Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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sabato 12 febbraio 2011
L'economia causa scatenante delle rivoluzioni?
Anche in Bolivia, paese non sottoposto a dittatura, il popolo protesta nelle strade, la causa è l'aumento del costo della vita e del trasporto pubblico. La protesta ha sorpreso l'opinione pubblica perchè se è vero che gli aumenti sono consistenti, il presidente Morales ha sempre riscosso un buon apprezzamento nel paese, ma ora si trova ad affrontare la prima vera crisi con la sua popolazione. Il fattore economicoè sempre più la causa scatenante delle rivolte popolari sia che lo stato sia una dittatura che una democrazia. In nord africa la popolazione ha sopportato anni di dittatura ma per arrivare a ribellarsi sono dovute intervenire cause di tipo economico. La recessione, si può dire, che ha avutoun effetto rivoluzionario facendo oltrepassare la misura della sopportazione. Può esistere un effetto domino di reazione alla congiutura economica giunta alla mancata capacità di gestione della crisi da parte dei governi anche in paesi dove non vigono regimi dittatoriali? Ci può essere una ribellione, anche non in forme violente, nei paesi più ricchi ma che comunque patiscono una crisi economica anche per ripartizioni del reddito poco eque? La questione non è di poco conto, la stabilità politica è ormai un elemento assodato nelle analisi economiche e d'altronde le crisi creano impasse economici di portata rilevante, ad esempio per l'Egitto si è parlato di una perdita di 10 milioni di euro al giorno. Tuttavia azzardando una previsione i paesi che appaiono a maggiore rischio sono quelli dove i beni primari costituiscono la base essenziale del consumo: un aumento consistente determina erosione di una parte del reddito. Sono nazioni che sono rimaste in mezzo al guado dello sviluppo o che soffrono di endemiche situazioni di difficoltà. L'occidente per il momento, nonostante un abbassamento del tenore di vita generalizzato è ancora dotato di strumenti e riserve che consentono di mantenere a livello di guardia il controllo dello scontento. In realtà la condizione economica è si causa scatenante delle rivolte ma da sola non basta, la situazione politica e del trattamento dei diritti è il vero retroterra delle rivoluzioni specialmente nel mondo globalizzato che gode di accesso alle informazioni.
Il cotone esempio di risorsa che scarseggia
Il cotone raggiunge il record del prezzo dal 1860, il periodo della guerra civile americana. Gli USA sono il maggiore esportatore di cotone del pianeta ed hanno venduto l'intero raccolto dello scorso anno, intaccando le scorte. L'aumento del prezzo del cotone è salito del 150% dall'inizio del 2010 in concomitanza con la ripresa della domanda per il tessile. Le cause dell'aumento del prezzo non sono di natura metereologica ma è dovuto essenzialmente a due fattori: le restrizioni indiane all'export e la elevata domanda proveniente dal mercato cines La disponibilità di valuta di Pechino non ferma la corsa all'acquisto nonostante il prezzo elevato per mantenere alto il livello di produzione, ciò andrà sicuramente ad incidere sui prezzi finali dei prodotti finali contribuendo ad innalzare il fenomeno inflattivo. L'esempio del cotone e della sua filiera è l'ennesima prova della trasformazione del mercato mondiale con l'immissione dei mercati emergenti sui beni di consumo. La reazione del sistema mondiale della produzione e del consumo non è stato di autoregolamentazione, nonostante l'ingresso di nuovi soggetti produttori e l'allargamento del numero dei consumatori la risposta a livello mondo non è stata elastica, è rimasta sostanzialmente ancorata a prassi e metodi anteriori allo stravolgimento mondiale, senza razionalizzare le materie prime e costruire un sistema di consumi sostenibile e condiviso. E' chiaro che i paesi in via di sviluppo non possono gradire ne condividere una soluzione del genere perchè si sono affacciati al largo consumo da poco tempo, tuttavia le materie prime, non solo il cotone, non sono infinite e ripensare la catena produttiva e di consumo non è più procrastinabile. Ricercare e praticare una soluzione a livello generale è molto difficile però bisogna conciliare le esigenze del pianeta con quelle dei produttori, dei consumatori e del ciclo economico generale; le variabili in gioco sono diverse e difficilmente conciliabili, tuttavia è urgente razionalizzare le risorse ripensando a livello globale i tempi ed i modi della produzione: sarà la sfida decisiva per la vivibilità del pianeta e per la sua sostenibilità.
venerdì 11 febbraio 2011
Iran e crisi nordafricane
Per il trentaduesimo anniversario della rivoluzione khomeinista, Ahmadineyad ha arringato una folla numerosa riunitasi per festeggiare l'avvenimento. Il nucleo centrale e di maggior rilevanza politica del capo del governo di Teheran è stato incentrato sulle rivoluzioni che stanno avvenendo in Nord Africa. Ahmadineyad ha paragonato le rivoluzioni in atto a quello avvenuto nel 1979 in Iran, con il rovesciamento di un dittatore, lo Scià di Persia, appoggiato dagli USA ad opera di un movimento teocratico. L'augurio del dittatore iraniano è stato che i popoli nordafricani possano decidere del loro futuro, meglio se va nella direzione della costruzione di stati islamici, senza influenze occidentali in special modo di USA ed Israele. Il discorso è proseguito con la glorificazione della lotta iraniana contro l'ingiustizia mondiale perpetrata da USA e sionisti. Al di là delle dichiarazioni di facciata che incedono con un ritmo da disco rotto, l'intenzione degli iraniani è di trarre un vantaggio politico nella regione nordafricana, dove conta sugli eventi in atto affinchè l'influenza americana ne esca diminuita. Quello che teme l'occidente sarebbe una vittoria per l'Iran, l'Egitto è stato fino ad ora il maggior paese arabo a relazionarsi con Israele e le relazioni sono tuttora ottime, inoltre essendo confinante con Tel Aviv ha permesso ad Israele di avere una linea di confine sicura, di cui non occuparsi in senso militare. Se questa situazione venisse capovolta Israele potrebbe avere una repubblica islamica al confine con l'Iran come alleato. In definitiva è questo che Ahmadineyad si augura ed auspica, ma una cosa sono le dichiarazioni nel giorno di festa nazionale un'altra è la realtà, seppure gli sviluppi sono incerti pare difficile che il quadro finale vada nella direzione che preferisce Teheran, troppo importante la stabilità della regione, troppo strategica la posizione dell'Egitto sullo scacchiere mondiale. Tuttavia non è credibile che Teheran si limiti alle dichiarazioni, intanto il discorso non è stato fatto solo per gli iraniani, è indirizzato a tutti i potenziali fautori della creazione di una repubblica islamica presenti nel Nord Africa ed è stato fatto con lo scopo di riscaldare gli animi in un momento particolarmente delicato, inoltre intende minacciare USA ed Israele manifestando apertamente l'interesse per la partita. L'ingerenza iraniana risulta oltremodo pericolosa se collegata a tutte le minacce proclamate contro Tel Aviv ed il concreto pericolo di uno scoppio bellico tra i due paesi. Innervosire ora Israele significa avvicinarsi pericolosamente con una torcia accesa ad una polveriera. Già nei mesi scorsi l'esercito israeliano insieme a quello statunitense hanno aumentato l'armamento, anche pesante, lungo le frontiere israeliane, ed è risaputo che un'opzione contemplata come possibile dallo stato maggiore di Tel Aviv è l'attacco militare diretto contro l'Iran mediante bombardamenti aerei, in prima istanza acui seguirebbero operazioni di terra. Potrebbe essere un'escalation dagli esiti imprevedibili che la risoluzione della crisi egiziana potrebbe indirizzare in un senso o nell'altro.
Pirateria somala: problema per il petrolio del mondo
L'associazione dei proprietari di petroliere Intertanko denuncia il grave pericolo presente sulle rotte del greggio, che oltre a mettere a rischio equipaggi, navi e carico, può compromettere l'economia occidentale ed in special modo quella degli USA per la mancata consegna del petrolio. Davanti alle coste somale transita più dell 40% del fabbisogno di greggio per l'intero pianeta ed il valore di ogni singolo carico varia dai 130 ai 150 milioni di euro; i riscatti vengono fissati nella misura anche di 6-7 milioni di euro. Sono cifre enormi che vanno motiplicate per la somma dei rapimenti, molti dei quali non vengono denunciati per accelerare le procedure di rilascio. La questione della pirateria somala va analizzata sotto diverse luci, prima fra tutte sotto il profilo della capacità organizzativa che comprende un dispiegamento di mezzi e di uomini non indifferente, che a monte deve per forza di cose, avere una potenza articolata su più livelli. Sicuramente è dotata di una intelligence efficiente che fa uso di strumenti all'avanguardia e gode di una rete di informatori molto specializzata sui movimenti navali. La situazione somala, cioè dello stato Somalia, è il fattore più favorevole alla pirateria giacchè la forte instabilità dell'istituzione statale permette di creare vuoti di potere in ampie porzioni del territorio dove vanno ad insediarsi le basi fisiche dei sequestratori di petroliere. Sull'elemento territoriale ed istituzionale va ad inseririsi l'elemento religioso che si caratterizza per l'elevato grado di integralismo, a questo proposito va ricordato che la Somalia nel periodo 2004-06 è stata governata dalle Corti Islamiche, formazioni di estremisti religiosi finanziati da Iran e Libia, che, pur sconfitte dall'intervento etiope nel 2007, hanno mantenuto importante influenza sul tessuto sociale del paese. La capacità organizzativa della pirateria somala parte probabilmente anche dai finanziamenti ricevuti dalle corti islamiche ed è certamente possibile che ne sia una sua emanazione. In relazione a questo la pirateria diretta contro le petroliere può essere concretamente inquadrata al di fuori di un mero fenomeno criminale, ma si può leggere anche in una strategia terroristica contro l'occidente, coniugando l'aspetto della resa economica con l'atto contrario al nemico dell'islam. Se il fenomeno, che come si è visto ha già una dimensione considerevole, dovesse aumentare la possibilità di conseguenti fenomeni inflattivi, dovuti al blocco ed al rallentamento del trasporto del greggio, potrebbe avere effetti deleteri sull'economia occidentale. D'altra parte praticare rotte alternative o che prevedano una navigazione d'alto bordo, anzichè quella attuale che rasenta le coste somale, determinerebbe comunque un aggravio consistente al costo del trasporto con il conseguente innalzamento del prezzo del greggio. La questione deve essere risolta con mezzi militari di contrasto e sopratutto con un'azione coordinata e condivisa, la presenza costante delle navi militari risolve soltanto la situazione contingente ma non mette la parola fine al fenomeno. Senza un intervento militare delle Nazioni Unite sul terreno somalo, dove si trovano le basi, la pirateria non è battibile.
giovedì 10 febbraio 2011
Scende la produzione del grano: mondo in allarme
La grande siccità cinese, giunte agli incendi avvenuti nella scorsa estate e le inondazioni in Australia possono determinare un grande pericolo per il mondo intero: l'aumento del prezzo del grano. La produzione cinese è la prima mondiale ed è per soddisfare l'immenso mercato interno, ed è pari al doppio della produzione americana e russa. Non potere soddisfare un mercato così grande determinerà per la Cina la necessità di rivolgersi al mercato estero che, giocoforza dovrà aumentare il prezzo per le concomitanti ragioni ambientali che ne hanno ridotto la produzione. Non che la cosa preoccupi la Cina dotata di risorse valutarie enormi capaci di soddisfare qualunque richiesta, ma le ripercussioni saranno rilevanti sia per i paesi ricchi, che vedranno aumentare l'inflazione per tutti i prodotti collegati alla materia prima e che sono una parte del paniere alimentare della loro dieta, sia per i paesi poveri che non avranno le risorse finanziarie per potere acquistare quantitativi soddisfacenti per le loro esigenze; in questo caso si va incontro ad un pericolo concreto di nuove carestie e nelle migliori ipotesi ad un aumento di casi di malnutrizione con tutti gli annessi collegati. La FAO giustamente lancia l'allarme, di cui, oltre alle implicazioni umanitarie devono considerarsi anche quelle politiche che potrebbero derivare sia dal pericolo delle carestie che dal pericolo dell'inflazione. Tuttavia alcuni analisti gettano acqua sul fuoco, la Cina dispone di grandi riserve di grano, che se gettate sul mercato interno avrebbero la funzione di calmierare i prezzi anche in ambito internazionale. La questione è comunque spinosa, gli effetti del clima stanno sempre più influenzando l'andamento della produzione agricola, mentre alcuni stati, specialmente alcuni dei più importanti in via di sviluppo, continuano a restare sulle loro posizioni circa l'inquinamento derivante dalle emissioni gassose. L'attenzione della diplomazia internazionale, specie quella appartenente alle organizzazioni sovranazionali deve maggiormente focalizzarsi su criteri ed obiettivi che riguardano lo sviluppo sostenibile creando forme di compensazione condivise per gli stati che si adoperano per la riduzione dell'inquinamento.
L'interruzione dei negoziati militari coreani
Blocco ai negoziati militari tra le due Coree; i rappresentanti della parte Nord del paese abbandonano il tavolo delle trattative accusando la Corea del Sud di non volere realmente il miglioramento delle relazioni. I negoziati militari parevano aprire uno spiraglio per la definizione positiva degli incidenti bellici e diplomatici, chiudendo la pericolosa vertenza. Seul ha di fatto bloccato il negoziato con la richiesta che il Nord riconosca la propria responsabilità circa gli attacchi militari che hanno determinato la morte di 50 civili sudcoreani oltra all'affondamento di una corvetta. Pyongyang rifiuta di ammettere la propria responsabilità restando ancorata al fatto che l'incidente è stato dovuto allo sconfinamento dei sudcoreani. Dopo un periodo di tensione diplomatica le acque parevano essersi calmate e questi negoziati militari parevano di buon auspicio, ora l'interruzione pone il problema di ripartire da zero. Il pericolo è che dopo un periodo di relativa calma la tensione torni a salire nella regione creando un nuovo focolaio di tensione nello scenario internazionale in un'area dove è presente il pericolo atomico. Forse proprio per scongiurare questa situazione un inviato sudcoreano per la questione nucleare è da oggi a Pechino per colloqui con il governo cinese sulle problematiche della penisola coreana.
mercoledì 9 febbraio 2011
USA: il Patriot Act è decaduto
Gli USA provano a lasciarsi alle spalle l'11 settembre.; la camera dei rappresentanti ha respinto un provvedimento che prorogava la scadenza del Patriot Act, legge promulgata dall'amministrazione Bush dopo l'attentato alle torri gemelle. La disposizione legale conferiva poteri eccezionali alle forze di sicurezza e di intelligence e violava la privacy dei cittadini consentendo intercettazioni e controlli senza le necessarie autorizzazioni inoltre consentiva l'accesso alle banche dati delle aziende. La Casa Bianca sperava di potere estendere il provvedimento fino al 2013 per rendere ancora più efficace la lotta al terrorismo, tuttavia nello spirito della politica di Obama aveva dichiarato anticipatamente di non opporsi ad ogni decisione presa dall'aula. La decisione è maturata in uno spirito bipartisan grazie al voto sia di democratici che di repubblicani. Proprio per questa ragione pare evidente l'intenzione degli americani di voltare pagina e di provare a distaccarsi dal regime della paura instaurato dall'11 settembre. Può, cioè, aprirsi un'epoca nuova inaugurata proprio dalla decisione della Camera dei Rappresentanti, dove si può ridiscutere tutta la politica estera americana e l'impegno militare che hanno contraddistinto il decennio scorso. E' chiaro che il processo non sarà rapido ma la direzione imboccata sembra proprio questa, del resto già precedentemente la politica di Obama, all'azione militare ha affiancato in maniera consistente politiche di sostegno e cooperazione capaci di coinvolgere la popolazione di quei paesi dove l'esercito USA opera. Già questo consisteva in una sterzata significativa alla mera operatività bellica. Inoltre il rafforzamento e potenziamento dei sistemi di intelligence a discapito del minor uso della forza ha di fatto già indicato la preferenza per una azione preventiva piuttosto che successiva della gestione delle emergenze problematiche. La riorganizzazione della visione del modo dell'affrontare i problemi, che appare non meno lungimirante, in definitiva aveva già messo le basi per la soluzione adottata dalla Camera: la nuova consapevolezza degli USA non poteva non tenere conto delle istanze provenienti dai bisogni del popolo americano.
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