Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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martedì 8 marzo 2011
L'evoluzione della crisi libica: stato attuale e scenari futuri
L'istituzione di una zona di non volo implica una azione militare preventiva, per distruggere le installazioni contraeree, ed una azione militare successiva di controllo, con l'uso eventuale della forza per sanzionare possibili infrazioni. L'impiego principale prevede l'arma aerea, ma è possibile nella fase preventiva anche l'impiego di forze terrestri. Obama ha affermato che se continueranno i bombardamenti la conseguenza più logica sarà proprio l'istituzione della zona di non volo, tuttavia questa azione dovrà essere coperta dall'ombrello dell'ONU, che, mediante un suo mandato, dovrà garantire il mandato ufficiale ai mezzi della NATO per operare. Ad una risoluzione in tal senso stanno lavorando le diplomazie di Regno Unito, Francia e Spagna. Ma l'unanimità del consiglio permanente difficilmente sarà raggiunta, infatti il ministro degli esteri russo ha già annunciato la sua contrarietà, in nome del prinicipio di non intervento sugli affari interni di ogni singola nazione, che regge l'impalcatura della politica estera di Mosca. A questo parere negativo si dovrà probabilmente aggiungere anche quello di Pechino, che sulla politica estera si ispira allo stesso principio della Russia. Quindi la strada dell'ONU per un possibile inmtervento in Libia, al momento pare difficilmente praticabile. Però la Lega Araba ha pubblicamente chiesto ad Obama un intervento armato che fermi la carneficina libica. La richiesta viene da una parte molto autorevole, che permette di superare, almeno sulla carta, le titubanze americane per un intervento in zona araba, ma al momento non pare convincere del tutto l'amministrazione americana, che teme di restare impantanata in un terzo teatro di conflitto (dopo Iraq ed Afghanistan). Dietro la richiesta della Lega Araba, oltre le dichiarate ragioni umanitarie, esistono consistenti regioni economiche, dettate dall'aumento del greggio, dovuto alla crisi libica, i grandi produttori, primo tra tutti l'Arabia Saudita, non hanno interesse ad un innalzamento del prezzo al barile, che rischia di innescare un pericoloso fenomeno inflattivo, che mette in pericolo la filiera dell'economia petrolifera, motore economico dei paesi arabi. C'è poi la posizione dell'Unione Africana, che pare orientarsi ad affiancare la richiesta della Lega Araba, per ragioni tutto sommato analoghe. Frattanto Gheddafi continua nella strategia del doppio binario, uso della forza interno e diplomazia sui generis verso l'esterno. Su questo secondo aspetto filtrano anche voci di una possibile negoziazione della resa da parte del rais alle condizioni di non essere sottoposto ad alcun processo, ne in Libia, ne all'estero e salvacondotti sia politici che economici per la sua famiglia ed il suo entourage. La richiesta però pare essere stata rifiutata dai ribelli, che intravedono concrete possbilità di vittoria. Se dall'ONU non ci sarà lo sblocco auspicato da USA, Gran Bretagna, Francia, Spagna, la NATO potrà sempre, in caso di decisione affermativa sull'intervento, aderire alla richiesta della Lega Araba e probabilmente dell'Unione Africana, anche se in questo caso potrebbe aprirsi un apericolosa spaccatura in seno al Consiglio permanente delle Nazioni Unite.
lunedì 7 marzo 2011
Per l'AIEA i casi di Iran e Siria
L'instabilità politica attuale determina grande importanza per la prossima riunione dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Sul tavolo i dossier relativi ad Iran e Siria, casi particolarmente spinosi se analizzati da soli, ma ancor più problematici alla luce dell'evoluzione dello scenario internazionale attuale. In circa otto anni non è stato ancora possibile stabilire se l'arricchimento dell'uranio di Teheran è per fini civili o militari, alcuni analisti ritengono ancora improbabile che l'Iran sia giunto al livello tecnologico che consenta di costruire l'ordigno atomico, tuttavia il mutato scenario internazionale impone una verifica che dia certezza al mondo intero. Le ripetute minacce allo stato di Israele, che hanno fatto più volte temere il peggio, costituiscono una ragione in più per accelerare la conoscenza della verità. L'AIEA, richiederà all'Iran una maggiore cooperazione per accertare la verità dello stato dell'arte. Se possibile ancora più difficile la situazione della Siria, che da anni rifiuta le ispezioni dell'agenzia, specie in quei siti che costituiscono ragione di sospetto. La particolare vicinanza con il Libano e con Israele, impone una certa cautela, ma anche qui una certa solerzia, anche per la richiesta anche dagli USA, che ha formalizzato tale domanda mediante le richiesta ufficiale proveninente da 25 deputati americani. Per la Siria si prospetta una richiesta ufficiale di ispezione speciale.
Israele e la necessità di uno stato palestinese
Israele prova ad accelerare il processo di pace con l'ANP per arrivare al più presto ad una soluzione. Nel contesto generale delle sollevazioni dei paesi arabi per Tel Aviv sono venute meno certezze storiche, che permettevano una diversa gestione del rapporto con i palestinesi. Mutati gli equilibri ed in assenza di quale direzioni prenderanno i nuovi governi, la necessità per Israele di definire al più presto la questione palestinese è diventata improcrastinabile. Netanyahu punta alla costruzione di uno stato palestinese, seppur inizialmente con frontiere mobili ancora da definire, che fissi un punto fermo sulla buona volontà israeliana. La nascita e la definizione di uno stato autonomo Palestinese è vista come strumento essenziale sul quale puntare, per limitare le possibili tensioni con i nuovi governi arabi, riconoscere lo stato palestinese significherà presentare lo stato della stella di David sotto una nuova luce per impostare le relazioni diplomatiche sotto un profilo nuovo o mantenere quelli favorevoli come in precedenza, vedi l'Egitto. Il principale ostacolo a questa politica è la posizione di Hamas, che non riconosce la politica israeliana e vede negli sviluppi delle rivoluzioni arabe un fattore a suo favore; ciò potrebbe determinare una tattica attendista da parte di Hamas che andrebbe a concretizzarsi con un temporeggiamento attuato tramite la sollevazione di eccezioni o richieste non esaudibili da Israele. E' una guerra diplomatica di posizione, dove però a differenza del passato, il tempo gioca a favore dei palestinesi. Israele deve mettere a segno almeno un risultato in tempi brevi, prima che sia circondato da governi potenzialmente ostili, da mettere sul tavolo di possibili futuri negoziati o problemi diversi ma insorgenti. Inoltre, la pressione USA, per una soluzione, almeno abbozzata si è fatta certamente più pesante. Israele non può ignorare le richieste USA, specialmente dopo la presa di posizione di Obama in suo favore, come recentemente accaduto. Per gli estremisti palestinesi, però la fretta di Tel Aviv può essere un alleato come non ha mai avuto e che potrebbe permettergli di strappare condizioni positive comemai successo prima.
Gheddafi, le strategie e gli sviluppi
La strategia di Gheddafi si articola su due fronti: quello interno e quello internazionale. Sul fronte interno continua la guerriglia contro i ribelli usando le truppe mercenarie e fiaccando il popolo con violenza inusitata. Il regime del terrore imposto ai civili, anche a chi non si ribellato, significa operare la tattica della terra bruciata contro gli oppositori, scoraggiando con ritorsioni pesanti e preventive chi può ancora passare con il nemico. Per ora non si segnalano usi di armi chimiche, che il regime aveva sicuramente prima del 2003 e che doveva smaltire entro quella data. Gli scarsi controlli effettuati dalle organizzazioni internazionali preposte non permettono di affermare che lo smaltimento totale sia stato effettuato, tuttavia per ora il livello dello scontro si è mantenuto con l'impiego di armi convenzionali. Se Gheddafi non ha ancora impiegato armamenti chimici può volere dire due cose: o che lo smaltimento è stato effettuato oppure che le sorti del conflitto non sono poi così negative al dittatore, che se intende procedere con l'impiego delle armi convenzionali, intravede possibilità di successo. Sul piano internazionale Gheddafi alterna minacce all'Europa, che paiono però verosimili (immigrazione di massa, Al Qaeda), con rivendicazioni di non ingerenza (sopratutto verso Francia e Regno Unito) non riconoscendo però la natura non democratica del suo regime. Frattanto una nave militare italiana ha attraccato a Bengasi per portare aiuti umanitari nella capitale dei ribelli, che richiedono con forza l'aiuto internazionale anche in forma militare. I prossimi giorni potrebbero vedere combattimenti sanguinosi per l'obiettivo della Sirte, il golfo dove arrivano gli oleodotti, obiettivo strategico sia per Gheddafi che per i ribelli, la chiave energetica che può dare la svolta alla guerra.
domenica 6 marzo 2011
Libia: la divisione tribale ed il pericolo Somalia
Con il passare dei giorni e delle ore il conflitto libico registra sempre di più un equilibrio allarmante. Il rischio concreto è di avere un situazione del tipo di quella somala a poche ore dal cuore dell'Europa. La condizione del paese somalo è un drammatico susseguirsi di instabilità e di violenze, un mix tra nazionalismo ed estremismo religioso, lontano dalla risoluzione. Con la Libia condivide l'antico colonialismo italiano, ma sopratutto l'assenza di una articolazione sociale che faccia da cuscinetto tra le avverse fazioni. La Libia è uno stato artificiale, composto da tre grandi territori: Tripolitania, Cirenaica e zona desertica, che prima del 1951 non stavano assieme, l'identità nazionale è artefatta, costruita sul collante del petrolio e sul culto di Gheddafi, peraltro imposto con la violenza. La divisione tribale è l'unica struttura presente sul territorio, non esistono sindacati, partiti politici clandestini o in esilio. La divisione tribale è a compartimenti stagni, non vi è scambio culturale tra i diversi clan, che hanno maggiore affinità con i popoli delle rispettive nazioni di confine: Egitto, Tunisia ed Algeria. Insomma un quadro particolarmente diviso in un paese molto ricco, già per gli standard africani, ed ancora di più potenzialmente, in un supposto quadro che preveda una maggiore e più equa suddivisione del reddito. In questo panorama l'anomalia è il tessuto urbano dove si è incubato ed è scoppiato il seme della rivolta, che a seguire si è esteso alla società tribale. Non che i clan vivano al di fuori dei centri urbani, anzi spesso sono i protagonisti della vita sociale perchè detengono posti chiave dell'amministrazione di Gheddafi, che non è un monolite, ma perchè, pur, a volte, non condividendo la politica del rais, mantenevano le loro nicchie conservando il potere che gestivano. La scintilla della rivolta ha provocato, tra l'altro, la consapevolezza tra la società tribale di muoversi allo scoperto contro o a favore di Gheddafi. Rotto il fragile equilibrio lo scenario futuro si può prefigurare come una continua guerra per il predominio del paese da parte di un gruppo o di un'alleanza di gruppi tribali sugli altri, oppure si può immaginare una divisione pacifica del territorio libico sulla base delle diverse zone occupate dalle diverse tribù, secondo la consuetudine della stanzialità. In questo caso sarebbe la fine della Libia come nazione, come è stato fino ad ora. Se la seconda eventualità potrebbe avere effetti meno cruenti, anche se la presenza dell'oro nero costituirà un dosso difficilmente negoziabile, la prima ipotesi prevede scenari inquietanti. Uno stato in guerra incastonato tra regimi in caduta libera, sulla costa mediterranea e con ingenti riserve energetiche, presenta un ordigno difficilmente disinnescabile, le conseguenze economiche e sociali sarebbero particamente ingestibili da paesi oltretutto in crisi economica. A monte di tutto il fattore Gheddafi, il primo da togliere dalla scacchiera per avere una possibilità di soluzione il più veloce possibile.
sabato 5 marzo 2011
L'Assemblea del popolo cinese richiede maggiore stabilità
La riunione dell'Assemblea del popolo cinese sta fornendo indicazioni sulla direzione verso la quale intende muoversi il colosso di Pechino. Sono indicazioni sostanziali che registrano un malessere diffuso nella popolazione e che sono i veri temi su cui si misurerà la Cina nel futuro prossimo. Il nemico cinese è al suo interno ed è lo sviluppo economico spinto oltre ogni limite con le sue storture che si vengono a creare in maniera naturale. L'ammissione in sede ufficiale che le profonde diseguaglianze giunte alla corruzione elevata creano un malessere sociale diffuso è un fatto nuovo ed importante per la compassata burocrazia di partito, la presa d'atto che queste sono di ostacolo ad un fluire più normale della vita dei cittadini e quindi dello stato, pone domande concrete sulla loro risoluzione. L'obiettivo principale dichiarato è la maggiore stabilità, senza la quale l'impalcatura stessa del sistema statale attuale rischia di incrinarsi. E' chiaro, che alla fine il risultato da raggiungere è la conservazione dell'attuale forma di stato, dove devono convivere le regole del comunismo politico con le regole economiche del capitalismo, senza allargare le maglie del controllo politico istituzionale a favore della obiezione. La leva maggiore dei movimenti per la democrazia in Cina è proprio la sottolineatura costante della diseguaglianza e della corruzione dilagante, sono i punti forti che permettono di incrementare e canalizzare lo scontento di masse enormi, proprio perchè sono ragioni talmente evidenti e preticamente impossibili da smentire. I governanti cinesi si sono resi conto della ragione degli oppositori e per questo intendono far mancare loro il terreno di coltura. Alla fine, seppure con obiettivi diversi sia lo stato, che l'opposizione fuorilegge, convergono sulle ragioni delle storture del sistema. Il problema è il metodo per combetterle: l'Assemblea del popolo farà discendere dall'alto la legislazione ed i metodi senza un'efficace azione di controllo e di contrappeso come richiesto dai movimenti per i diritti civili. Sia come sia il problema è diventato talmente esteso e pericoloso che la presa d'atto ufficiale è un segnale forte, peccato che le masse saranno anestetizzate con ancora maggiore consumismo.
venerdì 4 marzo 2011
La Cina modernizza le sue forze armate
La Cina intende ammodernare il suo esercito al ritmo della sua crescita economica, la necessità di competere al livello degli Stati Uniti è data da una serie di ragioni geopolitiche che indirizzano la scelta cinese ad innalzare il livello qualitativo dell'esercito più grande del mondo. Sono infatti 2, 3 milioni i componenti delle forze armate della Repubblica Popolare, quindi la quantità non è un problema per i reclutatori di Pechino. Fino ad ora le forze armate cinesi hanno avuto una natura difensiva, anche in ossequio all'indirizzo della politica internazionale di Pechino fondato sulla teoria del non intervento. Una delle principale ragioni della possibile inversione di rotta è l'attivismo degli USA nella regione del Pacifico che comprende i Mari del Giappone e della Cina Orientale e gli stati di Giappone, Corea del Sud e Taiwan. Pechino non gradisce la presenza costante della flotta americana in quelle acque e mira a contrapporre una flotta ugualmente equipaggiata, in casi di bisogno. Inoltre per interpretare il ruolo di grande potenza dovrà adeguare la teoria del non intervento in una politica internazionale più attiva, che comprenda un ruolo importante nelle missioni umanitarie e nelle operazioni militari di pace. Per recitare un ruolo importante nel teatro diplomatico che conta, la Cina deve modificare il suo ruolo di potenza economica che non collima con quello di comprimario internazionale. L'ammodernamento militare è il primo passo per andare in quella direzione.
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