Politica Internazionale

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mercoledì 17 agosto 2011

Gli USA contro i ribelli sciiti iraqeni

Fonti americane hanno parlato di scontri in Iraq, nella regione di Bassora tra forze statunitensi e ribelli sciiti sostenuti dall'Iran. E' questa la prima volta che gli USA riconoscono ufficialmente azioni militari di combattimento, definite di autodifesa, dopo la fine ufficiale della guerra iraqena, dichiarata nell'estate del 2010. In questi scontri, condotti dalla forza aerea americana, non sarebbero stati coinvolti militari iraqeni. Le azioni militari sono state provocate da attacchi provenienti da ribelli sciiti, che hanno attaccato a più riprese basi americane. I ribelli sciti si richiamano ad Al Qaeda e sono appoggiati dal governo teocratico iraniano, che ha sempre mostrato simpatia per questa minoranza spesso oppressa dal governo sunnita di Saddam Hussein. Il gioco di Mahmud Ahmadinejad è molto pericoloso, tanto che lui stesso, nella giornata di ieri ha rilasciato una dichiarazione unilaterale, che non prevede una guerra con gli Stati Uniti, ma che nel caso l'Iran sarà pronto a difendersi. La dichiarazione, giunta inaspettata e apparentemente fuori contesto, può trovare una spiegazione nell'ammissione americana di avere compiuto le azioni belliche di autodifesa di cui sora. Le provocazioni degli sciiti sembrano andate molto aldilà dei semplici attentati per indurre alla prudenza anche il capo di stato iraniano, che pure è il loro maggiore alleato. La regione di Bassora torna ad essere un punto caldo, situata al confine tra Iraq ed Iran ed immediatamente contigua a Kuwait ed Arabia Saudita, rappresenta una sorta di frontiera tra i due grandi stati islamici avversari Iran ed Arabia Saudita. Il punto è strategico per la prossimità allo sbocco all'oceano indiano, unica zona di mare per Bagdad. La tattica iraniana punta ad uno stato di terrore permanente nella zona, attuato da ribelli ultrafondamentalisti islamici sciiti, per infastidire gli americani ed i loro alleati sauditi. Il riconoscimento ufficiale americano di una implicazione iraniana eleva pericolosamente il livello del confronto sul piano internazionale ma, tuttavia, la dichiarazione del presidente iraniano va letta come un tentativo di gettare acqua sul fuoco per smorzare sul nascere ogni possibile confronto sul piano militare, almeno nell'immediato. E' la consueta tattica dello stop and go che Ahmadinejad usa come consuetudine diplomatica; in questo caso forse si è accorto di avere esagerato.

La Germania socio di maggioranza dell'Europa

La Germania dimostra di essere il socio di maggioranza della zona euro. Nel vertice con la Francia, non passano gli eurobond, su cui si addensavano le paure degli alleati della Merkel e si opta per un governo comune dell'economia. La misura, in effetti, pare ancora lontana dall'essere attuata ma la sola intenzione doveva avere un effetto positivo sui mercati; non è andata così. I mercati chiedevano una misura di sostanza, tangibile e concreta, la sola dichiarazione di intenti del governo comune è troppo fumosa e sopratutto non immediata, quindi l'indice è andato ancora verso il basso. Ma l'aspetto di maggiore rilievo è stata la capacità politica di Berlino di imporre la propria visuale, andando così a dimostrare di essere il solo punto fermo dell'Europa legata alla moneta unica. Diversi fattori hanno portato a questa conclusione: la stabilità politica tedesca, l'andamento economico migliore, anche se serebbe meglio definirlo meno peggio ed infine la solidità delle emissioni del debito pubblico. Ora occorre vedere come questa supremazia potrà concretizzarsi anche in ambito UE, che somma al suo interno anche gli altri paesi che non hanno aderito all'euro. Il particolare momento che l'Europa sta vivendo potrebbe essere propizio per una razionalizzazione delle strutture comuni di governo in modo di creare una catena di comando capace di intervenire con precisione e tempismo. Mentre nel settore economico sembra che il processo, pur con tutte le critiche possibili, sia avviato, nel settore politico regna ancora la stasi e l'immobilismo decisionale. L'aspetto economico fortemente negativo ha, di fatto, favorito una supremazia tedesca che ora potrebbe concretizzarsi anche sotto l'aspetto politico, anche se con modi più soft, per non urtare la suscettibilità dei soci fondatori della UE. Non sarà comunque un processo facile, ma d'altro canto, questa è l'ora di concretizzare gli sforzi di anni per cercare di creare gli Stati Uniti d'Europa, l'unica maniera di stare al passo con la globalizzazione e le sfide epocali che sta portando.

martedì 16 agosto 2011

Fine della sovranità statale nella zona euro?

La governabilità europea, specie nella zona euro, è ormai un affare a due. E' questa la sensazione che si coglie con l'incontro franco-tedesco di Parigi, dove Sarkozy ha accolto Angela Merkel per discutere sul rafforzamento della governance dell'economia nella zona euro. Con il Regno Unito fuori dalla moneta unica europea e con Italia e Spagna sotto attacco della speculazione, non resta che l'asse Berlino-Parigi ad avere, ormai, le prerogative per potere decidere provvedimenti che cerchino di mettere un freno alla rovinosa caduta della finanza europea. In realtà questo incontro era stato programmato il 21 luglio, in piena crisi greca, ma l'attualità ha superato di gran lunga la paludata programmazione inter governativa. Gli analisti ed i mercati attendono un segnale forte, in modo che si possa capire dove va la finanza europea, chi e come la guida, in modo che si concretizzi un freno all'emorraggia delle borse. Tuttavia, se Francia e Germania sono quelli che stanno relativamente meglio, si presentano a questo incontro con acciacchi evidenti. Per Berlino è orami certo il pericolo di stagnazione, sta venendo a mancare la crescita, che di solito genera ricadute positive su tutta l'economia continentale, mentre Parigi sta correndo il pericolo di un declassamento del proprio ranking a causa dell'elevato debito pubblico, mentre già si affacciano manovre speculative come è stato per l'Italia. Ma tant'è questo è quello che passa il convento per la povera moneta unica. Una possibile salvezza passa per la creazione degli eurobond, in modo da avere un materasso più alto in caso di cadute rovinose, dato che consentono ai paesi in difficoltà di rifinanziare il debito a costi minori. Se la Francia è possibilista verso questa soluzione, anche perchè potrebbe diventare particolarmante interessata, per la Merkel il problema è politico, in quanto la sua coalizione interna non vede di buon occhio l'aumento del fondo di stabilità europea per il timore di dovere in gran parte farsene carico. Comunque se si vuole mantenere in vita l'euro non si vede all'orizzonte altra soluzione, si può discutere sull'entità della somma del fondo ma non se applicare o meno questa soluzione. Certo le misure di abbattimento dell'indebitamento devono essere drastiche, ma senza un ammortizzatore che faciliti il processo il destino è di ritornare alle divise nazionali con tutto quello che ne consegue. Dal punto di vista politico il peso di Francia e Germania appare notevolemente accresciuto, in questo momento decidere sull'economia è pienamente coincidente con la decisione politica sull'azione dell'area euro, infatti la direzione economica che sarà presa deciderà anche la direzione politica non solo per Berlino e Parigi ma anche per gli altri stati. Quello che non è riuscito a commissioni e parlamenti sta riuscendo ai mercati, con le economie meno peggio che decidono anche per quelle peggiori. Ciò costituisce un cambiamento epocale nei rapporti interni alla UE, che viaggiano ancora sulla finzione del doppio binario: politico ed economico. Da ora chi non riesce a badare a se stesso andrà a finire sotto la tutela di chi vi riesce. Ancora una volta comandano i soldi.

La strategia estrema di Gheddafi

La guerra libica registra una allarmante novità. Dagli arsenali di Gheddafi è stato infatti lanciato un missile Scud, di fabbricazione sovietica, destinato alla città di Brega, ma che ha mancato il bersaglio deviando la propria traiettoria ed esplodendo in piena zona desertica. Il regime libico dovrebbe disporre di circa cento missili Scud, prodotti dall'URSS intorno agli anni sessanta del secolo scorso; in passato Gheddafi si era impegnato a distruggere l'arsenale in cambio della riduzione delle sanzioni applicate alla Libia, ma l'accordo non fu rispettato per mancati accordi tra le parti. L'uso di un missile a lunga gittata, arma di cui l'esercito libico dovrebbe quindi disporre in quantità limitata, segnala che Gheddafi comincia ad essere in grossa difficoltà. L'isolamento di Tripoli comincerebbe quindi a dare i primi effetti importanti, la guerra è diventata di logoramento e la difficile situazione circa gli approvigionamenti a cui è sottoposto il regime libico, pone nella maggiore incertezza la sua sopravvivenza. Tuttavia la vittoria per i ribelli è ancora lontana, il rais ha dato prova più volte di sapere rimanere saldamente in sella al potere. La strategia dei prossimi giorni potrebbe prevedere una strenua resistenza dove verrebbero impiegati in armi tutti i civili disponibili, in una sorta di arruolamento forzato. D'altro canto questo sarebbe in linea con la tattica intrapresa da Gheddafi fin dall'inizio, che prevede di guadagnare tempo ad oltranza, per non finire, ne nelle mani dei ribelli, ne delle potenze internazionali, che ne hanno richiesto la formale incriminazione al tribunale dell'Aja. Con la parte orientale del paese ormai definitivamente persa, Gheddafi non può perdere la sua roccaforte: Tripoli e la parte immediatamente retrostante fino al confine tunisino. Una azione che viene prevista è la distruzione del terminal petrolifero di Brega, una dei motori economici del paese. Se questo dovesse compiersi sarebbe un disastro ambientale e per i ribelli, in ottica di conquista totale del paese, anche economico, ma consentirebbe al rais un ulteriore guadagno di tempo prezioso, per elaborare una strategia da presentare ad un potenziale tavolo di trattative.

Lo stimolo di Obama all'economia

Obama prepara un piano economico per stimolare la crescita basato sulla maggiore tassazione delle classi più ricche. E' un approccio totalmente opposto a quello elaborato storicamente dai repubblicani negli anni precedenti e sopratutto dai governi europei. L'intenzione del governo USA merita più di una attenzione. Il momento è particolarmente difficile sopratutto per le classi basse e medie, ma nonostante questa situazione i governi europei insistono sui tagli al sistema sociale, che vanno, in definitiva a pesare, seppur in modo indiretto ma non proporzionale, sui ceti meno abbienti. Con l'economia che ha bisogno sempre maggiore dell'innalzamento dei tassi di crescita il solo taglio delle spese, senza stimolo alcuno alla crescita, non è sufficiente perchè non libera risorse che aumentano la disponibilità di reddito in ottica di maggiore investimento e di spesa. L'intendimento di Obama è di stimolare la crescita prelevando reddito alle classi più abbienti, in una direzione maggiormente improntata alla giustizia ed all'equità sociale la misura è chiaramente corretta perchè redistribuisce le difficoltà del sistema economico sulla base della maggiore ricchezza, cercando quindi di esercitare minore pressione su quelle classi già più colpite dalla situazione economica negativa. Il concetto di proporzionalità, che in questi anni è parso venire sempre meno, grazie ad operazioni finanziarie dei governi basati su tagli lineari che colpiscono in maniera porporzionale maggiore le classi meno elevate, pare dalla volontà di questa misura, almeno in parte riaffermato. Non solo, redistribuendo il reddito verso il basso della piramide sociale, si allarga la capacità di acquisto che va ad abbracciare un numero più esteso di beni commerciali, anzichè, come spesso è successo favorendo le classi più abbienti soltanto i beni di lusso. I governi di destra hanno spesso usato questa tattica per poi fare figurare nel dato finale una crescita il cui risultato è stato, però, fortemente sbilanciato, un valore drogato che non corrisponde alla diffusione del benessere in tutta la società. Mai come ora, invece, è necessario allargare il più possibile l'eventuale dato della crescita per potere diffondere al massimo i vantaggi. Obama ha compreso questa necessità per preservare l'ordine sociale e creare un modello di crescita che vada ad impattare veramente sull'intera società. L'augurio è che anche in Europa si intraprenda questa strada.

sabato 13 agosto 2011

Le pericolose intenzioni di Cameron

Occorre riflettere sulla tentazione del primo ministro inglese Cameron di interrompere le messaggerie ed i social network che corrono sulla rete. Analoghi provvedimenti presi all'inizio della primavera araba, nei paesi della sponda sud del Mediterraneo e poi nello Yemen, in Arabia Saudita (dove la RIM è vietata), fino alla Siria ed all'Iran, hanno fatto giustamente gridare allo scandalo per la censura imposta alla popolazione i governi occidentali. Adesso è proprio uno di questi governi di un paese con una delle maggiori tradizioni di democrazia a volere imporre uno stop analogo. Certamente vista da ovest potrebbe anche apparire una manovra dettata dall'emergenza, ed in parte lo è, ma ad un osservatore imparziale la stonatura non può che essere evidente. Intanto accomuna le negatività del fenomeno anche agli elementi positivi, ottenendo quindi l'effetto di cancellare anche quegli elementi di democrazia che tanto hanno sono emersi grazie a questi nuovi strumenti. La misura, se presa, accomunerebbe il democratico governo inglese alle dittature arabe anche nella mancanza di interpretare in senso positivo le nuove tecnologie ed andrebbe a costituire un pericoloso precedente paragonabile alla censura della stampa. Purtroppo una fascia di benpensanti la pensa come il governo inglese, non capendo che la garanzia della comunicazione sarebbe proprio uno dei principali strumenti da usare contro la degenerazione dell'uso delle nuove tecnologie. Blindare la comunicazione è la peggior risposta possibile a fatti come quelli inglesi e dimostra anzi la scarsa capacità di azione e sopratutto di prevenzione di tali accadimenti. Inoltre un provvedimento del genere offre il fianco a facili critiche da parte di chi le ha già giustamente subite. Quello che si rischia è di presentare al mondo, a tutto il mondo, un provvedimento che alla fine mette sullo stesso piano la democrazia inglese alle dittature arabe; chi usa questi mezzi, un panorama sopratutto di età bassa, percepirebbe una sostanziale identità della misura, sopratutto paragonata alle nazioni dove è già stata presa, finendo anche per andare a frustrare le legittime ambizioni di chi combatte per la libertà dei propri popoli. Ciò pare un estremo ma l'esempio ed anche l'identificazione nei regimi democratici può e deve essere una chiave di volta nel processo di democratizzazione che molti paesi stanno affrontando.

venerdì 12 agosto 2011

L'Europa ha bisogno di unità

E' una Europa lacerata da forti emergenze, quella che il vecchio continente presenta sulla scena mondiale. La vera e propria depressione economica, peraltro comune ad altre zone del pianeta, non fa che alimentare le spaccature religiose ed il problema xenofobo, che attanaglia in particolar modo i paesi che un tempo erano famosi per il loro stato sociale, ma anche quelli mediterranei, che pur non avendo una impalcatura così strutturata, sopperivano con la loro apertura e la loro ospitalità ai flussi migratori. Il problema economico, avvertito nelle realtà quotidiane di imprese e famiglie già da tempo, è stato a lungo negato da governi chiaramente senza capacità, con la sua esplosione ha provocato la rottura degli argini della società ed alla fine tutti i nodi sono arrivati al pettine. Il fallimento della politica sia periferica, le amministrazioni dei singoli stati, che quella centrale, la UE, ha messo in luce un subitaneo bisogno di rinnovamento, che va ricercato nella maggiore competenza e nel coordinamento tra tutti gli attori sulla scena. Non è un caso che uno dei pochi organismi in grado di dare qualche direzione al caos attuale, sia stata la BCE, che con tutte le sue storture ha saputo rappresentare un punto di riferimento. Certamente è difficile guardare all'oggi con positività, tuttavia se vi è una possibilità di ricostruire e ripartire è proprio questo momento. L'euro va rafforzato e non dismesso, anche se vanno corrette alcune modalità di funzionamento della moneta unica, perchè rappresenta comunque una sicurezza a cui aggrapparsi. Il problema economico si riflette su quello sociale e politico, senza benessere tutto è più complicato ed è in questa ottica che devono convincersi gli euroscettici: una Europa nuovamente divisa sarebbe preda ancora più facile degli speculatori e dei paesi con tanta liquidità disponibile, occorre rinforzare le strutture politiche unitarie, costruendo meccanismi solidi e veloci in grado di rispondere con immediatezza alle sollecitazioni finanziarie, politiche e militari che la situazione in divenire presenta. L'attuale tendenza che vede le nazioni europee richiudersi in se stesse, cozza rumorosamente con la necessità di aumentare l'unione per fare squadra, sistema, dando una risposta al mondo che indichi unitarietà. Sulla divisione in seno alla UE, giocano sopratutto i suoi nemici, che preferiscono affrontare il vecchio continente diviso con tutti i lati deboli scoperti senza difesa. L'Europa deve guardarsi da quegli stati e da quelle organizzazioni che mirano a conquistarne le eccellenze, per depredarli e lasciare sempre più povere le sue nazioni.