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giovedì 10 novembre 2011

Iran: cosa farà Israele?

Può Israele decidere di attaccare da solo l'Iran, perchè teme lo sviluppo definitivo dell'arma atomica di Teheran? La questione è di vitale importanza, cercare di capire cosa vorrà fare il governo israeliano è fondamentale per capire in quale direzione andrà l'equlibrio mondiale. Allo stato dell'arte, nonostante l'unanime condanna proveniente, almeno dall'occidente, solo Tel Aviv spinge per una soluzione militare, che preveda di colpire le installazioni atomiche in terra iraniana. Gli USA, pur avendo ricompreso come una possibile soluzione quella dell'intervento armato, ne hanno per il momento scartato l'attuazione per ovvi motivi di opportunità di politica sia estera che interna. Netanyahu, tenendo fede alla sua fama di duro spinge per l'intervento armato, tuttavia non si comprende se sta bluffando o se oserebbe veramente bombardare in modo unilaterale l'Iran. In ogni caso quello che cerca è di forzare la mano agli statunitensi, cui non approva la condotta giudicata sostanzialmente di basso profilo, nei confronti di Teheran. Infatti è impensabile, che, in caso di attacco da parte di Tel Aviv, anche non concordato con Washington, gli USA lascino poi al loro destino gli israeliani. Ma in questo caso l'intervento della forza armata a stelle e strisce sarebbe un evento obbligato che avrebbe conseguenze, probabilmente irreparabili, a livello di rapporti diplomatici. Ben diverso il caso di una soluzione armata concordata, anche ottenuta anche con comportamenti esasperanti e condannati, non in pubblico, dal governo USA. Per ora l'Iran non pare cedere alle provocazioni israeliane e mantiene la propria linea, anche se un episodio che partisse da Teheran, per quanto improbabile, farebbe la gioia di Netanyahu, che vorrebbe avere una occasione, anche minima, tale da giustificare una azione armata contro l'Iran. Pur comprendendo i timori di una testata nucleare puntata verso Gerusalemme, per decifrare quello che appare un comportamento folle da parte di Israele, tanto che neppure gli USA lo approvano, non vi è altra spiegazione che i servizi segreti di Tel Aviv abbiano notizie certe di un progresso iraniano molto vicino alla costruzione della bomba atomica senza, tuttavia, averne raggiunto il compimento. Se questo è vero allora si può capire l'urgenza di una azione militare da svolgersi in tempi brevissimi per distruggere e possibilmente azzerare i progressi iraniani in maniera definitiva. L'analisi dei benefici di una azione del genere, che pare comunque costituire un azzardo enorme, deve essere tale da superare gli eventuali costi, che anche senza avere elementi certi, dovrebbero comunque essere altissimi. Per Israele, quindi il problema nucleare iraniano deve essere definito, anche a discapito di interessi superiori, in esclusiva funzione delle proprie, seppur comprensibili, esigenze.

Perchè Cina e Russia non vogliono sanzionare l'Iran

Cina e Russia non la pensano come USA ed Israele sull'atomica iraniana. Dalla decisione, presa in sede di Consiglio di sicurezza dell'ONU, di aprire all'intervento armato in Libia mascherato da azione umanitaria, ottenuto con l'astensione di Pechino e Mosca, secondo i governi di questi paesi estorta in maniera ambigua dai paesi occidentali, l'atteggiamento diplomatico di Cina e Russia è diventato di chiusura, verso ogni iniziativa di politica internazionale occidentale sia reale che potenziale. Anche il rapporto AIEA è diventato così una occasione per dissentire con l'occidente, diventando, addirittura, secondo il Ministero degli Esteri russo, una fonte di tensione ed un fattore di destabilizzazione mondiale. In realtà nel confronto tra Iran e potenze occidentali sulla questione nucleare, irrompono sulla scena proprio Cina e Russia, nella probabile veste di alleati di Teheran; ma il presupposto diplomatico è il cavallo di Troia, dietro al quale si nascondono ragioni prettamente economiche. Per la Cina è la necessità di assicurarsi il petrolio iraniano, che è una componente essenziale del proprio fabbisogno energetico, per la Russia si tratta di portare avanti le ricche commesse stipulate con la Repubblica islamica proprio sul fronte della ricerca atomica. In questo quadro la tattica pensata da Obama per contrastare il programma atomico iraniano, che prevedeva una maggiore pressione sul paese persiano tramite l'inasprimento delle sanzioni ed il coinvolgimento proprio di Cina e Russia, pare destinato a naufragare ancora prima della partenza, come, peraltro, indicato chiaramente dal rifiuto delle due potenze a fare entrare nel novero delle sanzioni i settori energetici riguardanti gas e petrolio. Per gli USA, per evitare un eventuale scontro armato, non ci sarebbe altra soluzione che quella di imporre sanzioni in maniera quasi unilaterale, nel senso che tali sanzioni avrebbero senz'altro l'appoggio delle altre potenze occidentali, ma senza l'effetto ricercato di un fronte più esteso, che ne garantirebbe anche l'effettiva efficacia. Se la questione viene poi considerata dal punto di vista diplomatico risulta impossibile non rilevare una sempre maggiore spaccatura tra occidente con in testa gli USA, da una parte, e Cina e Russia dall'altra, che stanno praticando una palese politica di aggregazione di quelli che sono gli stati più in disaccordo con Washington. Se per la Cina lo scopo è di sottrarre sempre più terreno all'economia americana, per la Russia la questione pare quella di una ricerca, a tratti spasmodica, di recuperare quell'importanza internazionale che è andata scemando dalla fine dell'impero sovietico. Ma entrambi i casi indicano che i due paesi stanno conducendo una tattica pericolosa ed irresponsabile per la stabilità mondiale, che rischia di avere effetti incontrollabili per gli stessi conduttori del gioco.

mercoledì 9 novembre 2011

Se Iran e Pakistan si avvicinano

Dentro le pieghe del rapporto AIEA ci sarebbe la constatazione della collaborazione di tecnici pachistani con il governo iraniano per la costruzione della atomica della repubblica islamica. Se ciò fosse vero sarebbe una ulteriore incrinatura nel rapporto fiduciario, peraltro già pesantemente compromesso, tra USA e Pakistan. Avere fornito conoscenza diretta sull'argomento nucleare a Teheran, pone Islamabad in una posizione ancora più ambigua sulla propria lealtà ed anche convinzione nei confronti della lotta al terrorismo islamico. Il fatto, d'altronde, non rappresenta un fulmine a ciel sereno, ma corona una lunga serie di sospetti fondati su comportamenti ambigui da parte delle strutture governative pachistane. La protezione fornita alla rete terroristica Haqqani, la presenza sul suolo pachistano di Osama Bin Laden, i comportamenti dubbi dei servizi segreti, il progressivo avvicinamento alla Cina come alleato di primo piano sui temi economici, avevano collocato il Pakistan in una posizione di alleato non troppo affidabile per gli obiettivi americani, sopratutto nell'ottica della guerra afghana e quindi sul tema della lotta al terrorismo. Anche i recenti dissidi tra Kabul ed Islamabad, provocati dall'accusa afghana, condivisa dagli USA, di fornire protezione materiale alle bande talebane nelle montagne pakistane al di la della frontiera dell'Afghanistan, hanno contribuito ad un ulteriore deterioramento dei rapporti, nonostante tutti i tentativi americani di un recupero su posizioni più favorevoli per gli USA, con trattative condotte anche in prima persona dal Segretario di stato Hillary Clinton. Ma la collaborazione con l'Iran, su di una questione ritenuta di fondamentale importanza per gli USA, come il programma di armamento atomico di Teheran, batte tutti gli screzi precedenti e mette il Pachistan in una posizione con una forte connotazione negativa, che appare sempre più una vera e propria scelta di campo. Se questa è la strada intrapresa da Islamabad, per gli USA si tratterà di rivedere i propri piani nella guerra afghana, in particolare, e nella lotta al terrorismo islamico in generale. Senza più essere l'alleato ritenuto di importanza strategica fondamentale, il Pachistan può diventare apertamente nemico degli Stati Uniti, dai quali riceve ancora sostanziosi finanziamenti? La questione non è irrilevante, anzi, se il Pakistan sceglie, nonostante lo sfoggio continuo di atteggiamenti più che ambigui, di passare dalla parte di campo opposta agli USA può incorrere in una serie di rappresaglie che possono arrivare fino al vero e proprio scontro armato. Le truppe USA sono già al confine, impegnate nella guerra afghana ed hanno più volte sconfinato in territorio pachistano proprio per mancanza di fiducia nel governo di Islamabad. L'avere fornito aiuto all'Iran, proprio sulla questione dell'arma atomica non può che apparire come una aperta provocazione verso Washington, che rappresenta il culmine del deterioramento del rapporto tra i due stati. Difficile che lo strappo venga ricucito, ma ciò apre la strada a nuovi scenari e nuovi equilibri nella lotta la terrorismo, che potrebbero determinare l'entrata in campo di nuovi soggetti finora rimasti ai margini del campo. Se per l'Iran non si tratta di un vero e proprio ingresso, perchè ha sempre agito dietro le linee fornendo aiuti materiali e finanziari al terrorismo islamico, più difficile capire l'atteggiamento della Cina, che entrando nel mercato pachistano, non può limitarsi alla solita dottrina che contraddistingue la sua politica degli esteri e che è, sostanzialmente quella di non ingerirsi negli affari interni di un paese. Per ora, grazie alla forte repressione interna il fenomeno fondamentalista islamico è rimasto circoscritto nei confini cinesi, ma se Islamabad dovesse schierarsi apertamente con Teheran, nessuno sarebbe al sicuro dal contagio a macchia d'olio che potrebbe svilupparsi. Una alleanza tra Iran e Pakistan potrebbe significare anche la ulteriore radicalizzazione della visione islamica in senso estremista, uno sviluppo ancora più pericoloso sotto tutti i punti di vista per i rapporti con e tra gli stati islamici, anche quelli più moderati.

martedì 8 novembre 2011

Iran: quello che il rapporto AIEA può provocare

Intorno all'atteso rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), ruotano questioni vitali per la stabilità mondiale. Se, come sembra verrà affermato, l'Iran sarà considerato in grado di costruire la bomba atomica, cosa per altro smentita da Teheran, si andranno a creare situazioni particolarmente pericolose, specialmente ricordando l'esperienza immediatamente antecedente alla dichiarazione della guerra all'Iraq, proprio per il motivo della possibile presenza, poi smentita, di armamenti nucleari. Ad aggravare il clima di tensione la notizia della presenza di tecnici nordcoreani e pachistani, che avrebbero collaborato con l'Iran, fornendo la propria conoscenza, per la costruzione dell'ordigno nucleare. Tuttavia il timore è che il rapporto si basi su conclusioni deduttive e non accertate, risultanti anche dal comportamento non chiaro del governo iraniano verso i tecnici dell'AIEA. Ma per Israele ciò sarebbe sufficiente per alimentare lo stato di crescente preoccupazione presente nel paese e che potrebbe essere la causa di una risposta armata preventiva contro Teheran. Per l'AIEA si tratta di una grossa responsabilità giacchè quello che verrà scritto sul suo rapporto potrebbe causare un conflitto ben più pericoloso di quello iraqeno, ma anche presentando una relazione veritiera, che esprima e tenga conto di tutte le difficoltà di una analisi completa e certa, può rappresentare il pericolo di una strumentalizzazione di quanto esposto, sia da una parte che dall'altra. Malgrado le pressioni di Israele, che ben difficilmente vorrà attaccare obiettivi iraniani senza l'approvazione americana, la tendenza del governo di Obama è quella di puntare ancora sulla via diplomatica, lasciando la soluzione armata come ultima opzione percorribile. Una possibile strada è quella di esercitare ancora maggiore pressione tramite l'utilizzo di sanzioni internazionali mediante il coinvolgimento ulteriore di nuovi stati. Il pensiero dell'amministrazione di Washington è che le sanzioni fin qui praticate siano state troppo blande e non abbiano sortito gli effetti per cui sono state dichiarate, quindi non è stato lo strumento ad essere inefficace ma le modalità di applicazione che non hanno saputo creare una difficoltà economica oggettiva al regime iraniano. A differenza della lettura israeliana del rapporto AIEA, secondo gli USA l'interpretazione corretta deve essere in grado di coinvolgere Russia e Cina nell'adesione alle sanzioni contro l'Iran, per sanzionare la Repubblica islamica ad una condanna più estesa, proprio da parte di quei paesi, come appunto Mosca e Pechino, che hanno maggiori legami economici con Teheran. La tattica di Obama è chiara, anche se vista in ottica dell'imminente campagna elettorale delle presidenziali americane. Il Presidente uscente vuole continuare ad essere accreditato come il soggetto che ha cambiato la tattica fondamentale della politica estera USA, prediligendo il dialogo alle prove di forza, tuttavia per gran parte dell'elettorato questo atteggiamento potrebbe essere visto come segnale di debolezza nei confronti di un nemico storico degli Stati Uniti.

La Merkel ed i cambiamenti del movimento conservatore

La cancelliera tedesca Merkel prevede un decennio per ristabilire la situazione economica mondiale. Un decennio che sarà ricco di sacrifici per riequilibrare la politica finanziaria degli stati, dove, da chi più, da chi meno, è stata abusata la leva del debito a fronte di minori entrate. La politica finanziaria delle nazioni incentrata sull'accumulo del debito pubblico è arrivata alla fine, soltanto il contenimento della spesa pubblica si può evitare il dissesto finanziario. Sembra una ovvietà ma non la è. Mettere dei freni certi e sicuri, fissati con modalità condivise a livello sovrastatale è ormai l'unica strada per combattere la crisi, anche a costo di andare contro quelle ovvie tendenze, espresse dai movimenti nazionalistici e localistici, insieme in una inedita alleanza, che vedono questi provvedimenti come una invasione della sovranità nazionale. Ciò è tanto più valido per l'Europa, che si è dotata di una una unione, appunto sovranazionale, ma non solo. Nell'insieme globale di economia e finanza certe regole devono essere recepite da tutti gli attori presenti sulla scena, meglio ancora se controllati ed assistiti da istituzioni terze. Ecco allora che il ruolo di una istituzione di governo e garanzia dell'economia mondiale si rende sempre più necessario, per evitare crolli pericolosi che vadano a riverberarsi su stati e soggetti più sani. Il momento impone una cura drastica ma nel futuro sarà sempre più indispensabile prevenire e su questa modalità non pochi saranno gli scontri alimentati da quei soggetti tesi ad arricchirsi con la speculazione e l'emissione di titoli tossici nel sistema. Per fare questo occorre agire sulle banche, che sono gli attori in prima linea nel processo e sono spesso state protagonisti negativi, tuttavia il loro ruolo è irrinunciabile, secondo la Merkel, per l'economia, giacchè senza credito si crea disoccupazione e alterazione degli equilibri sociali. Quello che va rivisto è il meccanismo perverso dal quale gli istituti bancari traggono il loro guadagno, mentre ne va esaltato il ruolo sociale, che non deve esaurirsi in vistose sponsorizzazioni di eventi, ma deve essere interpretato in maniera etica in modo da assicurare il giusto guadagno all'istituto contemporaneamente al favorire lo sviluppo armonico dell'economia, sia a livello locale che globale. La cancelliera Merkel, in sostanza partendo da posizioni di destra, seppure una destra moderna e tutt'altro che populista e classista, sfonda a sinistra con temi cari a partiti e movimenti che dovrebbe avversare. Uno per tutti l'introduzione del salario minimo garantito. Questo significa una presa d'atto, ulteriore nel mondo della politica, del fallimento delle teorie liberiste, che contrastavano qualunque forma di controllo sul mercato, portandoci al tragico punto in cui siamo. Ma significa anche l'elaborazione di nuovi concetti all'interno del movimento conservatore capace di fare maggiore tendenza nel mondo: quello tedesco. La necessità di una condivisione dei costi della crisi in maniera proporzionale va in quel senso e sottintende ad una revisione quasi completa dei caposaldi economici dei partiti conservatori che sapranno avere l'adeguata apertura mondiale. Ciò non può che essere letto in maniera positiva per la totalità del confronto politico perchè allarga di gran lunga, rispetto ad ora, il terrreno di incontro sul quale sviluppare e prendere le decisioni che condizioneranno il futuro. D'altronde ad aprire questa strada è stato un altro tedesco illustre: Benedetto XVI, che ha condannato apertamente i guasti del liberismo economico.

lunedì 7 novembre 2011

Türkei diplomatische Drehscheibe zwischen Afghanistan und Pakistan

Es gibt zwei sich ergänzende Bedürfnisse, die Herzen der afghanischen Friedensprozess in Richtung Istanbul zu bewegen.
Auf der einen Seite, als der wachsende Bedarf der Vereinigten Staaten, um aus einer Situation befreien reif für so viele Männer und Mittel einsetzen, sowohl für die eigentliche Wirklichkeit Aghani Themen, sowohl aus Gründen der nationalen amerikanischen Politik. Auf der anderen Seite steht die zunehmende Sichtbarkeit und Bedeutung der Forschung, vor allem regional, sondern auch auf höherer Ebene, der Türkei, die sich selbst als der Prinz in Person zu etablieren sucht. Für die USA, von denen die Türkei ist ein treuer Verbündeter und mit wem die Beziehungen ausgezeichnet sind, ist die Lösung eine Art Delegation nach Istanbul, um für eine Verhandlungslösung in dem schwierigen Prozess des Wiederaufbaus in Afghanistan zu suchen. Der Eingang zu dem diplomatischen Parkett afhana die Frage nach der Türkei, in offizieller Weise, nach einer U-Bahn-Aktivität, die Istanbul nicht für einige Zeit verschmäht, aber jetzt hat fast die Bedeutung von einer Stiftung aus Washington. Der türkische Außenminister Ahmet Davutoglu, in der Tat ausdrücklich zu definieren “Process of Istanbul”, der Gipfel, die durch so viele wie 29 Ländern Anfang November besucht war und versucht hat, Maßnahmen, die das Vertrauen in die Region wiederherstellen können identifizieren. Die USA werden über die Rolle von Istanbul als eines der führenden Länder in der Region, eine Position, dass die türkische Regierung ist es gelungen, eine kluge Politik zu schnitzen, und auch in gewissem Sinne, gezwungen durch die Unfähigkeit der Europäischen Union beitreten zu verlassen. Der Blick nach Osten war nicht eine Wahl, die schließlich als erfolgreich erwiesen für Istanbul, dank mehr gemeinsam mit ihren Nachbarn. Türkei und hinter den Kulissen natürlich die Vereinigten Staaten konzentriert Zusammenarbeit mit Kabul in Fragen der Sicherheit und Zusammenarbeit in der Wirtschaft in einer Art und Weise genau die gleichen, die nicht werfen sollten Zweifel an der Verdacht der Einmischung in die inneren Angelegenheiten Afghanistans. Das Problem für die Verwirklichung dieser Ziele ist die Variable des Terrorismus und die Beziehungen zwischen Kabul und Islamabad, hinter dem sich die Schatten von Amerika, die nach Pakistan unterstellt Webstühle, nicht nur nicht genug tun an dieser Front, sondern auch einige Nachsicht mit haben radikalen Gruppen und die Taliban. Allerdings hat die türkische Präsenz im Herzen der Verhandlungen bereits positive Veränderungen mit sich gebracht, in der Tat die Schaffung eines trilateralen Ausschuss direkt aus Afghanistan, Pakistan und der Türkei auf das Attentat gegen Burhanuddin Rabbani, der Präsident des Hohen Rates für den Frieden in Afghanistan, getötet in Untersuchung einem Selbstmordanschlag in Kabul am 20. September letzten Jahres, kann bedeuten, wesentliche Fortschritte auf der Ebene des Dialogs zwischen Kabul und Islamabad. Die türkische Politik kann daher vorteilhaft sein, die Stabilität der Hand, den Betrieb ohne Entfaltung Krieg, von dem er hätte auch die militärischen Fähigkeiten, sondern vorrangig für humanitäre Hilfe und sucht dadurch zu Krediten des Landes islamischen Dialog zu gewinnen.

La Turchia fulcro diplomatico tra Afghanistan e Pakistan

Ci sono due necessità complementari che spostano il fulcro del processo di pace afghano verso Istanbul.
Da una parte la necessità sempre crescente degli Stati Uniti di sganciarsi da una situazione ritenuta matura per impiegare una tale quantità di uomini e mezzi, sia per le questioni intrinseche alla realtà aghana, sia per ragioni di politica interna americana. Dall'altra vi è la sempre maggiore ricerca di visibilità e di importanza, sopratutto regionale, ma anche a livello maggiore, della Turchia, che cerca di imporsi come soggetto principe nell'area. Per gli USA, di cui la Turchia è un fedele alleato e con cui i rapporti sono ottimi, la soluzione costituisce una sorta di delega ad Istanbul per la ricerca di una soluzione negoziale nel difficile processo della ricostruzione afghana. L'entrata nell'agone diplomatico della questione afhana della Turchia, in maniera ufficiale, segue una attività sotterranea che Istanbul non ha disdegnato da diverso tempo, ma che ora assume quasi la rilevanza di una investitura da parte di Washington. Il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu, infatti ha definito espressamente "Processo di Istanbul", il vertice a cui hanno partecipato ben 29 paesi all'inizio di Novembre e che ha cercato di individuare provvedimenti in grado di ridare fiducia alla regione. Gli USA si affidano al ruolo di Istanbul quale paese leader della regione, posizione che il governo turco ha saputo ritagliarsi con una politica avveduta ed anche, in un certo senso, obbligata dall'impossibilità di entrare nell'Unione Europea. Guardare ad oriente è stata una non scelta che, alla fine, si è rivelata vincente per Istanbul, anche grazie alle maggiori affinità con i popoli vicini. La Turchia e dietro le quinte senz'altro gli Stati Uniti incentrano la collaborazione con Kabul sulla cooperazione nei temi della sicurezza e dell'economia in una maniera assolutamente paritaria, che non deve generare dubbi su eventuali sospetti di ingerenza negli affari interni dell'Afghanistan. Il problema per raggiungere tali obiettivi è la variabile del terrorismo ed i rapporti tra Kabul ed Islamabad, dietro cui si staglia l'ombra americana, che imputa al Pakistan, non soltanto di non fare abbastanza su questo fronte, ma addirittura di avere delle connivenze con i gruppi radicali e le milizie talebane. Tuttavia la presenza turca nel cuore delle trattative ha già portato variazioni positive, infatti la creazione di una commissione trilaterale composta proprio da Afghanistan, Pakistan e Turchia per investigare sull'attentato contro Burhanuddin Rabbani, presidente dell’alto Consiglio per la pace afghano, ucciso in un attacco suicida il 20 settembre scorso a Kabul, può significare un sostanziale avanzamento sul piano del dialogo tra Kabul ed Islamabad. La politica turca può, quindi, portare benefici evidenti alla stabilità dell'area, operando senza dispiegamento bellico, di cui pure avrebbe anche le capacità militari, ma privilegiando gli aiuti umanitari e cercando in tal modo ad accreditarsi come il paese islamico del dialogo.