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martedì 26 marzo 2019
La vittoria di Trump sulla questione russa, è anche la sconfitta dei democratici
Con la questione dell'influenza russa sulle elezioni ormai virtualmente conclusa, Trump esce da una situazione di oggettiva difficoltà, che non aveva, però, una corrispondenza nella percezione dei cittadini statunitensi. Secondo i più recenti sodaggi, infatti, soltanto il 28% degli intervistati era favorevole ad una procedura di censura contro il presidente o, peggio, l’avvio dell’impeachement; questo malgrado soltanto il 30% credesse alle ragioni di Trump, circa i suoi legami con Mosca. Anche se si tratta di una piccola parte, seppure selzionata a fini statistici, l’opinione che ne è risultata segnala come la questione dell’influenza russa sull’elezione di Trump sia un argomento che non incide sul giudizio dell’inquilino della Casa Bianca. La percezione è che gli americani siano lontani dal credere che la Russia sia effettivamente capace di influenzare gli Stati Uniti come nazione e come linea politica. In effetti gli ultimi tempi hanno segnato una distanza sempre maggiore nelle relazioni tra i due paesi, sopratutto lontano dalle aspettative dello stesso Trump e di Putin. Se, da un lato, i meccanismi previsti dal sistema politico americano dimostrano di funzionare, mantenendo una linea diplomatica sempre distante da Mosca, dall’altro lato la sensazione che vi sia una assenza di necessità di avere un presidente lontano da ogni dubbio sulla sua elezione, dimostra come gli americani siano condizionati da una visione lontana dagli affari politici, i quali sembra siano sostituiti da un senso di maggiore pragmaticità verso gli aspetti pratici della vita. Risulta essere significativo che il gradimento attuale di Trump si attesti sul valore del 39%, certamente lontano, ma non troppo dal 47% sul quale si attestava Obama nello stesso momento della sua presidenza. Occorre considerare i tanti elementi negativi, sopratutto di immagine, che hanno contraddistinto, fino a questo momento la presidenza Trump: un presidente che ha seriamente rischiato di essere inquisito e che è ancora seguito con molta attenzione critica dai media americani, proprio per i sospetti di avere mentito sui legami con la Russia durante la coampagna elettorale, argomento non certo esaurito con l’indagine della procura. Tuttavia il dato della fiducia a Trump, se si collega al sondaggio che ha espresso il 70% dei dati nella mancata fiducia delle ragioni del presidente, mette in evidenza anche che il paese americano non è solo pragmatico, ma anche sconnesso con la realtà politica, vi è, cioè, una discrepanza tra fiducia nelle isituzioni, che dovrebbe essere pretesa, e comportamento reale. Se si prende atto di questo fatto, si deve ragionare come la questione russa sia diventata avulsa al pubblico americano e, quindi, le strategie dei democratici possano essere controproducenti. Ma il problema non riguarda soltanto la sfera interna del paese statunitense: la prima potenza mondiale del pianeta ha evidenziato una debolezza intrinseca, che soltanto i meccanismi istituzionali hanno, in parte, protetto. L’elezione di Trump, che si sia verificata sotto l’influenza del Cremlino o no, ha alterato il panorama della politica internazionale in generale e di quella occidentale in particolare. L’attualità presenta il caso di Israele per il quale Trump sancisce la sovranità su il Golan: un atto contrario a qualsiasi prassi di diplomazia, ma che non è il primo e non sarà l’ultimo. Il presidente americano rappresenta una variabile sullo scacchiere internazionale, che non è sempre prevedbile e chi sperava in una sua messa in stato d’accusa deve rinunciare a questa possibilità, primi fra tutti i democratici, che devono concentrarsi su temi con una visuale più ampia ed uscire dalla logica legata alle vicende russe, per avere un orizzonte in grado di convincere una platea elettorale tutt’altro che sintonizzata sulle ragioni contro Trump. Se su di una parte dell’elettorato l’avversione a Trump è un aspetto vincente, ciò non basterà per scalzare il presidente in carica dalla sua attuale posizione nelle prossime elezioni. Ciò rivela l’esigenza di una strategia nuova, che potrà essere di rottura con candidature come Sanders o di continuità, ma niente dovrà essere dato per scontato.
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