ora nel suo insieme, USA ed alleati, non è più al centro della scena globale. Una serie di fatti e di fattori hanno decretato che non vi è più un solo centro politico ed economico su cui gravita il resto del mondo. Ciò implica che l'occidente, e con ciò si deve intendere USA e UE, non sono più da soli sul gradino più alto come potere d'influenza e di indirizzo. Quella che appare è una situazione dove si stanno sviluppando più centri capaci di indicare la direzione agli altri paesi, quello che si viene a creare, si passi il paragone, è un insieme di forze vettoriali che spingono in direzioni differenti con angolature differenti e le risultanti si ottengono incrociando molte variabili. Ritornando alla difficoltà occidentale occorre specificare che le cause del declino sono frutto di previsioni e politiche poco lungimiranti. La costante afgana è una di queste, il teatro della lotta ad AlQaeda ha di fatto perdere la visone d'insieme agli USA che concentrandosi con sforzi immani in questo conflitto ha perduto la visuale d'insieme della politica internazionale dando per scontate ed assodate situazioni che non erano più tali. E' certo che le rivolte nella sponda sud del Mediterraneo non sono state previste dalla diplomazia occidentale ed ancora adesso la direzione degli esperti di politica estera USA e UE è traballante tra dichiarazioni di principio ed attesa di come andrà a finire per omaggiare il vincitore di turno sperando che il nuovo status quo non differisca di molto dallo status quo ante. L'Egitto è molto più importante dell'Afghanistan per la pace mondiale, è l'unico stato arabo che è riuscito a dialogare con Israele ed a mettere l'uno di fronte all'altro leader isreaeliani con leader arabi. Le istanze democratiche del popolo egiziano sono da supportare in maniera che la transizione avvenga in modalità non contagiate da impulsi estremisti. L'occidente dovrebbe prodigarsi con aiuti e supporti affinchè ciò avvenga, ma quello che si nota è una statica immobilità degli USA ed un atteggiamento pilatesco della UE. Non intervenire gettando sul piatto tutto il peso diplomatico possibile non è accettabile, l'occidente non è la Cina che può permettersi un atteggiamento distaccato, il Mediterraneo è praticamente Europa e non può essere abbandonato all'integralismo religioso o all'instabilità politica. E' interesse di tutto il mondo occidentale che la regione goda della massima stabilità, le rivolte possono essere un'opportunità di sviluppo comune a patto che non prendano direzioni pericolose. Passa anche da qui la riscossa della diplomazia occidentale che ultimamente non pare al passo con la storia.
domenica 6 febbraio 2011
L'evoluzione della crisi egiziana.
La situazione egiziana continua a mantenersi fluida ed aperta ad ogni soluzione, il clima di incertezza è il vero padrone della scena e la soluzione decisiva appare ancora lontana. La vicenda pare, per ora vivere un momento di stallo, non si presentano occasioni decisiva per risolvere l'impasse. Il problema di fondo appare la spaccatura della popolazione egiziana, chi risalta maggiormente è chi fa più rumore ed occupa le piazze ma esistono settori della società che paiono restii al cambiamento. La transizione non è vista in egual modo da tutti, c'è una gran parte della società egiziana che teme che il nuovo sistema non garantisca la stabilità attuale e porti il paese ad una deriva pericolosa. Tra questi settori ancora favorevoli a Mubarak ci sono i copti, circa il 10% della popolazione, che temono di perdere quel poco di protezione che il vecchio regime assicurava e guardano con paura alla possibile ascesa dei Fratelli Mussumani. Tuttavia la situazione attuale non può durare a lungo, il blocco dell'attività economica in un paese già in difficoltà non è ulteriormente sopportabile, inoltre la pressione degli USA per una risoluzione pacifica, ma che non contrasti con gli equlibri della situazione internazionale, pone la soluzione non più procrstinabile. Al momento sono due gli scenari più probabili: governo di unità nazionale con elezioni liber e democratiche in un tempo ragionevolmente breve o titolarità solo nominale di Mubarak fino a Settembre con elezioni subito dopo. In ogni caso il vecchio dittatore non è più compreso nel governo del paese, il pericolo di una sorta di balcanizzazione in salsa egizia è uno dei problemi che paiono di più spaventare l'opinione pubblica interna ed esterna. Il grna merito di Mubarak fino ad ora è aver saputo governare e tenere unito un paese con forti tendenze opposte, un paese contraddistinto da differenze anche rilevanti che lasciate senza freni potrebbero lacerare la nazione. Il ruolo chiave dell'Egitto nella regione per la pace è stato finora di grande stabilizzazione se dovesse invertirsi questa tendenza sarebbe da ridiscutere tutto la situazione in un'area della più calde del pianeta.
venerdì 4 febbraio 2011
L a chiesa cattolica immobile sulla scena internazionale
Oltre un centinaio di teologi cattolici di Germania, Austria e Svizzera hanno emesso una dichiarazione congiunta che chiede la fine del celibato obbligatorio per i sacerdoti e la possibilità di ordinazione anche per le donne. Si stima che circa un terzo dei teologi di Germania, Austria e Svizzera facciano parte della corrente cattolica favorevole a questi cambiamenti in seno alla chiesa di Roma. I tre paesi sono quelli da cui spesso provengono critiche alla dottrina della chiesa ed il tema in questione è già stato sollevato altre volte. Il fatto risulta ancora più importante se si pensa che questa proposta viene dal paese del Papa (il quale, peraltro, aveva firmato una proposta analoga negli anni sessanta). La proposta è destinata a suscitare accesi dibattiti all'interno dell'ortodossia vaticana. La chiesa cattolica non sta passando un buon momento: il problema della pedofilia (per la quale questa proposta non intende essere una soluzione), gli scandali economici e la scarsità delle vocazioni determinano una situazione di difficoltà acuta. All'interno della geopolitica cattolica il fermento proveniente dall'europa centrale rischia di incrinare equilibri di già poca stabilità. La spinta in avanti che viene richiesta potrebbe portare a fratture, non evidenti in superficie, con le prelature dei paesi meno tradizionalisti che vedono di buon occhio una ventata di rinnovamento nell'ingessato mondo cattolico. Vi è tutta una linea all'interno della chiesa cattolica che richiede una maggiore reattività ai problemi del mondo che cambia, il problema della globalizzazione è direttamente connesso con le difficoltà del mondo del lavoro e della finanza, temi sui quali l'atteggiamento prudente è stato sovente visto come un comportamento di parte in causa in ragione di dubbie vicende che hanno coinvolto organismi vaticani. La maggiore trasparenza è una della richieste più pressanti alle alte gerarchie. Anche nella politica estera non paiono esserci novità rilevanti, i continui richiami al rispetto dei diritti civili sono da considerarsi un obbligo per una organizzazione religiosa, tuttavia il resto dell'attività diplomatica pare arroccarsi soltanto nella singola difesa della libertà religiosa per i cattolici, non ci sono azioni eclatanti ad esempio per la pace del mondo aldilà delle occasioni di rito. Nel suo immobilismo la chiesa cattolica non sfrutta le situazioni contingenti per esercitare una concreta azione internazionale da protagonista. In questo quadro anche la richiesta dell'accesso al matrimonio per i sacerdoti pare una notizia rilevante.
Diplomazia europea e situazione del Mediterraneo meridionale
L'Europa pare colta di sorpresa dalle proteste della sponda sud del Mediterraneo, si avverte un senso di smarrimento totale sia dai singoli paesi della UE, che dalle istituzioni comuni. Le dichiarazioni sono di facciata, generici appoggi alle istanze dei popoli in rivolta riconoscono l'esigenza dell'assicurazione dei diritti fino ad ora negati; atteggiamenti lapalissiani che si distinguono per la loro ovvietà. Quello che lascia interdetti è che le diplomazie europee paiono essere disorientate sia di fronte ai moti, che seppure improvvisi dovevano essere in qualche modo previsti, che all'atteggiamento da prendere con il risultato di esprimere un moto ondivago che pende ancora per la maggioranza per i regimi in carico. Questa situazione è da imputare a politiche mediterranee esercitate, a livello di singolo paese, senza grande respiro procedendo cioè ad un passo per volta con ogni singolo interlocutore. In questa miopia non ci sono state eccezioni, tutte le ex potenze coloniali e gli altri paesi della sponda nord del mare nostrum hanno proceduto in egual modo. Ancor peggiore l'atteggiamento dell'Unione Europea che non ha mai intrapreso un progetto di ampia portata che sapesse coinvolgere in una visione comune l'intera area del bacino del Mediterraneo: una grande occasione persa per contare ed indirizzare la politica specialmente in un momento come questo. Le scelte sono state influenzate dal mantenimento dello status quo impedendo, in modo ignavo, lo sviluppo di questi giorni. Non si è mai cercato di indirizzare verso un processo democratico gli stati della sponda sud, non si sono mai esercitate pressioni in ambito internazionale per la violazione dei diritti. Intrattenere relazioni ufficiali magari compiacendo il dittatore di turno, non è una via diplomatica consona per porsi nell'attuale contesto mondiale, occorre che le diplomazie europee si facciano carico delle loro responsabilità altrimenti il destino è quello della serie B della scena internazionale.
giovedì 3 febbraio 2011
Nel 2030 gli islamici maggioranza del pianeta
Il Pew Research Center, istituto di ricerca statunitense ha condotto una ricerca sull'espansione della religione mussulmana entro il 2030. Nei prossimi vent'anni viene stimato che la crescita della popolazione di religione islamica crescerà a passo doppio rispetto al resto del mondo. Il rapporto di crescita previsto medio è di 1,5 islamici contro 0,7 non islamici. Il paese con maggiore crescita sarà il Pakistan che sorpasserà l'Indonesia come nazione con più islamici del mondo. Le ragioni di questo aumento su scala mondiale si individuano nella maggiore natalità, nella crescita di aspettativa di vita e nelle migliori condizioni economiche dei paesi ad orientamento mussulmano. Per l'Europa è prevista una crescita più contenuta e nessuna nazione dovrebbe essere a maggioranza mussulmana. La religione cattolica sarà, secondo questa previsione, al secondo posto per numero di fedeli. Può portare problemi questa espansione religiosa? Occorrerebbe disporre di dati più precisi sul peso specifico delle varie tendenze all'interno di questa crescita costante, è chiaro che se un paese come il Pakistan non migliora dal punto di vista democratico e non risolve il problema delle basi talebane sul suo territorio, una crescita islamica non può non andare nella direzione di tendenze integraliste. In altre parole alle condizioni attuali la crescita religiosa che avviene in una nazione dove le madrasse orientano il credo o dove comandano gli ayatollah non può non andare in una direzione tutt'altro che moderata, con conseguenze facilmente immaginabili. Purtroppo la tendenza degli ultimi anni dell'integralismo islamico, pur non essendo la maggioranza numerica, è stata quella di costituire il nucleo più motivato dell'azione contro gli stessi moderati e l'occidente, diventando una riserva di uomini e di idee cui attingere per fini tutt'altro che pacifici. E' chiaro che non si deve intraprendere alcuna lotta di natura religiosa o peggio di cultura, tuttavia occorrerebbe prendere alcune contromisure, di natura pacifica e libertaria, per impedire che questo sviluppo vada incanalato verso le zone grigie dell'estremismo. Diventa così vitale sviluppare il dialogo e la cooperazione culturale, politica ed economica con le parti più moderate dell'islam a partire dalle nazioni fino alle associazioni più radicate sui territori. Si tratterebbe di un investimento per la pace futura che deve passare per lo sviluppo economico che deve favorire la prosperità delle nazioni, nel benessere è più difficile reclutare un martire di Allah, ed incentivare un dialogo che faccia comprendere le ragioni di tutte le parti in gioco arrivando ad una sintesi che scarti ogni opzione armata.
Panarabismo: prospettive e realtà
Le rivolte di popolo della sponda sud ripropongono la questione del panarabismo sebbene in una nuova ottica. Il movimento panarabo originale si proponeva una sorta di unione tra gli stati arabofoni in chiave laica da contrapporre al comunitarismo islamico di matrice ottomana. Il movimento, in realtà non ha mai avuto troppo fortuna per le divisioni di base religiosa che hanno contraddistinto l'universo mussulmano, troppo profondo il solco tra gli sciti ed i sunniti per trovare un punto d'incontro. Maggiore successo ha avuto presso i sunniti propugnatori di una unionealmeno culturale del popolo arabo. Nel corso della storia il panarabismo è stato usato anche come bandiera contro il colonialismo europeo. I recenti fatti dei paesi costieri del mediterraneo del sud hanno sollecitato la riflessione di alcuni osservatori inquadrando i fatti come un possibile risveglio del movimento panarabo, sebben su scala più ridotta. In effetti ci sono caratteri comuni nelle rivolte di Algeria, Tunisia, Egitto e in parte minore di Giordania e Siria che possono ricondurre agli elementi degli albori del movimento panarabo. La mancanza di connotazione religiosa, se non in parte marginale, il moto popolare esogeno dal proprio paese, la problematica economica, sono tratti comuni che però non bastano a connotare in senso di panarabismo le rivolte di questi giorni. Un tratto comune può essere identificato sulla base territoriale, anche se manca la continuità per la presenza della Libia, dove la natura più ferrea delle dittatura ha impedito, almeno per ora, una sollevazione popolare. La mancanza più importante è però un movimento su base sovranazionale che possa organizzare la protesta in senso comune, non dovrebbe intendersi come prospettiva di stato unitario perchè le differenze tra i popoli sono tali da precludere questa soluzione, ma potrebbe essere intesa come alleanza economica ed in futuro politica. Ma sono congetture troppo avanti per la fase attuale, la transizione dei regimi oggetto di rivolta, non solo non è ancora avvenuta, ma non è detto se avverrà e con che modalità ed in quali tempi; per il momento il movimento panarabo è solo unìesercitazione sulla carta.
mercoledì 2 febbraio 2011
Sponda sud del Mediterraneo, Iran ed Israele
Sia Washington che Teheran hanno reagito allo stesso modo ai moti di piazza di Tunisi e del Cairo; in sostanza hanno appoggiato entrambi il popolo insorto per non essere associati ai vecchi regimi. Ma le similitudini terminano qui, la strategia Iraniana cerca di favorire l'ascesa al potere della parte più integralista dei mussulmani. Poco importa che a Tunisi la rivolta non sia stata caratterizzata da esponenti religiosi e a Il Cairo il partito dei Fratelli Mussulmani ha ammesso di essere solo una parte delle componenti della totalità delle manifestazioni. Nonostante questo il vero interesse di Teheran è di circondare Israele con un cordone di stati islamici e mettere in seria difficoltà il processo di pace, se non di scatenare una guerra su base regionale. Il sogno iraniano è che si ripeta quello avvenuto sul suo territorio, dove un dittatore, lo Scià di Persia, è stato abbattuto e sostituito da una repubblica teocratica, peggiorando alla fine le condizioni del popolo. Ahmadinejad non ha nulla da perdere perseguendo questa strategia, anche se non ci fosse la presa del potere da parte degli integralisti avrà comunque guadagnato a costo zero, grande credito in termini di immagine presso le flangie più oltranziste della religione mussulmana e presso i gruppi estremisti. Per Israele la soluzione è di accelerare il più possibile il processo di pace con la Palestina, il tempo stringe e non è il momento di indugiare ancora. L'attualità quotidiana dei fatti nella sponda sud del Mediterraneo ha distolto l'attenzione dal processo di pace per la Palestina, la speranza è che i due argomenti non abbiano incroci pericolosi per la pace mondiale.
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