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mercoledì 27 marzo 2019
La rivolta algerina non è seguita dai governi stranieri come le primavere arabe
Ad alcuni anni di distanza dalle primavere arabe la situazione algerina ritorna di attualità. La rivolta popolare contro un presidente non abile al ruolo sembra interessare soltanto i mezzi di informazione ma non, almeno direttamente, i governi vicini o quelli di matrice islamica. Esiste una differenza con le rivolte del 2011, dove alcuni stati, anche per tutelare i propri interessi geopolitici, appoggiavano apertamente i manifestanti: era il caso della Turchia, che inseguiva il suo progetto di esercitare la sua influenza sui territori dell’ex impero ottomano e si appoggiava alla fede religiosa comune, come mezzo per raggiungere i suoi fini. Così come il Qatar, che voleva proporsi come alleato, con una visione moderna in aperto contrasto con le dittature che restringevano le libertà. Attualmente, sul piano internazionale, vi è una maggiore cautela ed i governi, che prima si impegnavano direttamente, manifestano una maggiore cautela. Il timore più diffuso è quello di appoggiare una rivoluzione che possa diventare di matrice religiosa, capace di portare al governo movimenti come i Fratelli musulmani, dove la connotazione religiosa appare troppo esasperata; si tratta di una paura giustificata, dato che questi movimenti sono molto radicati nelle società arabe, perchè vanno a coprire il vuoto sociale causato dalla repressione contro partiti e sindacati. Si deve anche ricordare che quando sono stati al potere in Egitto i Fratelli musulmani, pur vincendo le elezioni in maniera democratica, hanno inteso la vittoria elettorale in maniera esclusiva, non rispettando le minoranze ed imponendo la legge islamica senza alcun rispetto verso le parti laiche della società. A questo stato di cose è poi seguito il colpo di stato che ha portato al governo in Egitto i militari, facendo passare il paese dalla dittatura di Mubarak a quella religiosa, per finire con la dittatura militare. L’attuale congiuntura politica non favorisce comunque, un interessamento da parte di Ankara e Doha: per i turchi, al momento, le priorità sono altre, come la questione curda all’interno e sui propri confini, mentre il Qatar ha in corso la disputa con l’Arabia Saudita ed i suoi alleati, che hanno isolato il paese, e la scelta di mantenere un atteggiamento defilato appare come obbligatoria. Le stesse monarchie del golfo si limitano a guardare con sospetto la rivoluzione algerina per il solo timore che questa produca una deriva islamista. Al limite chi è più interessata è la Tunisia, per ragioni di vicinato e per lo scambio economico che ha con l’Algeria, ma le dimensioni del paese tunisiono sono troppo più piccole per potere influenzare Algeri. Essendo una cirisi isolata e non inserita in un movimento più vasto, come era accaduto per le primavere arabe, occorre considerare la scarsa propensione del paese algerino ad essere influenzato da enetità esterne, grazie anche alla disponibilità di materie prime energetiche, gli idrocarburi, che gli consentono un commercio redditizio con i paesi occidentali. Del resto proprio in occidente vi è molta cautela, i media seguono l’evoluzione della crisi algerina, ma i governi mantengono un profilo distaccato in attesa di una maggiore definizione degli eventi: l’appoggio incondizionato dato alle primavere arabe ha prodotto diverse delusioni, perchè non si è tenuto conto della scarsa pratica con la democrazia delle popolazioni arabe, tenute sotto regimi dittatoriali per troppo tempo, società dove le strutture sociali necessarie all’attività politica, erano state cancellate con la conseguenza della mancanza di un retroterra culturale necessario per la vita democratica. I guasti prodotti in Libia ed in Egitto hanno avuto ripercussioni sul continente europeo, anche per una scarsa coordinazione degli stati del vecchio continente occupati a rincorrere i propri interessi particolari anzichè elaborare una maniera comune capace di affrontare il problema. La prospettiva di una mancata stabilità del paese algerino potrebbe portare nuove inquietudini sulla sponda meridionale del Mediterraneo, Algeri potrebbe riprendere le ostilità con Rabat per l’egemonia nel Maghreb, ma sopratutto potrebbe diventare un’altra Libia per il traffico dei migranti mettendo in ulteriore pericolo gli assetti nell’Unione Europea. La presa di posizione dei militari contro il presidentein carica sembra assumere un ruolo di stabilizzazione del paese, sperando che ciò non comporti una involuzione come accaduto a Il Cairo.
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