Politica Internazionale

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martedì 19 luglio 2011

Gli USA vogliono la pace tra Turchia ed Israele

Gli USA spingono per una pacificazione nei rapporti tra Israele e Turchia. Considerati fondamentali nello scacchiere mediorientale i due paesi, hanno rotto le relazioni diplomatiche, dopo gli incidenti creati dai militari israeliani nei confronti dei pacifisti turchi, che intendevano forzare il blocco navale della striscia di Gaza, per portare aiuti umanitari al popolo palestinese. Dopo questo episodio, giunto al rifiuto alla Turchia, da parte di Bruxelles, per entrare a far parte dell'Unione Europea, l'Ankara si è ritagliata un proprio spazio da protagonista nell'area mediorientale, sia dal punto di vista politico che economico, diventando il paese di riferimento della regione. Pur restando un fedele alleato americano, la Turchia ha allacciato accordi commerciali con l'Iran e la Siria, ed ha intrapreso iniziative di peso politico nell'area ed anche oltre, come ha dimostrato l'attivismo nell'occasione della guerra libica. Si può dire, senza ombra di dubbio, che la Turchia è sfuggita dall'ombrello americano, denunciando una crescente personalità ed iniziativa. Nello scacchiere regionale la mancata pacificazione dei rapporti, prima buoni, tra i due paesi, rappresenta un evidente ostacolo nei piani americani, sopratutto in questa fase storica. Tel Aviv è sottoposto sostanzialmente ad un accerchiamento, per ora non pericoloso, ma comunque tale da tenere sotto pressione l'apparato israeliano, già in apprensione per gli sviluppi della primavera araba. Con Hezbollah alla guida del Libano e la Siria in subbuglio, di fatto l'unica frontiera tranquilla è quella con la Giordania. Gli USA hanno tutto l'interesse a normalizzare le relazioni tra i due paesi, perchè ritengono indispensabili le basi turche, in caso di peggioramento della situazione per Israele. Il diniego all'utilizzo da parte turca causerebbe enormi problemi logistici alle truppe americane, nel peggior caso previsto: l'attacco iraniano ad Israele. L'ipotesi è certo remota, perchè una guerra del genere riguarderebbe un coinvolgimento più ampio di paesi, tuttavia è contemplata sia dagli strateghi americani che da quelli israeliani; ma per i primi è fondamentale l'appoggio turco. E' proprio per questo che i diplomatici USA, stanno cercando tutte le vie possibili per cercare la pace tra le due nazioni.

Cina: il problema del separatismo etnico

Duri scontri nella regione autonoma dello Xinjiang, nell' estremo ovest cinese, tra le forze dell'ordine e gli indipendentisti Uiguri. Sono stati assaltati edifici governativi e la repressione della polizia è stata pesante, si contano diversi morti tra i dimostranti. Il problema delle minoranze etniche nell'impero cinese, torna così alla ribalta, nella gestione dei fenomeni di opposizione all'interno dell'impero cinese. Gli Uiguri, etnia turcofona di religione islamica, patiscono la politica che Pechino usa applicare alle minoranze etniche, quando queste sono maggioranza nella regione di appartenenza. Per la Cina, la massiccia coesione etnica rappresenta una impermeabilità alla penetrazione dell'apparato statale e di conseguenza costituisce un fattore di minore controllo. La strategia cinese, per affrontare questi problemi non è la valorizzazione delle specificità all'interno dell'ambito statale, ma la diluizione della concentrazione etnica, mediante robuste iniezioni di immigrazione di popolazione cinese di etnia differente. L'applicazione di questo schema prosegue con l'indebolimento della cultura etnica, la restrizione della libertà religiosa e sopratutto, l'impoverimento della regione, con lo sfruttamento delle risorse spostato verso l'immigrazione cinese. Questo modo di combattere le minoranze provoca sempre più sollevazioni contro l'autorità centrale, rappresentata dagli uffici periferici presenti sul territorio. Nel caso specifico siamo di fronte non ad una nuova sollevazione, causata anche dagli effetti di quella del 2009, conclusa con la sparizione di diverse persone, di cui i parenti non hanno più avuto notizie. Per Pechino la versione riguarda invece atti terroristici da addebitare agli indipendentisti uiguri, che cercano di staccare il territorio della Repubblica Popolare Cinese per formare lo stato indipendente del Turkmenistan orientale. Il separatismo uiguro costituisce un pericolo per l'integrità dello stato e rischia di provocare sollevazioni a catena, per emulazione, in altre zone del paese con problemi analoghi. Questo provoca l'inasprimento della repressione cinese con continua violazione dei diritti umani, difficilmente dimostrabile perchè le zone vengono interdette alla stampa libera. La questione rappresenta comunque una ulteriore spia del disagio presente in Cina, sempre più schiacciata tra industrializzazione estrema e mancanza dei diritti sociali, sperequazione economica spinta e tensioni localistiche.

lunedì 18 luglio 2011

Il confine marino nuovo fronte tra Libano ed Israele

Un nuovo motivo di potenziale conflitto grava su Libano ed Israele. La possibile presenza di giacimenti di idrocarburi sul confine delle acque territoriali dei due stati rischia di trasformarsi in ulteriore motivo di attrito. La differenza, in definitiva è minima, si tratta di circa 17 chilometri, su cui si gioca il confine della zona economica esclusiva che corre tra le due nazioni, quella zona, cioè, il cui sfruttamento è appannaggio dello stato titolare, come avviene per le miniere sulla terra ferma. Tutto parte dall'armistizio del 1949, che fissava un limite tripartito delle acque tra gli stati di Cipro, Israele e Libano. Successivamente Israele ha concordato un nuovo accordo con Cipro, ratificato dal parlamento israeliano nel 2010, che sposta il punto del confine delle acque dei due stati, spostato proprio dei 17 chilometri in questione. Il Libano, da parte sua, non ha mai ratificato il confine fissato nel 1949, a causa delle pressioni turche, dovute all'annosa guerra con Nicosia. L'errore libanese ha indotto Israele a superare i confini marini fissati, appunto, nel 1949. Il Libano, firmatario della convenzione dei diritti del mare, al contrario di Israele, ha cercato di appellarsi alle Nazioni Unite e quindi al Tribunale dei conflitti del mare, ma tecnicamente la soluzione è impossibile, perchè non è permesso dirimere una controversia tra due stati che non si riconoscono reciprocamente. A questa fase di stallo hanno fatto seguito le minacce: Hezbollah, al governo in Libano, ha promesso da subito di difendere con le armi l'integrità dello stato libanese, per contro, Israele ha accusato il gruppo estremista al governo ed il suo principale alleato, l'Iran, di utilizzare queste ragioni con scopi del tutto secondari, per fomentare, cioè, l'ostilità anti israeliana. Dietro tutto questo, la fame di energia di entrambi gli stati, che ha scoperto questo nuovo fronte, su di un tratto di mare finora ignorato.

L'Iran invade l'Iraq per combattere i curdi

Reparti dei Pasdaran, i militari più orientati all'estremismo radicale islamico della repubblica teocratica iraniana, hanno passato il confine con l'Iraq per reprimere le azioni del PJAK partito curdo in lotta per la liberazione del Kurdistan. Il PJAK fa partire le sue azioni, terroristiche per l'Iran, contro Teheran da basi situate in territorio iraqeno al confine con la regione del Sardasht, situata nel nord ovest iraniano. Gli scontri hanno portato il controllo delle basi curde sotto la tutela dei Pasdaran, che hanno attaccato in forze. L'azione militare iraniana è una palese violazione del diritto internazionale, essendo compiuta sul territorio di un altro stato sovrano, e costituisce un pericoloso precedente nelle relazioni tra i due stati, da quando l'Iraq non è più preda della dittatura di Saddam Hussein. La presenza di militari americani sul suolo iraqeno, come alleati del governo in carica, rende la situazione ancora più esplosiva. I rapporti tra forze USA e curdi, pur non essendoci ufficialità, sono buoni dalla guerra contro Saddam, quando l'appoggio dato dai guerriglieri curdi, per la conoscenza del territorio, ai militari statunitensi, fu decisivo per la vittoria di molte battaglie. L'azione repressiva iraniana non è chiaramente diretta contro le forze USA, ma è stata dettata dalla volontà di interrompere le incursioni sul proprio territorio, sempre più numerose, da parte dei curdi. Tuttavia la possibilità che si crei un incidente tra forze americane ed iraniane deve essere stata valutata dai Pasdaran, che non hanno esitato ad attaccare fuori dai loro confini. Se i militari iraniani manterranno la loro presenza nella regione, non sono esclusi atti di ritorsione da parte delle forze iraqene.

Dove va la politica estera cinese?

Quale è il programma della politica estera cinese? Le recenti mosse di Pechino, che pure mantiene come proprio cardine quello di non volere ingerire nella politica interna dei singoli stati, vedono una tessitura a trama fitta, fatta di una realtà di accordi commerciali sempre più stringenti, con paesi in difficili rapporti con l'occidente. Non può essere un caso che l'azione cinese vada ad insinuarsi in zone lasciate scoperte da embarghi e sospettate di vicinanza, se non di collusione con il terrorismo. Quello che sembra, a prima vista, è che l'azione cinese sia esclusivamente commerciale, sempre alla ricerca di nuovi mercati con ampie potenzialità; questo è certamente il primo passo con cui si muove il gigante di Pechino, tuttavia è impossibile non leggere un programma studiato con cura, per contendere agli Stati Uniti la supremazia mondiale. Certo la Cina attua una politica meno eclatante, si tiene fuori dai conflitti mondiali e non agisce da gendarme del mondo, ma la sua azione non vieta di immaginare, che in futuro, non possa e sopratutto voglia, ritagliarsi un ruolo alternativo a Washington. Le ampie potenzialità economiche e finanziarie conferiscono alla Cina una ampiezza di manovra molto rilevante nel panorama internazionale, per Pechino il salto di qualità nell'arena diplomatica deve diventare una mossa obbligata se intende assurgere al titolo di potenza mondiale globale, non solo economica. Dal punto di vista militare la Repubblica Popolare Cinese sta attuando una grande modernizzazione dei propri armamenti, dotandosi, tra l'altro di portaerei, per dare maggiore mobilità alle proprie truppe, realizzando così strumenti essenziali per agire su teatri al di fuori dei propri confini ed avendo quindi la potenzialità di agire ed interpretare un ruolo decisivo nei conflitti internazionali. Qualche dubbio è sollevato dal fatto delle sempre più stringenti relazioni con regimi di dubbia reputazione, ma d'altro canto, la Cina stessa non è un sistema democratico e non pare in difficoltà nelle relazioni con altre dittature. E' pur vero che nelle relazioni commerciali della Cina ci sono anche democrazie e non solo occidentali, ma quello che Pechino sta facendo è di rompere l'isolamento creato come sanzione per stati ritenuti pericolosi per la pace mondiale. La visione cinese appare non sintonizzata, non solo su quella occidentale, ma anche di organizzazioni sovranazionali come l'ONU. Quella che si può aprire è una nuova stagione delle relazioni internazionali, con il sovvertimento dei rapporti fin qui cristallizzati.

domenica 17 luglio 2011

Cina ed Iran partner commerciali

L'embargo all'Iran crea nuove alleanze commerciali. La Cina, infatti, ha stretto un accordo, che riguarda più materie e che alla fine riguarderà una somma di circa quattro miliardi di dollari. Di fatto, Pechino diventa il primo partner commerciale di Teheran. L'accordo firmato riguarda forniture per l'energia, le acque, l'ambiente (con la fornitura di inceneritori), le miniere e le materie prime energetiche. L'interscambio previsto dovrebbe ammontare a circa 40 miliardi di dollari alla fine del 2011, con una previsione di arrivare fino 100 miliardi di dollari nei prossimi anni. La Cina ha saputo sfruttare gli spazi creati dell'embargo internazionale a cui e' stato sottoposto l'Iran per la ricerca nucleare, di cui si sospetta voglia fare un uso militare. Ma la valenza degli accordi supera di gran lunga il rapporto commerciale, perche' rappresentano il chiaro superamento della visione che prevedeva la centralita' dell'occidente come fonte decisionale del processo politico internazionale. L'Iran dimostra chiaramente che essere messi al bando dall'ovest del mondo non preclude piu' altre strade di sviluppo e sopratutto non determina un isolamento politico ed economico. Dal canto suo la Cina, ormai immersa nel suo ruolo di grande potenza alternativa agli USA, dimostra di essere un soggetto ormai autonomo in politica internazionale, capace di prendere decisioni autonome, anche al di fuori di quella che e' la visione dominante. Per l'Iran gli accordi commerciali con la Cina, rappresentano una vittoria diplomatica, dato che rompono l'embargo e conferiscono a Teheran la forza di proseguire sulla sua strada della sperimentazione nucleare. Sara' interessante vedere come la Cina si porra' negli inevitabili sviluppi della guerra diplomatica che, inevitabilmente si andra' a sviluppare. Resta il fatto che Pechino e' consapevole di prendersi una grossa responsabilita' andando a violare l'embergo occidentale, se verra' presa una direzione pericolosa per gli sviluppi dell'atomica iraniana, la regione mediorientale rischia di diventare una polveriera per la pace e la stabilita' del mondo intero, difficilmente disinnescabile.

Cina ed Iran partner commerciali

L'embargo all'Iran crea nuove alleanze commerciali. La Cina, infatti, ha stretto un accordo, che riguarda più materie e che alla fine riguarderà una somma di circa quattro miliardi di dollari. Di fatto, Pechino diventa il primo partner commerciale di Teheran. L'accordo firmato riguarda forniture per l'energia, le acque, l'ambiente (con la fornitura di inceneritori), le miniere e le materie prime energetiche. L'interscambio previsto dovrebbe ammontare a circa 40 miliardi di dollari alla fine del 2011, con una previsione di arrivare fino 100 miliardi di dollari nei prossimi anni. La Cina ha saputo sfruttare gli spazi creati dell'embargo internazionale a cui e' stato sottoposto l'Iran per la ricerca nucleare, di cui si sospetta voglia fare un uso militare. Ma la valenza degli accordi supera di gran lunga il rapporto commerciale, perche' rappresentano il chiaro superamento della visione che prevedeva la centralita' dell'occidente come fonte decisionale del processo politico internazionale. L'Iran dimostra chiaramente che essere messi al bando dall'ovest del mondo non preclude piu' altre strade di sviluppo e sopratutto non determina un isolamento politico ed economico. Dal canto suo la Cina, ormai immersa nel suo ruolo di grande potenza alternativa agli USA, dimostra di essere un soggetto ormai autonomo in politica internazionale, capace di prendere decisioni autonome, anche al di fuori di quella che e' la visione dominante. Per l'Iran gli accordi commerciali con la Cina, rappresentano una vittoria diplomatica, dato che rompono l'embargo e conferiscono a Teheran la forza di proseguire sulla sua strada della sperimentazione nucleare. Sara' interessante vedere come la Cina si porra' negli inevitabili sviluppi della guerra diplomatica che, inevitabilmente si andra' a sviluppare. Resta il fatto che Pechino e' consapevole di prendersi una grossa responsabilita' andando a violare l'embergo occidentale, se verra' presa una direzione pericolosa per gli sviluppi dell'atomica iraniana, la regione mediorientale rischia di diventare una polveriera per la pace e la stabilita' del mondo intero, difficilmente disinnescabile.