Politica Internazionale

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martedì 12 luglio 2011

La zona euro e le crisi finaziarie

Dopo i problemi islandesi,irlandesi, portoghesi e greci, la speculazione pare avere preso di mira l'Italia. I forti ribassi della borsa di Milano mettono a fuoco quella che potrebbe essere la prossima vittima europea. Certo le situazioni politica ed economica italiana, possono spiegare gran parte del problema, ma ciò è solo complementare al vero nocciolo della questione, ne costituisce, cioè un aggravante. Intanto una considerazione, mettendo sotto tiro l'Italia, il movimento speculativo cerca di fare un salto di qualità nella propria strategia di guadagno: l'economia italiana è di gran lunga superiore a quelle già entrate nell'occhio del ciclone, un crollo strutturale dovuto alla speculazione rischierebbe di tirarsi dietro l'intero sistema dell'euro con conseguenze disastrose per l'Unione Europea. In questo momento l'Italia ed anche la Spagna, patisce, sostanzialmente, la debolezza costitutiva dell'impalcatura costruita intorno alla moneta unica europea. La creazione dell'area dell'Euro è stata fatta sommando tra di loro economie non omogenee, con diverse problematiche da affrontare e diverse scale di sviluppo e di crescita. Avere stabilito un valore nominale delle singole monete europee ha costituito la scelta di un metodo, tra i tanti possibili, ma non certo il migliore, che potesse garantire una qualche uniformità dei vari sistemi economici che formavano il puzzle della moneta unica. Peraltro pensare che soltanto l'adozione di una unica moneta permettesse, senza aggiustamenti, di mettere sullo stesso piano economie come quella tedesca e ad esempio, quella portoghese, costituisce il peccato originale della creazione dell'Euro. Quello che è mancato è stato un indirizzo, se non unico, almeno unitario nella conduzione della finanza e dell'economia europea, non si è fatto, cioè, sistema, ma si è creata la somma vettoriale di economie molto diverse e nella somma dei vettori vince il più forte. Nel caso specifico il vettore più forte, ma che fa anche da traino, è la Germania, la cui economia ha garantito la disponibilità finanziaria per emettere prestiti ai paesi in difficoltà (la Grecia è il classico esempio). La mancanza di un bilanciamento tra le sproporzioni e le differenze economiche ha materialmente favorito gli speculatori, che bene si sono insinuati nei buchi del sistema. I recenti provvedimenti della UE, come la creazione di un fondo speciale di salvataggio per il debito degli stati, dicono che gli eurocrati si sono accorti delle deficienze del sistema, tuttavia si tratta di provvedimenti tampone, che non colmano le mancanze a livello politico. Vi è ancora troppa gelosia da parte dei governi della loro autonomia di azione, che spesso ha obiettivi di breve periodo, a scapito di una azione portata avanti a livello centrale con una vista che va oltre il risultato elettorale locale. Senza questo convincimento e la successiva riforma del sistema economico e finanziario in senso europeista, tutte le misure correttive avranno il solo significato di espedienti estemporanei incapaci di colmare lacune sistemiche.

giovedì 7 luglio 2011

ONU: diminuisce la povertà nel mondo

La crescita dei paesi in via di sviluppo, in special modo dell'area asiatica, permetterà di raggiungere l'obiettivo di dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015. E' quanto sostenuto da un recente rapporto delle Nazioni Unite. Il criterio che fu individuato nel 2000, consisteva nel dimezzare il numero delle persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, rispetto al 1990. Disaggregando il dato totale, appaiono delle grosse differenze, infatti in Asia orientale, il tasso di povertà dovrebbe discendere sotto al 5% entro il 2015, in India dal 51% del 1990 si attende il 22% nel 2015, ,mentre è più complessa la situazione dell'Africa sub-sahariana, sia per la difficoltà del reperimento dei dati, sia per le oggettive carenze strutturali, che non permettono uno sviluppo paragonabile a quello delle tigri asiatiche, il dato dovrebbe, comunque, attestarsi intorno al 36% per il 2015, che confrontato al 58% del 1990, rappresenta un miglioramento sostanziale. Le stime tengono conto dei rallentamenti alla crescita imposti dalle crisi economico finanziarie e permettono, nonstante queste, di affermare che il ritmo della discesa del tasso di povertà non dovrebbe subire rallentamenti. Malgrado i progressi e le affermazioni dell'ONU, la povertà resta ancora lontana da sconfiggere, il dato su cui si basa l'obiettivo delle Nazioni Unite costituisce, invero, un traguardo non più adatto ai tempi in cui viviamo. Aldila dello scopo umanitario, la fetta di popolazione tagliata fuori dai processi economici, proprio a causa della mancanza di risorse proprie, costituisce un ostacolo al propagarsi dello sviluppo, che non va inteso come mero consumismo, ma come occasione di crescita e di usabilità di bisogni considerati primari nell'occidente: come l'istruzione e la formazione, l'accesso alle cure mediche ed anche una maggiore diffusione del benessere, con tutte le conseguenze del caso. Se l'ONU può parlare con soddisfazione per avere praticamente raggiunto l'obiettivo prefisso alla lottà alla libertà, su cui però sarà necessario dotarsi di obiettivi sempre nuovi, innalzando la somma di un dollaro al giorno, non così per quanto riguarda la lotta alla fame. Su questo punto resta ancora il 16% di popolazione che soffre di carenze alimentari endemiche, dovute a carestie, condizioni climatiche avverse, eventi atmosferici e guerre. La lotta alla denutrizione deve essere combattuta affrontando più nemici ed è necessaria la massima coordinazione e la massima razionalizzazione delle risorse, che, purtroppo, i paesi ricchi stentano ad elargire. Per questo è fondamentale la crescita di importanza politica dell'ONU, come ente sovranazionale capace di intervenire oltre che materialmente, sopratutto politicamente, fornendo pianificazione ed indirizzo necessarie per sconfiggere definitivamente la mancanza di cibo.

L'offensiva serba per entrare nella UE

L'azione della Serbia per superare gli effetti seguiti al conflitto derivato alla disgregazione della Yugoslavia, continua incessante, anche in ragione della richiesta di ammissione alla UE. Catturato ed estradato Radic e chiuso un accordo per la libera circolazione delle persone con il Kosovo, il premier serbo Tadic ha effettuato una visita ufficiale a Serajevo, la prima dal 2006. Oggetto della visita è l'approfondimento delle relazioni amichevoli tra i due paesi e, sopratutto, il riconoscimento del rispetto serbo all'integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina. L'importanza politica di questo passaggio risulta fondamentale nel quadro delle relazioni bilaterali tra i due paesi, in quanto sottolinea il mancato appoggio dello stato di Belgrado ai movimenti indipendentisti serbi presenti in Bosnia. Tadic punta molto sulla normalizzazione dei rapporti con gli stati ex jugoslavi, l'atto formale firmato con Pristina per la circolazione delle persone, è un chiaro segnale che Belgrado riconosce come validi i documenti rilasciati dal Kosovo ed è un chiaro passo verso il riconoscimento dell'indipendenza della ex provincia serba. I negoziati sono stati vivamente caldeggiati dalla UE, che segue con attenzione i movimenti di Belgrado, in quanto candidata all'entrata nell'unione. Già nel 2010 il premier Tadic aveva compiuto una visita a Vukovar, in Croazia, dove si era pubblicamente scusato per il massacro serbo avvenuto nel 1991. Occorre considerare che i movimenti di Tadic non sono così agevoli come potrebbero risultare dall'esterno, essendo atti che paiono quasi scontati. In Serbia è molto vivo ed attivo, il movimento nazionalista, che porta avanti l'idea, ormai anti storica, di grande Serbia e che raccoglie diversi gruppi estremisti, capaci di aggregare la protesta contro il governo. Inoltre è diffuso un sentimento anti occidentale che non vede di buon occhio le aperture del paese verso l'esterno e non comprende le esigenze, sia politiche che economiche della nazione. E' pur vero che questi fronti interni costituiscono la minoranza in un paese, che avverte la necessità di entrare in Europa come medicina necessaria ad uscire da un isolamento nocivo per la stessa storia della Serbia, ma che tuttavia posseggono forti motivazioni per contrastare l'azione del governo ed hanno un forte peso specifico politico. L'innalzamento dell'azione politica di Tadic, oltre alla pacificazione della ex jugoslavia, punta ad ottenere ulteriori punti per accreditare il paese per l'ingresso nella UE, considerato fondamentale dall'amministrazione di Belgrado. Proprio per questa ragione si è obiettato sulla genuinità di questi interventi, visti, appunto, come viatico per il passaporto UE, tuttavia queste mosse sono stati atti reali e tangibili, che hanno avuto ricadute sia sulla politica interna che su quella estera di Belgrado.

mercoledì 6 luglio 2011

Emergenza Somalia

Gli effetti della guerra in Somalia hanno, ormai la portata di tragedia umanitaria. Gran parte del popolo somalo è costretto a fuggire dalla guerra in corso nella propria nazione e la fuga ha raggiunto dimensioni bibliche. L'ACNUR, la commissione delle Nazioni Unite per i rifugiati, calcola che circa un quarto dell'intera popolazione somala, stimata in circa 7,5 milioni di persone, siano sfollati internamente al paese (1,46 milioni) o sia espatriata. In Kenia vivono 405.000 somali, che si sommano a 187.000 in Yemen e 110.000 in Etiopia. Il principale problema è la carestia alimentare che attanaglia questa popolazione in fuga, specialmente i bambini, che soffrono maggiormente la mancanza di alimentazione. Più del 50% dei bambini in Etiopia patiscono una malnutrizione acuta, mentre quelli in Kenya ne sono colpiti circa tra il 30 ed il 40 %.
Gli aiuti delle ONG non riescono a soddisfare la domanda alimentare e la stessa azione delle Nazioni Unite è ormai insufficiente, non solo dal punto di vista operativo, ma, ancora peggio, da quello politico. La mancata risoluzione della guerra somala è una ulteriore dimostrazione dell'inadeguatezza dell'ONU, che non riesce ad imporsi come soggetto capace di riuscire a gestire le crisi, in special modo, le più lunghe. Non si capisce come mai non si ripensi daccapo alla risoluzione del problema, senza trovare nuove soluzioni. Mentre su altri scenari vi è uno spiegamento militare ingente, la Somalia appare abbandonata a se stessa. Stessa cosa per la gestione del problema dei rifugiati, che hanno trovato asilo in nazioni molto povere e tormentate, non in grado di fornire la necessaria assistenza e letteralmente lasciate sole di fronte all'emergenza. Quella che manca è anche la solidarietà pratica dei paesi ricchi, che si accapigliano per numeri esigui di immigrati (si veda la questione tra Italia e Francia, in occasione della guerra libica), mentre nazioni povere e con difficoltà interne di stabilità, sono costrette a ricevere ondate migratorie di dimensioni molto più grandi. I due fenomeni associati insieme compiono una rappresentazione dell'occidente terribile, che non può non determinare una condanna senza appello per i paesi ricchi. Anche questi elementi fanno comprendere la decadenza cui sono soggetti.

Cina e Vaticano: rapporti in peggioramento

I rapporti tra Cina e Vaticano segnano un ulteriore peggioramento. La nomina di un vescovo nella chiesa patriottica cinese, viene vissuta dal Vaticano come l'ennesima ingerenza nella propria sfera d'azione. Per oltre Tevere l'investitura vescovile, avvenuta alla presenza di altri sette vescovi, viola palesemente l'ordinamento canonico vigente, perchè emessa senza alcuna autorità, fatto che prevede espressamente sanzioni da parte dell'autorità ecclesiastica. L'azione di Pechino pare rientrare nella strategia, sempre più insistita ed avvolgente, di contenere e soffocare ogni forma di opposizione possibile, che possa andare ad incrinare il sistema di potere, basato sul monolitismo del Partito comunista. Spesso il diritto di esercitare la propria religione è stato osteggiato ma negli ultimi tempi l'amministrazione cinese ha preferito incanalare il sentimento religioso, tra cui il culto cattolico, in una organizzazione strettamente controllata, che costituisce la chiesa patriottica cinese. L'invasione nelle prerogative della chiesa cattolica ufficiale non ha fatto altro che incrinare ulteriormente i rapporti tra i due stati, già gravati da anni di persecuzioni ai danni dei cattolici cinesi, organizzati in forma clandestina e sotterranea, ed oggetto di forti persecuzioni, che hanno causato torture e prigionia. L'irritazione del Vaticano è indirizzata anche verso il proprio clero, che non esita a passare con la chiesa patriottica, non sfuggendo alle concrete possibilità di carriera assicurate. Le relazioni tra i due stati sono formalmente interrotte dal 1951 e dopo un periodo di sostanziale riavvicinamento, attualmente la situazione è di nuovo molto compromessa e per il futuro non pare si possa nutrire speranze positive, giacchè Pechino ha affermato che presto ci saranno altre 40 ordinazioni di vescovi nella chiesa patriottica cinese.

USA: in alcuni stati inasprite le leggi contro l'immigrazione

All'interno degli USA vanno affermandosi leggi sempre più restrittive verso gli immigrati irregolari. Dopo l'inasprimento dell'Arizona sulla legislazione sulla materia, anche Alabama, Carolina del Sud e Georgia, hanno inasprito la legislazione nazionale senza alcuna censura del governo federale. L'atteggiamento dell'amministrazione Obama, in questo momento è fortemente attendista a causa dell'incombere dell'appuntamento elettorale e del pressing effettuato dai movimenti di destra, sopratutto quelli emergenti come il tea party. Certo è che quello che appare è un distacco del Presidente USA dai temi fondamentali portati avanti in campagna elettorale per trovare una mediazione con le necessità del mercato dei voti. Nei mesi scorsi lo stesso Obama aveva confermato la necessità della forza lavoro degli emigrati, anche quelli irregolari, come essenziale per l'economia USA e prospettando una legislazione che regolasse la materia in maniera di rispettare i diritti fondamentali degli individui, ancorchè senza documenti. Ma ai discorsi non sono seguiti i fatti, cioè la promulgazione di una legislazione federale che andasse a coprire il buco normativo sulla materia. Questo ha permesso agli stati con concezioni non favorevoli verso i migranti, di legiferare con disposizioni di forte contrasto all'immigrazione. L'inattività dell'amministrazione Obama, contro questa tendenza, è dimostrata dalla scarsità dell'azione di contrasto contro le legislazioni statali, infatti il Dipartimento di giustizia federale ha presentato una sola azione legale contro lo stato dell'Arizona, tralasciando, però provvedimenti analoghi verso le altre entità statali della federazione americana.

martedì 5 luglio 2011

Sentenza innovativa dal Tribunale internazionale de L'Aja

La Corte Internazionale de L'Aja potrebbe aprire una via nuova nella giurisprudenza del diritto internazionale. Infatti il Tribunale penale internazionale ha stabilito la responsabilità di tre, degli ottomila morti della strage di Srebrenica, per l'esercito olandese, che doveva proteggere la città come caschi blu dell'ONU. Il ricorso presentato da due cittadini bosniaci per la morte di tre loro congiunti, proprio contro l'esercito olandese è stato accolto e potrebbe determinare una pioggia di ricorsi in tal senso, sia nell'ambito del processo in corso, che in altri procedimenti analoghi. La determinazione della Corte ha lasciato spiazzato anche l'avvocato dello stato olandese, che ha affermato di dovere studiare le carte per la presentazione dell'appello. Il governo olandese ha sempre affermato che la colpa dell'abbandono di Srebrenica da parte del proprio esercito, fu dovuta alla mancata protezione aerea e quindi imputabile alla stessa ONU, per difetto di organizzazione. Ciò indica la via che potrebbe seguire il ricorso, generando una battaglia legale tra lo stato olandese e le Nazioni Unite, che saranno sicuramente citate in giudizio. Al di fuori del procedimento in oggetto, che sarà comunque occasione di studio per i tecnici della materia, la determinazione della responsabilità penale sia per mancata esecuzione della missione, sia per omesso soccorso, sia nei confronti dell'entità statale, che sovrastatale, rischia di essere messa a fuoco in una diversa ottica, che rischia di capovolgere i rapporti con l'autorità giudiziaria internazionale. Quello che può accadere è l'instaurazione di una responsabilità effettiva e materiale, che possa richiamare ai suoi doveri anche strutture formalmente non avezze a rapporti del genere. Se questa strada sarà tracciata, costituirà un passo avanti fondamentale nella gestione della giustizia nel villaggio mondiale in senso compiuto e concreto.